LE AGGRESSIONI NEGLI OSPEDALI IN AUMENTO
Medici e infermieri, boom di offese: "Ma si rischia l’escalation".
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Ogni giorno al pronto soccorso e nei reparti psichiatrici invettive verso i sanitari “Serve più formazione e dialogo per superare i contrasti. I volontari utilizzati come trait d’union”.
Non sono ancora le 9. Una quindicina di persone è in piedi al triage (l’accettazione); quelle sedute sono poco meno. La sala è spaziosa e luminosa. In fondo, ricurvo, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia e il cellulare stretto in mano, un signore di circa 50 anni aspetta di sapere che cosa ne sarà di lui. Con pazienza attende che vengano prima assistiti i casi più gravi. Ma non tutti i pazienti sono altrettanti calmi. C’è chi sbuffa, chi se la prende con il medico o infermiere di turno. I ’triagisti’ registrano i dati di chi arriva e valutano i problemi, dal codice rosso (si interviene subito) al bianco (può aspettare). Ma quando arrivi non pensi al codice. Cerchi solo aiuto. Sei spaventato: “Qui l’ansia è il sintomo principale”, annuisce un’infermiera esperta. Seduto in attesa ti senti in balia degli eventi e il pannello informativo è solo una serie di numeri. In cerca di aggiornamenti c’è chi si rivolge al triage. Il più carino dice: “La prego…”. E quello meno carino, si fa per dire, tira un pugno al vetro, da in escandescenza. Scene di ordinaria follia con cui medici, operatori sanitari e infermieri, sono costretti a fare i conti ogni giorno. Le aggressioni, soprattutto verbali, sono frequentissime. Sono stati 142 gli episodi di violenza nel 2023 nelle strutture di Ausl e azienda ospedaliera universitaria. Di questi 122 hanno riguardato gli infermieri, 15 i medici, il resto altri operatori. Le aggressioni solo fisiche nel 2023 sono state 12, altre 40 quelle sia fisiche che verbali, che hanno comportato anche danneggiamenti a cose. L’ultimo episodio violento di gravi proporzioni nel gennaio scorso al pronto soccorso: un paziente molto agitato colpì violentemente un sanitario in turno assestandogli una ginocchiata. Ma, per fortuna, questi episodi sono i meno frequenti. in ogni caso, per limitare la violenza contro gli operatori sanitari, in prefettura, nell’aprile scorso, sono state presentate le iniziative per prevenire il fenomeno delle aggressioni. “Una delle più importanti è la mappatura”, sottolinea il risk manager Rosa Maria Gaudio. “Grazie alle segnalazioni interne sulle aggressioni – continua – l’azienda riesce a individuare le aree più critiche, quelle dove serve un maggior intervento”. Nel 2024 il trend delle aggressioni non è cambiato: “Sono aumentate quelle verbali, che non vanno sottovalutate perché possono dare vita ad escalation pericolose. Le aree più colpite sono il pronto soccorso, i reparti che si occupano di casi psichiatrici o del serd. Poi c’è un altro settore che ha numeri da non tenere conto: la medicina interna dove le aggressioni verbali si verificano nei casi di lungo degenza quando un paziente o i familiari non sono d’accordo, ad esempio, sul giorno delle dimissioni oppure sulle terapie messe in campo”. Ci sono medici che non voglio tornare sul posto di lavoro dopo aver subito aggressioni: “In questi casi abbiamo creato il gruppo benessere che da supporto ai professionisti. Si cerca di analizzare insieme al medico o all’operatore l’accaduto”. Il Covid ha cambiato tutto: “C’è un’aggressività sociale – prosegue Gaudio – che prima non c’era. Abbiamo sviluppato tutti una forma di egoismo verso la nostra malattia, manca la solidarietà per chi sta male. E così accade che nei pronto soccorsi si pretenda di essere assistiti prima di un altro paziente più grave di noi”. L’unica soluzione alle aggressioni è una maggiore formazioni di medici, infermieri e operatori sanitari: “Soltanto attraverso il dialogo e alla valutazione dell’utenza che si ha di fronte, si possono superare certe criticità. Anche l’uso dei volontari per fare trait d’union con i professionisti sanitari potrebbe essere una soluzione ai contrasti che si vengono a creare nei pronto soccorsi e non solo”.
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