Anno: XXV - Numero 214    
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SANITÀ IN CODICE ROSSO

Perché il pronto soccorso è diventato un ring?

SANITÀ IN CODICE ROSSO

“Nel decreto approvato a fine settembre, firmato dai ministri della Salute e della Giustizia, sono state introdotte misure importanti, tra cui l’arresto in flagranza differita per le aggressioni al personale sanitario e i danneggiamenti alle attrezzature e alle strutture sanitarie. Si tratta di un inasprimento delle norme da parte del governo, reso necessario dai numerosi episodi gravi che hanno coinvolto medici e infermieri, divenuti bersaglio della rabbia di familiari e amici dei pazienti. Nei confronti di questi individui ci sarà un approccio rigoroso, volto a tutelare sia il personale che le strutture dove vengono curate le persone.

Lo ha dichiarato Andrea Mascaretti, deputato di Fratelli d’Italia nelle Commissioni Bilancio a Lavoro a Montecitorio, nel corso del Cnpr forum “Sanità in codice rosso: perché il pronto soccorso è diventato un ring?”, promosso dalla Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili, presieduta da Luigi Pagliuca.

“Negli ultimi anni si è assistito a un accesso improprio e incontrollato ai pronto soccorso. Oltre a inasprire le pene – ha aggiunto Mascaretti -, è fondamentale coinvolgere maggiormente la medicina territoriale. Il governo, nella legge di bilancio, ha stanziato 500 milioni di euro, destinati a ridurre le liste d’attesa, anche attraverso interventi che permettano di identificare i casi urgenti e garantire le prestazioni sanitarie nei tempi giusti. Questo aiuterà a ridurre l’uso improprio dei gettonisti e a utilizzare l’intramoenia senza costi aggiuntivi per i pazienti”.

Secondo Marianna Ricciardi, parlamentare del M5s in Commissione Affari sociali alla Camera: “L’episodio di Foggia, in cui operatori sanitari sono stati costretti a barricarsi per sfuggire alla furia dei parenti di una ragazza deceduta, è stato terribile. E purtroppo, non è un caso isolato: numerosi episodi simili vedono in pericolo gli operatori sanitari in tutta Italia. Ci troviamo di fronte a due fronti contrapposti: da un lato, medici e infermieri ‘stremati’ da turni estenuanti che superano le settanta ore settimanali; dall’altro, pazienti esasperati dalle lunghe liste d’attesa, con tempi di attesa di dieci mesi per una TAC o una colonscopia. Tutte le aggressioni devono essere condannate duramente, anche attraverso l’inasprimento delle pene per chi compie atti violenti contro gli operatori sanitari. Tuttavia, non possiamo illuderci che questo sia sufficiente. Il problema è anche strutturale, con gravi carenze di personale e strutture. È fondamentale investire adeguatamente nel Servizio Sanitario Nazionale, rendendolo una priorità assoluta. Ospedali di comunità e case della salute hanno bisogno di risorse umane come medici di base e pediatri di libera scelta, altrimenti rischiamo che queste strutture restino tristemente vuote”.

Puntare su educazione e cultura è fondamentale per Alessandro Colucci (Noi Moderati), segretario di Presidenza della Camera dei Deputati: “In Italia è venuto meno il rapporto di fiducia tra paziente e medico, creando un distacco che deve essere assolutamente ristabilito. L’iniziativa del governo a tutela dei sanitari è fondamentale, soprattutto per quanto riguarda l’arresto in flagranza differita, introdotto in risposta ai gravi episodi di violenza a cui abbiamo assistito recentemente. Questi eventi ci hanno costretto a intervenire con modifiche alle norme penali, e a prevedere la presenza di presidi di polizia negli ospedali.

Tuttavia, è necessario agire anche sul piano culturale ed educativo. È inaccettabile che qualcuno, insoddisfatto delle cure ricevute, arrivi a devastare un pronto soccorso. La responsabilità parte dalle famiglie e dalla scuola, che devono indirizzare le persone verso il giusto comportamento. Inoltre, il rapporto tra la medicina di base e le strutture ospedaliere va ripensato. Dobbiamo evitare che i cittadini si rivolgano al pronto soccorso anche per semplici valutazioni diagnostiche. Questo è un compito delle regioni, che devono collaborare per favorire un dialogo più efficace tra i medici di famiglia e gli ospedali.”

Preoccupazione esprime Devis Dori, deputato di Alleanza Verdi Sinistra in Commissione Giustizia: “Il grave fenomeno delle aggressioni al personale sanitario non è nuovo, ma sta peggiorando in modo preoccupante. Il personale è in prima linea, a stretto contatto con i cittadini che arrivano con problemi seri e si aspettano risposte immediate. Tuttavia, non sempre è possibile fornirle, poiché mancano risorse adeguate per soddisfare le loro richieste. Le aggressioni, ovviamente, non vanno mai giustificate, ma le misure del governo, come l’inasprimento delle pene per gli aggressori, non risolvono il problema alla radice. Non è aumentando le condanne che si mettono in sicurezza i medici.

In Lombardia, per esempio, i servizi di pronto soccorso si stanno progressivamente privatizzando: chi paga viene preso in carico subito, mentre chi non può permetterselo attende anche dieci ore in condizioni spesso drammatiche. È necessario investire nella sanità pubblica. La medicina territoriale rappresenta una via da seguire, ma non deve ridursi a uno slogan, come sta accadendo con le case di comunità. In Lombardia, per esempio, molte di queste strutture sono state inaugurate, ma rimangono contenitori vuoti senza personale. La medicina territoriale potrebbe essere una soluzione concreta, ma la politica sembra non crederci fino in fondo”.

Nel corso del dibattito, moderato da Anna Maria Belforte, il punto di vista dei professionisti è stato espresso da Mario Chiappuella, commercialista e revisore legale dell’Odcec di Massa Carrara: “Di fronte all’aumento incontrastato dei fenomeni di violenza nelle strutture sanitarie del nostro Paese, occorre una terapia d’urto che deve essere fatta non solo inasprendo le pene per i violenti ma anche consentendo al servizio sanitario nazionale di poter operare con mezzi e uomini sufficienti ai bisogni dei cittadini. Da questo punto di vista un apporto fondamentale è quello che può essere offerto dalla medicina territoriale senza dimenticare la necessità di trattenere i giovani laureati e specializzati in medicina in Italia con proposte contrattuali adeguate al loro valore e alle responsabilità cui sono chiamati”. 

Le conclusioni sono state affidate a Paolo Longoni, consigliere dell’Istituto nazionale esperti contabili: “In materia di emergenza derivante dai malesseri che avvengono nei pronto soccorso osservo che misure immediate che aggravino le sanzioni penali non sono la soluzione per problemi del genere.  Non si evitano così le intemperanze dei soggetti insoddisfatti dalle prestazioni sanitarie. Serve potenziare non solo l’educazione civica ma anche interventi che mettano gli operatori sanitari nelle condizioni di lavorare meglio e con meno stress nelle strutture ospedaliere. I pronto soccorso non possono essere trincee dove bisogna armarsi per sopravvivere. Se la sanità non ha dotazione sufficiente di risorse umane e finanziarie la risposta che è in grado di dare sarà inevitabilmente insufficiente. La medicina territoriale, che svolge un ruolo determinante per evitare il ricorso inutile al pronto soccorso quando non ci sono le condizioni di gravità, è ancora del tutto latitante. Se si ha bisogno di sanità si deve poter accedere nei centri territoriali ma se lì non si trova niente, ci si reca inevitabilmente al pronto soccorso anche per una semplice febbre”.

 

 

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