Anno: XXV - Numero 214    
Giovedì 21 Novembre 2024 ore 13:20
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P.A., dirigenti anche senza concorso

Ma con “timore della firma”.

P.A., dirigenti anche senza concorso

Il capitolo Pubblica Amministrazione è da sempre centrale negli obiettivi di riforma delineati dai governi o sollecitati da impegni europei. Ed è logico che sia così perché è l’apparato amministrativo che deve realizzare gli obiettivi individuati dall’indirizzo politico della maggioranza di governo. E lo fa attraverso i dipendenti dello Stato, utilizzando le procedure che la politica ha stabilito. Fondamentali sono, dunque, la professionalità dei dipendenti e l’adeguatezza delle normative che essi sono chiamati ad applicare.

Venendo a parlare di professionalità noi dobbiamo riflettere sull’attuale sistema che incentra tutto sui dirigenti, trascurando di considerare il ruolo di quella che un tempo era chiamata “carriera direttiva”, alla quale si accedeva mediante pubblico concorso, come prescrive l’art. 97 della Costituzione. I “direttivi” ambivano a diventare dirigenti, un obiettivo che perseguivano con l’impegno professionale e di studio partecipando a concorsi fortemente selettivi.

Si è fatta un po’ di confusione negli ultimi anni, perché ai dirigenti si richiedono capacità organizzative, di indirizzo e coordinamento degli uffici assegnati, mentre il funzionario direttivo è colui il quale ha la capacità di istruire e predisporre un provvedimento sulla base di procedimenti spesso appesantiti dal concorso di più amministrazioni.

Quindi una riforma della Pubblica Amministrazione dovrebbe affrontare questi problemi, preoccupandosi dell’adeguatezza dei procedimenti rispetto agli obiettivi che la legge e le direttive ministeriali individuano e della professionalità dei funzionari e dei dirigenti. Ora, negli ultimi tempi si è abbassato il livello della selezione. Un grave errore perché i governi non hanno bisogno di funzionari e dirigenti qualunque, ma di professionisti dotati delle cognizioni e delle esperienze che sono richieste per adottare i provvedimenti, quindi di conoscenze giuridiche prima di tutto, perché si applicano norme di legge, poi economiche e di tutte le altre necessarie per confezionare un adeguato provvedimento che superi i controlli di legalità ed eviti eventuali impugnazioni dinanzi ai giudici amministrativi.

È evidente che se si abbassa il livello della selezione conseguentemente diminuisce la capacità dell’apparato di rispondere alle richieste dei governi e si comprende anche come si evochi, di tanto in tanto, il “timore della firma” che poi è palesemente un falso problema, tenuto conto che per i provvedimenti soggetti a controllo preventivo, contabile della ragioneria e di legittimità della Corte dei conti, lo stesso provvedimento non può essere fonte di responsabilità patrimoniale perché, una volta ammesso al visto, mancherebbe il requisito della “colpa grave” che deve necessariamente essere individuato dal giudice contabile per affermare una responsabilità di natura patrimoniale.

Se responsabilità c’è, dunque, è il più delle volte negli adempimenti successivi al contratto, il quale può essere conforme a legge, quanto all’esigenza che prevede la fornitura di beni o servizi ma può dar luogo ad un danno erariale se i beni o i servizi consegnati o forniti non sono corrispondenti al capitolato di appalto e vengono tuttavia presi in carico. La responsabilità, dunque, non è di colui il quale ha adottato il provvedimento ma di chi ha accertato la conformità del bene o del servizio al contratto di fornitura.

Questo bisogna che sia ben presente in chi decide di assumere con prove non selettive o addirittura senza concorso, perché la fretta di acquisire dipendenti senza verificare il livello della loro professionalità è un danno enorme recato all’amministrazione e alla sua immagine agli occhi dei cittadini.

“I filoni principali su cui si lavora sono due – ha scritto Gianni Trovati su Il Sole 24 Ore di ieri a proposito di quel che bollerebbe nella pentola di Palazzo Vidoni, sede del Ministero per la P.A. – : il ripensamento delle carriere, con la possibilità di attribuire una quota di posti dirigenziali sulla base della valutazione professionale e personale del candidato e non attraverso il classico meccanismo del concorso, e un nuovo sforzo nel rafforzamento delle competenze tecnologiche e digitali della Pa con percorsi di carriera dedicati a queste figure e con una spinta ulteriore alla formazione interna”.

Il Ministro Paolo Zangrillo avrebbe in mente di procedere con concorsi semplificati a fronte di un incremento della partecipazione ai bandi che, a conti fatti, avrebbero segnalato un fenomeno in precedenza sconosciuto, quello delle rinunce, in particolate fra i profili più elevati sul piano delle competenze tecniche e professionali, che, sottolinea Trovati nel suo articolo, sono “più appetibili dal mercato del lavoro privato”. Anche in ragione del fatto che, secondo quanto avrebbero percepito alla Funzione pubblica, un sistema di carriere troppo legato all’anzianità scoraggerebbe i migliori.

Di qui l’idea di studiare la possibilità di carriere senza concorso come avviene negli alti gradi di alcune amministrazioni, dagli interni agli esteri. Una ipotesi, tuttavia, che trascura l’ambito limitato nel quale quelle nomine dirigenziali vengono attribuite, che certamente non possono risolvere il tema dello scarso appeal, soprattutto retributivo, dell’impiego pubblico. Perché, per evocare il dirigente bancario francese passato allo stato con un trattamento economico inferiore è difficile ripetere “vuol considerare il prestigio di servire la Francia!”. Purtroppo l’immagine della PA italiana in assenza di performance accertate di efficienza è estremamente basso. E vuol dire che la strada finora percorsa non è quella giusta.

 

 

 

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