Il biglietto d’accesso a Venezia ha funzionato nel modo sbagliato
La misura era stata introdotta dal Comune per limitare i flussi turistici in giorni particolarmente affollati. Non è andata come previsto.
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La soluzione al problema della turistificazione ancora non esiste. Non siamo nemmeno tutti d’accordo che la turistificazione sia un problema da risolvere, in realtà: per esempio, la ministra competente Daniela Santanché di sicuro non è di questo avviso e non pensa che il turismo debba essere oggetto di qualsivoglia tentativo di regolamentazione (o anche solo razionalizzazione). Come lei politici e imprenditori in tutto il mondo, e quindi si va per tentativi alla ricerca di una soluzione che possa legare assieme le estremità del filo: l’estremità delle necessità economiche – le stime al ribasso dicono che il turismo vale circa il 5 per cento del Pil italiano, percentuale che sale al 13 se si considera l’indotto – e quella del benessere dei residenti. Mentre nel mondo si cominciano ad adottare soluzioni via via più radicali (pistole ad acqua, invasioni pacifiche, proteste di piazza, divieto di affitto breve), in Italia siamo ancora alla fase della negazione, siamo ancora convinti che per tirarci fuori dai guai basterà un – modestissimo – disincentivo economico. L’esempio è ovviamente Venezia e il cosiddetto “contributo di accesso”, istituito in via sperimentale lo scorso 25 aprile, un primo tentativo di tracciare e limitare i flussi turistici che negli anni hanno trasformato Venezia in qualcosa che chiamiamo ancora città ma che non è più la città per come l’abbiamo definita nel Novecento.
Per chi non se lo ricordasse o non lo sapesse, il contributo d’accesso funziona così: tutti i turisti dai 14 anni in su che visitano in giornata – vale a dire dalle 8:30 alle 16, senza pernottare – i sestrieri e la Giudecca devono pagare un contributo, appunto, di cinque euro al giorno. Ci sono le dovute eccezioni (per esempio: il contributo non vale per la stazione di Santa Lucia, per alcuni punti di passaggio, per le isole minori o per territori comunali come Mestre) ed esenzioni. L’operazione è abbastanza semplice: ci si registra su un apposito portale, si seleziona il giorno o i giorni in cui si visiterà la città, se questo giorno o questi giorni rientrano in quelli per i quali è previsto il pagamento del contributo, si paga. Dopodiché si riceve un Qr Code da esibire ai controllori presso i varchi posti nei principali punti di accesso della città. Quando il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, presentò il «piano sperimentale» nello scorso settembre, disse che sarebbe servito a «gestire i visitatori giornalieri, dirottandoli su altre date». Il contributo, infatti, non è “fisso”: bisogna pagarlo solo se si visita la città in determinati giorni, decisi dal Comune in quanto momenti di particolare – tradotto: eccessivo – afflusso turistico. Tutti i giorni tra il 25 aprile e il 5 maggio 2024 e tutti i fine settimana fra l’11 maggio e il 14 luglio (esclusi l’1 e il 2 giugno).
A detta dello stesso Brugnaro, lo scopo non era far cassa, anzi: l’iniziativa «costerà più di quanto ci farà incassare», aveva spiegato il sindaco. L’obiettivo era «garantire ai residenti una qualità della vita migliore», aveva ribadito poi Simone Venturini, assessore al Turismo del Comune di Venezia. Secondo le previsioni, il contributo d’accesso avrebbe aggiunto al bilancio comunale 700 mila euro al massimo. Nei 29 giorni di sperimentazione seguiti da quell’annuncio, il Comune ha incassato 2.43 milioni di euro, cioè più di tre volte quello che ci si aspettava nella più ottimistica (o pessimistica) delle previsioni. Il pagamento del contributo è stato effettuato per un totale di 485 mila volte, nessuna sanzione è stata comminata, fatto che ha portato i critici della misura ad accusare l’amministrazione di non aver prestato poi tutta questa attenzione ai controlli né ai trasgressori. Altri dicono che i controllori magari si sono accorti di eventuali ingressi non autorizzati ma hanno preferito evitare l’intervento, consapevoli che i multati avrebbero avuto la possibilità di contestare il provvedimento nelle sedi opportune. Ma, visti i risultati ottenuti dal contributo di accesso, dubitiamo che le multe (da un minimo di 50 a un massimo di 300 euro) avrebbero scoraggiato granché.
I commenti dell’opposizione alla giunta comunale – Brugnaro è stato eletto in una lista civica di centro-destra – dei cittadini e delle associazioni che combattono la turistificazione della loro città li potete immaginare: il contributo non è servito a nulla perché non poteva servire a nulla, nessun turista deciderà mai di non venire a Venezia in una certa giornata perché altrimenti gli toccherebbe spendere cinque euro in più. Anche i commenti dell’amministrazione comunale li potete immaginare: il sindaco ha parlato di un grande successo, e si è detto convinto che l’istituzione del contributo abbia aiutato a contenere i flussi turistici in diversi di quei “giorni chiave”. Per il futuro, si vedrà: l’iniziativa potrebbe essere confermata così com’è, l’elenco dei giorni in cui il contributo è dovuto potrebbe aumentare, il contributo stesso potrebbe diventare più oneroso e salire addirittura all’esorbitante cifra di dieci euro. Tutto però dipenderà dai risultati dell’analisi di un’apposita commissione, che esaminerà nel dettaglio pregi e difetti di questa iniziativa: di fatto, ancora non sappiamo se quest’anno, nei giorni interessati, in città siano arrivati più o meno turisti “giornalieri”, ma a questo punto non sappiamo più nemmeno se fosse quello l’obiettivo. Iniziativa che, però, l’assessore Venturini ha già definito una «rivoluzione culturale» di cui Venezia è anticipatrice e avanguardia. E dire che avevamo l’impressione che i troppi turisti disposti a qualsiasi costo a visitare la città fossero proprio il problema da risolvere. Ma si torna all’inizio di questo discorso: non siamo nemmeno tutti d’accordo che la turistificazione sia un problema da risolvere, in effetti.
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