Puzzle complicato per la Commissione.
La presidente costretta a prorogare a metà settembre la scadenza della presentazione dei candidati: moral suasion con i leader europei per l’equilibrio di genere. Nessuna rottura con la premier italiana: l’obiettivo di tenerla dentro il campo europeista, in funzione anti-Salvini.
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A pochi giorni dalla scadenza di fine mese per la presentazione dei candidati da parte degli Stati membri, il puzzle della nuova Commissione europea resta complicato. Tanto che, al rientro dalla pausa estiva, Ursula von der Leyen è costretta a rimandare la scadenza di sabato prossimo: la nuova squadra sarà presentata solo a metà settembre. Complicatissimo l’equilibrio di genere, che al momento è obiettivo mancato visto che dei 22 Stati che hanno già ufficializzato il proprio candidato, solo sei hanno presentato candidature al femminile. La presidente tedesca non dispera, ma non vuole nemmeno usare la clava, si apprende a Bruxelles. Von der Leyen non vuole arrivare al punto di respingere i candidati perché non vuole uno scontro diretto con le capitali, un metodo che non le appartiene. Piuttosto userà tutta la moral suasion possibile e anche la leva del portafoglio: su questo è lei che decide. L’idea è di promettere deleghe di peso agli Stati collaborativi. Giorgia Meloni non ha intenzione di presentare una candidatura al femminile in alternativa al nome finora predestinato, Raffaele Fitto. Così rischia di non avere una vicepresidenza esecutiva della Commissione. Per il resto, von der Leyen è intenzionata a tenere la premier italiana nel campo europeista, in funzione anti-Salvini.
La metà di settembre potrebbe dunque segnare la vera ripresa dell’attività europea dopo le ferie di agosto. Von der Leyen dovrebbe presentare la sua squadra. E negli stessi giorni Mario Draghi dovrebbe presentare a Bruxelles il suo report sulla competitività europea. Ma la strada è in salita per la presidente tedesca. Non solo Ursula vuole rispettare l’obiettivo della parità di genere, ma deve anche trovare un equilibrio tra le richieste dei vari Stati sui portafogli della nuova Commissione. Quelli dell’Europa del centro e dell’est, per esempio, puntano a ottenere deleghe sulla difesa europea. Gli altri vogliono portafogli economici. Tra questi anche l’Italia. Per Meloni, che solo venerdì al vertice con gli alleati dovrebbe sciogliere la riserva sul commissario che spetta a Roma, sembra tramontare l’ipotesi di ottenere una vicepresidenza esecutiva, ma non tramonta il suo rapporto con Ursula, almeno per come la vedono a Bruxelles. Negli ambienti europei si guarda con soddisfazione al lavoro degli ultimi due anni. L’obiettivo di portare la leader di Fratelli d’Italia nel campo europeista è riuscito, gli attacchi di Salvini e della Lega lo confermano e ora sono temuti. Ragion per cui von der Leyen vuole continuare nello stesso approccio, dimostrare che Meloni ha ragione su Salvini se mantiene una linea europeista, permettere a questa narrazione di avere successo per il bene dell’Italia.
Naturalmente molto dipenderà dalla premier, ma a Bruxelles la tavola è apparecchiata in questi termini, se lei vuole accomodarsi. La nuova maggioranza Ursula, che a luglio ha ratificato il secondo mandato di von der Leyen alla presidenza della Commissione, è riuscita a escludere le destre estreme ma questo non significa che il pericolo sia alle spalle. Domenica prossima si vota nei Lander della Germania dell’est dove l’Afd è primo partito. A Bruxelles sono preoccupati che l’attentato di Solingen da parte di un siriano che doveva essere rimpatriato possa portare acqua al mulino dei sovranisti. Una ragione in più per puntare ad avere Meloni dalla parte europeista e non con gli estremisti. A lei la scelta.
Quanto all’Europa del bis di von der Leyen di scelte ne dovrà fare tante, in una fase di transizione e di attesa per le presidenziali negli Stati Uniti. Durante la pausa estiva lo scenario sul voto di novembre è cambiato con la discesa in campo di Kamala Harris. A Bruxelles registrano il clima di entusiasmo e positività che la candidata Democratica ha portato nella campagna elettorale in antitesi al linguaggio apocalittico di Donald Trump. Ma tutto dipende dagli Stati in bilico, che terranno il mondo con il fiato sospeso a cominciare dall’Ue, primo partner degli Usa. Un’incognita che almeno a Bruxelles alimenta i piani per rafforzare l’industria europea della difesa, per non continuare a fare affidamento su Washington. Dovrebbe essere più semplice ora che l’Unione è riuscita a spezzare la dipendenza con il gas russo e ha avviato una riflessione sui materiali critici che importa dalla Cina.
Ma il problema sta sempre negli egoismi nazionali, gli stessi che al momento ostacolano i piani di Ursula per la formazione di una squadra in equilibrio di genere. La presidente è ancora fiduciosa, ma a Bruxelles c’è chi scommette che stavolta andrà peggio di cinque anni fa, quando la tedesca riuscì a farsi rispettare. Né si può fare completo affidamento sull’Europarlamento, che ha il compito di esaminare i candidati commissari e può anche bocciarli, come è accaduto nel 2019 alla francese Silvie Goulard. Ma certo non può respingere una candidatura solo perché maschile. Il metro è di solito la competenza rispetto al portafoglio assegnato e gli eventuali conflitti di interesse. Insomma, von der Leyen è abbastanza sola nella sfida con i leader nazionali.
Al momento, la presidente ha davanti a sé uno schema di tre gruppi: ci sono i leader che le stanno promettendo collaborazione, quelli che non ne vogliono sapere di cambiare candidato e quelli che stanno riflettendo. Le quattro donne nominate sono Teresa Ribera (Spagna); Dubravka Suica (Croazia); Jessika Roswall (Svezia) e Henna Virkkunen (Finlandia). I sedici commissari nominati sono invece Valdis Dombrovskis (Lettonia); Thierry Breton (Francia); Wopke Hoekstra (Paesi Bassi), Oliver Varhelyi (Ungheria); Maros Sefcovic (Slovacchia); Christophe Hansen (Lussemburgo); Victor Negrescu (Romania); Magnus Brunner (Austria); Jozef Sikela (Repubblica Ceca); Apostolos Tzitzikostas (Grecia); Michael McGrath (Irlanda); Glenn Micallef (Malta); Piotr Serafin (Polonia); Tomaz Vesel (Slovenia); Costas Kadis (Cipro) e Andrius Kubilius (Lituania). Per Ursula questa lista non è scolpita sulla pietra. Ma sarà questo primo braccio di ferro con gli Stati membri a determinare il suo potere contrattuale con le capitali.
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