Puzza di Hamas.
La sinistra si tiene alla larga dalla piazza Pro-Pal.
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Domani a Roma sfilerà tutta la galassia antagonista, sfidando il divieto della Questura e del Tar: dai Giovani Palestinesi a Potere al Popolo, passando per una sfilza di centri sociali. La comunità palestinesi in Italia è spaccata, l’ala moderata non ci sarà. E staranno a casa anche i parlamentari più vicini alla causa
Una piazza divisa. Il movimento di solidarietà alla Palestina conferma la manifestazione di sabato 5 ottobre, nonostante il divieto della Questura. Ma non riesce a nascondere le crepe interne. Resta a casa tutto l’associazionismo che fa capo alle posizioni di Al Fatah, il partito laico e di sinistra. Così nella piazza romana, per paradosso la comunità palestinese di Roma e del Lazio, che si riconosce nelle posizioni più moderate, non sfilerà. Non ci saranno neppure le Comunità Palestinesi, l’Associazione Palestinesi in Italia, il Movimento Studenti Palestinesi. L’organizzazione dell’evento sarà in mano all’ala radicale dei Giovani palestinesi.
L’effetto di dissuasione si spiega in gran parte con la piattaforma della manifestazione. Al punto 3 del programma i GP hanno voluto inserire un punto fortemente divisivo. “Supportiamo l’obiettivo dello smantellamento dell’entità sionista in quanto progetto coloniale di insediamento basato sulla pulizia etnica e sul genocidio sistematico del popolo palestinese, così come è stato riconosciuto dalla Corte Internazionale di Giustizia”. E’ il paradigma della cancellazione di Israele, altro che due Popoli, due Stati. Ma non solo. Nella lettera con cui annunciavano l’adesione, i Giovani Palestinesi hanno sostanzialmente rivendicato il 7 ottobre. Con le loro parole: “Il 7 ottobre è la data di una rivoluzione. I progressisti, nell’ultimo anno, hanno potuto sfoggiare tanti termini alla moda: “decolonizzazione”, “messa in discussione della visione eurocentrica”, “assumere la prospettiva dei colonizzati” e altre simili amenità. Peccato che abbiano una paura quasi isterica di inserire il 7 ottobre come momento rivoluzionario all’interno di una lotta di liberazione anticoloniale”, scrivono i Giovani Palestinesi. Ma non basta. Hanno saldato la questione palestinese con la battaglia contro il ddl sicurezza, e accusano il governo italiano di essere “complice del genocidio” in corso. Accanto a loro, i giovani avranno, l’Unione Democratica Arabo Palestinese, che ha promosso il ricorso al Tar contro la decisione di vietare la manifestazione. Dopo la conferma del tribunale amministrativo, l’Udap rilancia. “La controparte non ha fornito nessuna documentazione su un reale, tangibile e circostanziato “pericolo per l’ordine pubblico”. Siamo convinti che non si possa sottostare a un tale sopruso, specie mentre Israele punta ad allargare ulteriormente la sua aggressione militare contro il Libano, con oltre 40mila palestinesi uccisi dai bombardamenti israeliani, con la complicità diretta di un governo italiano prono, rinnoviamo la nostra volontà di manifestare la nostra solidarietà al popolo palestinese e libanese e contro la complicità diretta dell’Italia nel genocidio in corso”.
Con queste premesse, era facilmente immaginabile che si producesse una selezione naturale tra i politici e le associazioni italiane vicine alla causa palestinese. Ci saranno i Carc, Rifondazione Comunista e Potere al popolo, per i sindacati i Cobas, e poi una sfilza di centri sociali, dai No Tav piemontesi, al torinese e anarchico Askatasuana, a Jesopazz, Iskra, Officina 99 di Napoli. Insomma, una piazza tutta antagonista. L’Anpi non ha aderito. Il comunicato con cui l’associazione che celebra i partigiani ha chiarito la sua posizione sul Medio Oriente è stata giudicata “democristiana” dagli organizzatori. Ma coincide con le posizioni di Fatah: “’Due popoli in due Stati’ deve cessare di essere un vuoto slogan e diventare un obiettivo politico da perseguire concretamente ad ogni livello istituzionale e politico. Davanti al rischio di un conflitto generalizzato e alla catastrofe umanitaria in corso, chiediamo un’assunzione di responsabilita’ da parte dei governi e delle organizzazioni internazionali: chiediamo il cessate il fuoco in tutto il Medio Oriente, la convocazione di una conferenza di pace sotto l’egida Onu, l’immediato riconoscimento dello Stato di Palestina da parte del governo italiano e dei governi europei, la tempestiva distribuzione di aiuti umanitari per tutta la popolazione colpita dal conflitto”.
Su queste posizioni si muove la sinistra parlamentare, che tuttavia si batte perché la manifestazione sia consentita. Dal Pd, ad Avs, ai M5s, nessuno calcherà il percorso che sabato alle 14 da Piramide porterà all’Equilino. Non la presidente dell’intergruppo per la Pace tra Israele e Palestina, Stefania Ascari, che invece parteciperà alla manifestazione del 12. Non Luigi De Magistris. Non Laura Boldrini. “Non vado in piazza, non condivido alcuni slogan e parole chiave della manifestazione. Il 7 ottobre per me non è una rivoluzione ma un attacco terroristico”, dice l’ex presidente della Camera ad Huffpost. “In una democrazia però – aggiunge – le manifestazioni si gestiscono non si vietano, anche perché la libertà di manifestare è prevista dalla nostra Costituzione”.
Ieri alla Camera Boldrini, insieme ad altri parlamentari di Avs e del Pd ha incontrato l’ambasciatrice palestinese in Italia Abeer Odeh, accompagnata dalla diplomatica Lama Safadi. C’erano tra gli altri Marco Grimaldi, vicecapogruppo di Sinistra Italiana, Franco Mari, deputato di Avs, Francesca Ghirra, ancora del partito di Fratoianni. Hanno confermato all’ambasciatrice il sostegno alla causa palestinese, in un momento drammatico. Ma nessuno di loro sabato sarà in piazza. Anche se l’ambasciatrice lasciando la Camera all’Huffpost ha detto di ritenere giusta la manifestazione, nonostante cada il 5 ottobre, due giorni prima del 7 ottobre. “Gli israeliani manifestano quando e come vogliono. Noi invece dobbiamo sempre giustificare. Il punto è che la manifestazione del 5 è stata indetta un anno dopo la guerra scatenata da Israele contro Gaza”. A rigore non è così. La questione delle date è centrale e forse all’ambasciatrice sfugge il calcolo che divide lo stesso movimento palestinese, dove spiegano che fissare la manifestazione il 5 ottobre significa prenotare il sabato più vicino all’inizio dell’operazione di Hamas Tempesta Al Aqsa. E dunque rivendicarla come una rivoluzione. Fissarla il 12, come farà l’ala moderata, significa prenotare la piazza più vicina al 9 ottobre, inizio dell’operazione Spade di ferro di Israele contro Gaza. E rivendicare la resistenza palestinese. I parlamentari italiani non condividono quell’impostazione. “Io vado in piazza ogni volta che una piattaforma mi rappresenta, quando la piazza non avrà ammiccamenti verso i proxy e l’ayatollah io ci sarò. Per me Hamas è come gli ayatollah, sono parte del problema, anche se questo non autorizza nulla del genocidio in atto. Della piattaforma non mi convince l’incipit: il 7 ottobre non è l’inizio di nessuna resistenza. Da molti anni esiste un movimento che chiede la fine del conflitto e dell’oppressione. Io sono da sempre vicino alle ragioni di Fatah e di Arafat”, dice Marco Grimaldi, vicecapogruppo di Sinistra Italiana, all’Huffpost.
Lui, come Boldrini e Ascari, fa tuttavia una battaglia per consentire che la manifestazione si tenga comunque. La pentastellata Ascari ha depositato un’interrogazione al ministro dell’Interno per chiedere le ragioni del divieto imposto dal questore di Roma. “Questo non è il primo caso di divieto di manifestazioni pro-Palestina in Italia, poiché in passato sono stati adottati provvedimenti simili in altre città, spesso accompagnati dall’uso della forza da parte delle forze dell’ordine. Il Ministro è a conoscenza della decisione adottata dalla questura di Roma e quali sono le esatte motivazioni alla base del divieto? Quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per favorire un dialogo tra le istituzioni e i movimenti della società civile, al fine di prevenire escalation di tensioni e garantire che le manifestazioni si svolgano in maniera pacifica?”.
Per Grimaldi sarebbe positiva una convergenza verso una manifestazione centrata sul cessate il fuoco, “su una data fuori dalle polemiche e sulla base di una piattaforma che riconosce che il 7 ottobre come un crimine contro l’umanità. Ma non vorrei si rientrasse dentro una dinamica preventiva per cui il governo si arroga il diritto di dire quando una piattaforma sbagliata e quando no. E sulla base di questo concede o no il diritto di manifestare. Per cui Acca Larentia si può fare e un’altra no. Di questo passo dove arriviamo, al reato di istigazione al terrorismo? Le manifestazioni non devono essere autorizzate, ai sensi della Costituzione. Tanto è vero che esistono manifestazioni spontanee”. Ma intanto dalla piazza dei Pro Pal radicali la Sinistra, variamente articolata, si tiene lontana. Ciò non significa che non sarà una manifestazione partecipata. Sono previste almeno 30mila persone. Domani al Viminale sarà definito il piano per l’ordine pubblico e la sicurezza. A Furio Camillo, poco lontano dal punto in cui partirà il corteo, l’associazione Islamica Imam Mahdi commemora il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ucciso da un raid israeliano in Libano venerdì scorso. “E’ una cerimonia che facciamo anche per i defunti sconosciuti – dice l’imam Hussein Morelli – ma Nasrallah era un leader rispettato e di elevato livello”.
di Alfonso Raimo su Huffpost
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