Azione in via d'estinzione.
L'emorragia non si ferma. Ma il problema non è solo quantitativo: quelli di Costa, Carfagna, Gelmini e Versace sono addii eccellenti. I moderati spalancano le porte e Calenda rinnega le ultime alleanze con il centrosinistra: "Azione è al centro, distinta da campo largo"
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“Oggi no”. All’indomani dei tre addii eccellenti ad Azione, nessuna delle tre parlamentari fuoriuscite si sente di parlare, per non (testuale) “rigirare il dito nella piaga”. Ma il terremoto all’interno del partito di Carlo Calenda – ieri se ne sono andate Maria Stella Gelmini, Giusy Versace e Mara Carfagna, pochi giorni fa aveva detto addio Enrico Costa – si sente. E, pallottoliere parlamentare alla mano, si vede. “Azione? Ma non c’è rimasto più nessuno, solo Calenda”, è la battuta velenosa che si sente nel Transatlantico di Montecitorio. In effetti, le truppe azioniste si sono ridotte. Soprattutto, sono rimaste orfane di nomi eccellenti, che garantivano visibilità e voti. Al Senato Azione è letteralmente dimezzata: erano in quattro, restano in due. Con l’addio di Versace e Gelmini, il senatore Calenda rimane con la sola compagnia di Marco Lombardo. Alla Camera da inizio legislatura se ne sono andati in quattro. E per un partito piccolo la cifra è ben pesante. Oltre a Carfagna e Costa bisogna, infatti, sottrarre Naike Gruppioni, transitata in Italia Viva nel 2023 e Giuseppe Castiglioni, passato a Forza Italia prima delle europee. Se nella truppa di Azione sono rimasti in 10, è solo grazie all’ingresso di una ex 5 stelle, Federica Onori, e di due ex Iv, Elena Bonetti e Ettore Rosato.
Carlo Calenda, incassato il colpo, pensa a come salvare il partito. E in serata rilancia con quello che sembra un nuovo posizionamento. O un modo per rinnegare le alleanze appena strette, per salvare il salvabile. Da Azione, infatti, fanno sapere che durante la direzione nazionale del partito il leader ha voluto sottolineare il posizionamento di Azione, “distinto dal campo largo e dai populismi di destra e di sinistra”, e ribadito che la compagine “è al centro dello schieramento politico così come hanno voluto gli elettori ed è impegnata nella costruzione di una proposta riformista e pragmatica”. Le ultime alleanze con M5s, Pd e Avs sembrerebbero suggerire il contrario. Ma tant’è.
Davanti ai cronisti lo hanno intercetta all’assemblea di Confindustria, in mattinata il leader di Azione si era tolto qualche sassolino dalla scarpa: “Buona strada – aveva mandato a dire a Gelmini, Carfagna e Versace – l’unico dispiacere è che quando si viene eletti tra le fila dell’opposizione se si ha rispetto degli elettori normalmente non si passa in maggioranza a meta’ legislatura. Ognuno fa le scelte che ritiene giuste, ma è chiaro che si tradisce il mandato elettorale”. Accusa che viene respinta al mittente. “L’area culturale di Gelmini è sempre stata chiara”, dicono dall’entourage della senatrice, che nella mattinata si è tenuta lontana dai lavori del Senato. E dalle domande dei cronisti.
La nota al vetriolo di Azione, che in sostanza rinfacciava a Carfagna, Gelmini e Versace di averle accolte in un momento difficile – e ci viene specificato off the records, “di aver dato loro pure ruoli di rilievo” – è stata letta senza particolare stupore. Perché per le tre ex azioniste a essere cambiate non sono loro, ma il partito. “Ci sono tre elezioni regionali in arrivo – è il ragionamento che fa chi ha parlato con le parlamentari – come facevano persone che hanno impostato la loro politica anche contro il populismo dei 5 stelle a salire sui palchi con loro?”. Non potevano. E hanno deciso, dopo mesi in cui le voci si rincorrevano, di staccare la spina. Gelmini e Versace hanno fatto in tempo a dirlo a Calenda. E sostengono di averlo lasciato “in maniera pacifica”. Carfagna, invece, avrebbe voluto parlargliene oggi, nel corso di un direttivo. Ma è stata anticipata da una nota del partito. Che, dopo i primi due addii, ha cercato di limitare i danni. Ed è per questo che il divorzio dall’ex ministra delle Pari opportunità sembra essere quello finito peggio.
L’emorragia, lo accennavamo, è stata inaugurata da Enrico Costa. Chi aveva modo di parlarci quotidianamente, da mesi percepiva l’insofferenza nei confronti dell’avvicinamento di Calenda al campo largo. “Ogni giorno – si sfogava con gli amici – Calenda dice che nel centrosinistra non c’è giustizialismo. Ogni giorno, con un tweet, provo a spiegargli che è vero il contrario, ma lo spartiacque è la Liguria”. Saltato quel tabù – l’alleanza, in chiave anti Toti, con il centrosinistra alle regionali di ottobre- il parlamentare ha formalizzato il nuovo corso.
Il futuro di Costa è quello più chiaramente segnato: è rientrato nella sua vecchia casa, Forza Italia, dove troverà i vecchi compagni di strada ma dovrà accettare di non essere più una voce unica sulla giustizia. Carfagna, Gelmini e probabilmente anche Versace sono, invece, in transito verso Noi Moderati. Che un percorso sia in atto è evidente dalla nota-invito di Maurizio Lupi: “Guardiamo con grande rispetto al disagio politico di chi si è impegnato a costruire una forza centrista – dice il leader di Noi Moderati – dobbiamo avere il coraggio di aprirci a tutti coloro che nella società civile in questi anni si sono allontanati, e agli amici impegnati in politica che vengono dalla nostra storia, persone come Mara Carfagna, Mariastella Gelmini e Giusy Versace, e che possono con la loro autorevolezza costruire un percorso per rafforzare l’area moderata del centrodestra. Sono sicuro che il loro sarebbe un contributo prezioso”.
Nei corridoi di Montecitorio si racconta che Noi Moderati sarebbe una tappa intermedia, perché l’approdo finale sarebbe Forza Italia. Tajani si affretta a smentire: “Non ci sono trattative”.
Formalmente, le tre parlamentari ora transitano nel gruppo misto. Praticamente, però, sono tre voti in più alla maggioranza. Un aiuto non da poco, soprattutto al Senato, dove la maggioranza, pur stabile, ha uno scarto minore rispetto alla Camera. Il primo banco di prova sarà la Rai: in Vigilanza alla maggioranza è stato regalato un voto in più, quello di Gelmini, che non è sufficiente al via libera alle nomine, ma lo rende meno lontano.
Ma queste migrazioni da Azione quanto vale in termini elettorali? Quel 3% che si registra nei sondaggi – poca roba, se si considera che nel 2022 in alcune elezioni amministrative Azione aveva sfondato il 10% – è destinato a prosciugarsi? Secondo Livio Gigliuto, presidente dell’Istituto Piepoli, “quando Carfagna e Gelmini sono entrate, quel flusso da destra che Calenda si aspettava non è partito. Lui, come Matteo Renzi, è identificato dagli elettori come esponente del centrosinistra”. Se non c’è stato un afflusso non ci sarà neanche un deflusso? Non è detto, anzi è più probabile il contrario: “Si tratta di profili forti che porteranno via qualche voto legato al territorio e al loro nome – continua Gigliuto – ma il rischio per Azione è un altro. C’è una tendenza nell’elettorato per cui più un partito cresce, più i cittadini lo votano, perché lo vedono in salute. Se, invece, un partito tende a svuotarsi, gli elettori tendono ad allontanarsi. E a guardare altrove”.
Di Federica Olivo su Huffpost
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