La pensione in cumulo gratuito per cassa forense.
In questa breve disamina di dottrina e giurisprudenza, mi soffermerò sull’istituto del cumulo gratuito.
Tale istituto permette a chi abbia versato contribuzione per periodi non coincidente in due o più gestioni previdenziali e che non sia già titolare di trattamento pensionistico autonomo presso una delle predette gestioni, di unificare i periodi in questione al fine del conseguimento di un’unica pensione.
Il problema nasce sul criterio di calcolo della pensione in cumulo gratuito e cioè se retributivo, misto o contributivo.
In attuazione delle disposizioni di legge e delle prerogative della sua autonomia regolamentare, Cassa Forense ha adottato il regolamento per le prestazioni previdenziali in regime di cumulo con la delibera del Comitato dei Delegati del 25.10.2019 che è stata oggetto di controllo e approvazione ministeriale in data 19.05.2020.
L’art. 3 del Regolamento stabilisce che la quota base della pensione di vecchiaia o di vecchiaia anticipata in cumulo a carico di Cassa Forense è determinata con il metodo di cui all’art. 4 del Regolamento delle prestazioni (criterio retributivo) qualora il richiedente abbia interamente maturato presso Cassa Forense i requisiti contributivi di cui all’art. 2 del citato regolamento.
Forte di questa disposizione, il delegato di Cassa Forense Avv. Alessandro Di Battista scriveva: «La quota delle prestazioni in cumulo a carico di Cassa Forense è determinata con il criterio di calcolo contributivo di cui all’art. 8 del Regolamento delle Prestazioni Previdenziali (pensione di vecchiaia contributiva), mentre, per la sola quota modulare, si applicano i criteri di calcolo di cui all’art. 6 del medesimo Regolamento. Qualora l’iscritto abbia interamente maturato presso Cassa Forense i requisiti contributivi di cui all’art. 4 del Regolamento delle Prestazioni (che sono per il corrente anno 2020 34 anni di contribuzione, mentre dal 2021 in poi occorreranno 35 anni di contribuzione) la quota a carico della Cassa per la pensione di vecchiaia in cumulo o di vecchiaia anticipata ex art. 1 lettera b) (65 anni di età con almeno 40 anni di contribuzione) verrà calcolata con il metodo applicato per la pensione di vecchiaia retributiva; in questi casi, l’iscritto ha diritto anche alla integrazione al minimo di cui all’art. 5 del Regolamento delle Prestazioni, che, invece, non si applica per le altre prestazioni in cumulo. In ogni caso la quota di pensione in cumulo non potrà essere inferiore a quella spettante in caso di totalizzazione».
Per contro la Collega Daniela Carbone, prematuramente scomparsa e alla quale va il mio commosso ricordo, su CFnews del 09.05.2022, a proposito del cumulo gratuito, giustamente scriveva:
«Per la misura della pensione potranno essere utilizzati anche i periodi coincidenti, atteso che, per la misura del trattamento pensionistico pro quota (a differenza del diritto a pensione) devono essere presi in considerazione tutti i periodi assicurativi accreditati nella singola gestione, indipendentemente dalla loro eventuale coincidenza con altri periodi accreditati presso altre gestioni (ciascuna gestione, provvederà a liquidare il rispettivo pro quota di competenza tenendo conto delle proprie regole di calcolo). Ne consegue per la Cassa Forense, che:
– per coloro che, mediante l’istituto del cumulo, raggiungano l’anzianità contributiva prevista per il diritto a pensione di vecchiaia (35 anni dal 2021), si procederà al calcolo della pensione con il sistema retributivo previsto dal Regolamento delle prestazioni della Cassa;
– per coloro che, con l’istituto del cumulo, raggiungano una anzianità contributiva complessiva inferiore a quella prevista per il diritto a pensione (35 anni dal 2021), si procederà al calcolo della pensione con il sistema contributivo previsto dal regolamento delle prestazioni».
Ora la giurisprudenza che si è formata sul criterio di calcolo da seguire nella liquidazione della prestazione in cumulo gratuito (Corte di Appello di Firenze, 01.07.2022, n. 499; Tribunale di Milano, sentenza n. 2464/2023, confermata dalla Corte di Appello di Milano con sentenza n. 5/2024 del 15.01.2024) ha affermato che per la determinazione dell’anzianità contributiva rilevante ai fini dell’applicazione del sistema di calcolo della pensione, si deve tener conto di tutti i periodi assicurativi non coincidenti accreditati nelle varie gestioni in forza dell’art. 1, comma 246 della legge 228/2012.
La Corte di Appello di Milano ha altresì respinto l’eccezione svolta da Cassa Forense che ha richiamato l’autonomia normativa degli enti previdenziali privati con riguardo al conflitto che pone la norma regolamentare rispetto alla disciplina legale.
La Corte di Appello di Milano ha rilevato come “l’eventuale attività di delegificazione o di regolamentazione in deroga, non possa comportare la violazione di principi di rango costituzionale, quale la parità di trattamento a sensi dell’art. 3 Cost. rinvenendosi la ratio del comma 246 nell’impedire un sostanziale pregiudizio delle ragioni di chi abbia versato contributi, nel corso della propria carriera lavorativa, in gestioni diverse rispetto a chi li abbia versati in un’unica gestione, risultando peraltro la diversa interpretazione” (quella sostenuta da Cassa Forense) “del tutto irragionevole rispetto alle finalità della legge sul cumulo gratuito, che sarebbe inutile laddove si richiedesse un’anzianità contributiva corrispondente a quella necessaria per conseguire la pensione di vecchiaia ordinaria con i soli contributi versati in Cassa Forense”.
Il cumulo gratuito è stato introdotto con legge ordinaria ed è opinabile potervi derogare, in peius, con noma regolamentare.
Ricordo però che per il Prof Massimo Luciani “l’autonomia normativa riconosciuta dal decreto legislativo n. 509 del 1994, per quanto solo implicita, è comunque particolarmente estesa ed include la facoltà di derogare le stesse norme di fonte primaria, tanto da potersi parlare di delegificazione se non addirittura di destatalizzazione”.
È però da anni in atto un lento processo di ripublicizzazione della previdenza privata.
La norma in questione, comma 246 della legge 228/2012 non è “previgente” alla “privatizzazione” ma successiva e, quindi, se recepita, non può essere modificata in peius.
E valga il vero secondo Cass.14.1.2021, n.544 per la quale: “La questione dedotta attiene alla estensione dei poteri regolamentari riconosciuti alla Cassa di previdenza ricorrente, con particolare riferimento ai possibili suoi effetti derogatori, rispetto alla disciplina legale del rapporto contributivo (legge n. 576 del 1980) vigente anteriormente alla privatizzazione, con particolare riferimento al diritto al rimborso dei contributi soggettivi versati nell’ ipotesi in cui l’iscritto si cancelli dalla Cassa senza aver acquisito il diritto a pensione; quanto all’ efficacia dell’attività regolamentare della Cassa Forense all’interno del sistema delle fonti, a seguito dell’entrata in vigore degli artt. 2, comma 1, d.lgs. 509/1994 e dell’art. 3, comma 12, I. n. 335/1995, questa Corte di cassazione si è pronunciata con la sentenza n. 24202 del 16 novembre 2009, seguita, tra le altre, da Cass. 12209/2011, Cass. 19981/2017 e da Cass. n. 3461/2018; si è, dunque, affermato un orientamento, cui si intende dare continuità, che previa ricognizione del quadro normativo come interpretato dalla precedente giurisprudenza costituzionale e di legittimità, ritiene che: a) il nuovo ente, sorto per effetto del D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509 in attuazione della delega conferita dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 1, comma 32, non fruisce di finanziamenti o di altri ausili pubblici di carattere finanziario e mantiene la funzione di ente senza scopo di lucro cui continuano a fare capo i rapporti attivi e passivi ed il patrimonio del precedente ente previdenziale; b) tale ente ha assunto la personalità giuridica di diritto privato con il mantenimento dei poteri di controllo ministeriale sui bilanci e di intervento sugli organi di amministrazione (oggi più penetranti per effetto dell’art. 14 I. n. 111/2011) in aggiunta alla generale soggezione al controllo della Corte dei conti ed a quello politico da parte della Commissione parlamentare di cui all’art. 56 della legge n. 88/1989: dunque è rimasto immutato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza ed assistenza svolta dall’ente originario, non incidendo su di esso la modifica degli strumenti di gestione legati alla differente qualificazione giuridica e permanendo l’obbligatorietà della contribuzione a conferma della rilevanza pubblicistica dell’inalterato fine previdenziale, come affermato da Corte costituzionale n. 248 del 18 luglio 1997, oltre che del principio di autofinanziamento (vedi Corte cost. n. 340 del 24 luglio 2000); c) il riconoscimento, operato dalla legge in favore del nuovo soggetto, dell’autonomia gestionale, organizzativa, amministrativa e contabile che, comunque, non esclude l’eventuale imposizione di limiti al suo esercizio (vd. Corte cost. n. 15/1999), ha realizzato una sostanziale delegificazione attraverso la quale, nel rispetto dei limiti imposti dalla stessa legge, è concesso alla Cassa di regolamentare le prestazioni a proprio carico anche derogando a disposizioni di leggi precedenti, secondo paradigmi sperimentati ad esempio laddove la delegificazione è stata utilizzata in favore della contrattazione collettiva.” (vd. Cass. n. 29829 del 19 dicembre 2008; 15135/2014).
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