I medici di base frenati da troppa burocrazia
Marta Mora, 33 anni, medico di famiglia a Borgomanero e Cavaglio d’Agogna, ha raggiunto la soglia massima di 1.800 pazienti da assistere.
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«È dura, ma rifarei questa scelta altre mille volte». Marta Mora, 33 anni, ha deciso di lavorare come medico di famiglia. Nel luglio 2021 ha inaugurato il suo primo ambulatorio a Borgomanero, città dove si è trasferita da Cureggio, e pochi mesi dopo ha aperto un secondo studio a Cavaglio d’Agogna. In questa zona è preoccupante la carenza di camici bianchi, tanto è vero che la giovane professionista ha già raggiunto la soglia massima dei 1.800 pazienti da assistere.
«Fino a una decina di anni fa per la generazione dei nuovi arrivati come me sarebbe stato complicato perfino trovare una sede dove allestire un ambulatorio – racconta – e quindi sviluppare il proprio bacino di pazienti. Da questo punto di vista l’emergenza si sta rivelando un’opportunità per chi vuole intraprendere questa carriera, ma è ovvio che bisogna trovare delle soluzioni definitive. Per i giovani sarebbe importante crescere con il tempo, e non ritrovarsi subito a dover affrontare troppi casi. Un appello? Occorre ridurre i numeri dei mutuati o quantomeno sgravare i medici dalle eccessive mansioni burocratiche».
Mora, membro del consiglio provinciale della Federazione dei medici di medicina generale (Fimmg), si unisce agli avvertimenti dei colleghi e di una parte del mondo politico: se passa la linea secondo cui il sistema è in grado di reggere il peso di quasi 2 mila persone a carico di ciascun professionista, allora l’invito ad andare oltre i limiti rischia di trasformarsi in una prassi con inevitabili ricadute negative sulla qualità del servizio offerto ai cittadini.
«Il problema è che abbiamo tanti pazienti anziani da seguire e l’età media della popolazione continua a salire – spiega il medico -. Purtroppo non riusciamo ad assistere tutti come vorremmo. Mi domando che tipo di sanità territoriale vogliamo impostare, se poi dobbiamo stare dietro anche a lungaggini come certe procedure per la prenotazione di esami con classi di priorità. Intoppi che penalizzano anche gli specialisti, peraltro. Qui non si tratta di una guerra tra ospedale e territorio. Ognuno sceglie quale strada imboccare in base alla propria indole». Nelle difficoltà, Mora è convinta del percorso intrapreso. «Sono innamorata di questo mestiere – insiste – perché non c’è niente più bello di ricevere gratificazioni da pazienti che segui con costanza e impari a conoscere nel quotidiano. Certo, ormai dobbiamo stare dietro a tutto e in certi casi ci troviamo ad affrontare situazioni familiari complesse come i servizi sociali. Però è stimolante».
La Stampa
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