Carriere separate, nessuna minaccia alla democrazia
Avvocati, magistrati e politici a confronto sul futuro della giustizia italiana a Bologna. Il presidente del Cnf Greco: sulla riforma allarmismi esagerati.
Opinioni a confronto sulla separazione delle carriere. Avvocati, magistrati, politici e rappresentanti delle istituzioni sono intervenuti oggi a Bologna in un convegno organizzato dal Coa felsineo, dalla Fondazione forense bolognese, dall’Organismo congressuale forense e dall’Urcofer (Unione regionale dei Consigli degli ordini forensi dell’Emilio Romagna). A fare gli onori di casa Flavio Peccenini (presidente dell’ordine degli avvocati di Bologna), Mauro Cellarosi, (presidente Urcofer) e Gian Luca Malavasi (direttore della Fondazione forense bolognese).
I lavori sono stati aperti dal presidente del Consiglio nazionale forense, Francesco Greco, che si è soffermato sull’esperienza in Italia e su quanto accade all’estero. «Il tema della separazione delle carriere – ha evidenziato il rappresentante dell’avvocatura istituzionale – merita approfondimenti e richiede un confronto costruttivo tra tutte le parti coinvolte. Il nostro ordinamento giuridico qualche anno fa ha fatto una scelta di orientamento verso il rito accusatorio. Dobbiamo interrogarci se il processo, così come è oggi strutturato ed organizzato, risponda al rito accusatorio vero e a quello del giusto processo. Per fare una disamina attenta occorre quindi dare un’occhiata ai sistemi giudici diversi dal nostro. All’estero, in numerosi Paesi le carriere sono separate. Non mi riferisco soltanto agli Stati Uniti d’America, dove sappiamo che la pubblica accusa si muove lungo un percorso completamente diverso dal nostro, in un sistema giuridico diverso. Anche in Europa, nella maggior parte delle più grandi democrazie del “vecchio continente”, le carriere non sono, come da noi, uniche tra magistrati, giudici e pubblici ministeri. Accade, per esempio in Germania, dove l’ufficio del pubblico ministero è sottoposto al ministro della Giustizia. Cosa che da noi, è bene sottolinearlo, nessuno vuole. In Inghilterra, dove l’ufficio del pubblico ministero, così come lo intendiamo noi, non esiste, le indagini sono affidate agli organi di polizia che poi consegnano agli uffici della magistratura gli esiti dell’attività istruttoria con i che giudici poi svolgono il processo».
Secondo Greco, certi allarmismi non hanno ragione di esistere: «Gli effetti catastrofici che vengono paventati, quando si parla di separazione delle carriere, non sono giustificati. Se guardiamo all’esperienza di altri Paesi europei, possiamo affermare che i principi di democrazia non vengono messi a rischio con la separazione delle carriere, la magistratura continua ad essere autonoma e indipendente e l’accusa non è sottoposta all’esecutivo».
Secondo Mario Scialla (coordinatore dell’Organismo congressuale forense), «separare le carriere è necessario perché il giudice, soprattutto all’esterno, deve apparire imparziale, senza appartenere allo stesso corpo e procedere con la stessa carriera di una delle parti del processo. È opportuno – ha aggiunto Scialla – che la riforma si limiti a separare le carriere, senza incidere sulla obbligatorietà dell’azione penale che avrebbe zavorrato la discussione, ponendo altri interrogativi sulla indipendenza del pm. Questa riforma attua, invece, una versione minimalista per affermare semplicemente la parità delle parti, prevista dall’articolo 111 della Costituzione in tema di giusto processo, senza modificare l’articolo 112 della Costituzione in tema di obbligatorietà della azione penale, presente invece nella riforma Alfano del 2011. Non c’è quindi spazio per alcun allarme sulle libertà o sui rischi di assoggettamento del pubblico ministero all’esecutivo ed occorre procedere spediti nell’approvare una riforma che rafforzi il ruolo centrale del giudice».
Il viceministro della Giustizia, Francesco Paolo Sisto, ha difeso la riforma che va nella direzione della tutela del cittadino. L’eventuale referendum che riguarderà la separazione delle carriere non deve, a detta del viceministro Sisto, alimentare preoccupazioni. «Stiamo parlando – ha detto – di una riforma antica, che prende le mosse da un’esigenza di quotidianità, di non sospetto nell’ambito della struttura della giurisdizione. Saranno i cittadini a decidere se questa proposta sarà giusta o sbagliata».
Di tutt’altro parere Debora Serracchiani, responsabile giustizia del Partito democratico. «Il Pd – ha affermato la deputata – ha un’idea molto chiara. La separazione delle carriere ha profili che interessano ed interesseranno in particolare la magistratura. Non è, quindi, una riforma della giustizia, ma è una riforma che riguarda in particolare la magistratura e che tocca la Costituzione. Io ho più volte espresso la mia contrarietà alla separazione delle carriere. Temo che l’intervento di riforma costituzionale provocherà una lesione della indipendenza e dell’autonomia della magistratura».
Tra gli interventi anche quelli di Ernesto Carbone (Csm), Rocco Maruotti (direttivo centrale Anm) e Lucia Musti (procuratore generale presso la Corte d’appello di Torino). «Una riforma così importante, com’è una riforma di natura costituzionale – ha commentato Musti – dovrebbe partire quantomeno da una riflessione di natura numerica e statistica, ovvero porsi la banale domanda se sia di una qualche utilità o meno sotto questo primo profilo. La nostra è una cultura giuridica nella quale il coordinamento autonomo delle indagini, il rapporto costante con la polizia giudiziaria, l’acquisizione certosina dei riscontri alle notizie di reato, l’ascolto dei dissensi e rigetti del gip o del riesame, la costruzione della prova nel rapporto con la difesa, la capacità di cambiare idea durante l’istruttoria dibattimentale sono la più significativa garanzia per l’indagato-imputato e, più in generale, per il cittadino».
Gennaro Grimolizzi su Il Dubbio
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