Verso l’accordo per la scelta dei Giudici costituzionali
Sembra farsi strada l’ipotesi di un compromesso tra maggioranza e opposizione.
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È l’ora dei “pontieri”, si è scritto e detto a proposito della scelta dei giudici costituzionali. Al plurale, perché se nei giorni scorsi è andato in onda il tentativo di elezione del giudice mancante, a fine anno lasceranno l’incarico altri tre ed è evidente che, tenuto conto del quorum richiesto per l’elezione da parte del Parlamento in seduta comune, è necessaria un’intesa fra i partiti, anche per togliere agli eletti il marchio di una sola parte politica che non si confà a dei giudici chiamati a decidere sulla costituzionalità delle leggi.
Sembra dunque aprirsi una possibile soluzione per l’elezione del giudice attualmente mancante e per gli altri che dovranno essere eletti a fine anno. Naturalmente non è tutto semplicissimo, anche perché ognuno dei protagonisti dell’ipotetica intesa, reali o virtuali, ha esigenza di far emergere la sua volontà e le sue indicazioni. Si muove Carlo Calenda, si muove Gianni Letta, si muovono i centristi che da Azione sono passati in Forza Italia e cominciano a emergere nomi di possibili Giudici. Oltre a quello di Francesco Saverio Marini, fortemente voluto da Giorgia Meloni, si fanno i nomi di Stefano Ceccanti, di Maria Elisabetta Alberti Casellati, Ministro delle riforme, già Presidente del Senato e Consigliere del CSM, del Viceministro alla Giustizia Francesco Paolo Sisto, del senatore Pierantonio Zanettin.
È probabile che quando la maggioranza tornerà a riproporre Marini sarà già stata raggiunta un’intesa con l’opposizione per l’intero pacchetto, ciò che consentirà a Elly Schlein di scendere dall’Aventino. L’intesa dovrebbe essere possibile anche perché, ad una ragionevole valutazione del più recente passato, con l’esclusione di Nicolò Zanon e di Giovanni Pitruzzella chiamato a sostituirlo, negli ultimi decenni quasi tutti i giudici della Consulta sono stati scelti tra personalità dell’area del centrosinistra. Sia quelli eletti dalle Camere, sia quelli di nomina presidenziale.
I giudici, a norma dell’art. 135 Cost., “sono scelti tra i magistrati, anche a riposo, delle giurisdizioni superiori ordinarie e amministrative, i professori ordinari di università in materie giuridiche e gli avvocati con più di venti anni di esercizio”. Ovviamente, come si evince dagli atti dell’Assemblea costituente, contrariamente a quanto si è letto spesso in questi giorni, i nominati e gli eletti, appartenenti a queste categorie spesso non lo erano al momento della loro nomina e/o elezione. E se per i magistrati è espressamente previsto che possano essere anche “a riposo” analoga possibilità non è data ai professori ed agli avvocati, di nomina presidenziale o di elezione parlamentare. Infatti, se la Costituzione avesse voluto prevedere che gli stessi potevano essere (anche) a riposo al momento della nomina o dell’elezione, l’avrebbe espressamente previsto. Mentre la norma si riferisce ai professori ordinari di materie giuridiche in servizio o avvocati che abbiano esercitato con continuità per almeno 20 anni la professione legale. Dagli atti dell’Assemblea costituente si evince, infatti, senza alcun ulteriore dubbio interpretativo, che i Costituenti hanno indicato una strada precisa, individuare non chi è stato professore ordinario, ma chi è tuttora in servizio e che rappresenta, nel suo ambito, nella comunità scientifica, anche per prestigio istituzionale, un ruolo scevro da condizionamenti. Lo stesso discorso vale per gli avvocati che devono aver dimostrato, nel campo professionale, un indiscutibile profilo di eccellenza.
Da decenni invece abbiano assistito a nomine e/o elezioni di figure non appartenenti o riferibili alle categorie che la Costituzione e i costituenti hanno inequivocabilmente indicato ma che la stessa Corte, invocando l’autodichia, ha “certificato” ex post.
La lista degli ex professori ed ex avvocati (magari iscritti si all’albo da oltre 20 anni ma che non hanno mai esercitato) è lunga. Qualcuno che è alla Corte oggi al momento della nomina/elezione era un ex.
Andrebbe, dunque, spostata l’attenzione dal come votare (in tutti gli articoli si parla delle maggioranze occorrenti) ma finalmente su chi, cioè sulle caratteristiche soggettive previste come garanzia dalla Costituzione. Una piccola statistica sul recente passato, senza in alcun modo mettere in dubbio l’autorevolezza degli attuali Giudici e dei loro predecessori, rivela che il Presidente, Barbera, al momento dell’elezione era in pensione da 7 anni, a nulla rilevando se professore emerito al momento della nomina. Ugualmente Modugno, in pensione da 7 anni, D’Alberti, in pensione da 4 anni. In precedenza Amato, era in pensione, come Paolo Grossi e Giuliano Vassalli. Tuttavia, qualcuno di loro, avvocato con 20 anni di esercizio della professione, era eleggibile o nominabile a quel titolo. Anche Paolo Maria Napolitano, Consigliere di Stato in servizio, eletto dal Parlamento il 5 luglio 2006, non apparteneva ad una delle categorie eleggibili dal Parlamento (professori universitari di materie giuridiche o avvocati) in quanto la scelta di un magistrato amministrativo spetta al collegio elettorale delle magistrature superiori. A meno che, in pensione, sia passato nella categoria degli avvocati.
Ce n’è, dunque, di elementi di discussione per i “pontieri” e i loro referenti politici. Vien da dire “torniamo alla Costituzione” un po’ come Sidney Sonnino invocava – in altro cotesto e con diversa finalità – il ritorno “allo Statuto”.
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