La battaglia d’Albania la sta vincendo Meloni
L’intervento dei magistrati rafforza l’immagine di un governo contrastato nel tentativo di trovare una soluzione. Mentre a sinistra la linea solidale non sposta voti (che peccato dimenticare Minniti).
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Ma in definitiva chi ha vinto la battaglia d’Albania? I fatti, come si dice, parlano da soli ma non risolvono tutti i dubbi. La bizzarra gita dei dodici trasportati sulle vicine coste adriatiche da una nave della Marina; l’intervento dei magistrati; il ritorno in Italia non proprio glorioso. E poi, Giorgia Meloni fremente di rabbia contro “una parte delle istituzioni” che rema contro; Salvini ancora più esplicito verso la magistratura “politicizzata”; l’opposizione che chiede quasi implora l’Unione affinché apra una procedura d’infrazione contro l’Italia (e anche questo, bisogna ammetterlo, non si vede tutti i giorni). In poche parole, la vicenda albanese ha inasprito i rapporti politici, radicalizzato le posizioni, riaperto l’eterno scontro tra magistratura e politica. In apparenza ha prevalso la magistratura che ha abilmente utilizzato la norma europea per infliggere uno smacco al governo di centrodestra. Ma se vogliamo stabilire se l’opposizione è in grado di trarre profitto dalla vicenda e di ricavarne un dividendo di opinione pubblica, la risposta non può essere che interlocutoria. L’uso di termini quali “deportazione” e “lager” sembrano un tantino esagerati, benché implicitamente autorizzati dall’iniziativa dei giudici.
Allora gli aspetti da considerare sono soprattutto due. Il primo: non sarà che alla fine Giorgia Meloni incasserà quel dividendo? Nel senso che il colpo basso infertole dall’ordine giudiziario, pur fondato su tutte le ragioni formali, finirà per indispettire quella parte di elettorato che chiede maggiore severità contro gli immigrati irregolari e quindi aveva visto di buon occhio la soluzione albanese. Il fatto che l’operazione sia stata affossata da una magistratura in funzione di supplenza della politica non indebolisce il consenso della presidente del Consiglio. Almeno non necessariamente. Del resto, a Palazzo Chigi possono sbandierare – lo stanno già facendo – l’interesse europeo per tutte le iniziative utili a frenare l’immigrazione e a incrementare i rimpatri. Non è sadismo, ma convenienza. Tutti i partiti, nelle nazioni in cui si è votato negli anni più recenti, si sono accorti di quanto pesi il problema dei clandestini. In un modo o nell’altro, i cittadini chiedono più controlli. E i politici hanno dovuto porsi la questione, ciascuno a suo modo: da Starmer (e prima Sunak) a Barnier, da Sanchez a Scholz. Gli immigrati devono essere regolari, selezionati e ben integrati nella società produttiva. Questo interessa a una fetta consistente di pubblico votante e non gli aspetti tecnici attraverso i quali si raggiunge il risultato. La Meloni aveva ottenuto ascolto con la sua proposta, benché il metodo non fosse condiviso da tutti; quindi il passo indietro imposto al governo dal magistrato potrebbe risolversi in un aumento del consenso, anziché in un’ulteriore punizione da parte dell’opinione pubblica.
Secondo punto. A questo aspetto hanno pensato i capi dell’opposizione, da Elly Schlein a Giuseppe Conte? Forse non abbastanza, altrimenti rivedrebbero qualcosa nelle loro politiche di opposizione che finora non hanno dato grandi frutti. La linea aperturista verso i migranti, tipica di un paese cattolico in cui l’insegnamento del Papa e dei vescovi ha ancora il suo valore morale, non sposta voti. Ed è strano, se si considera che proprio il centrosinistra aveva espresso negli anni scorsi un ministro dell’Interno che ottenne eccellenti risultati nel contenimento dell’immigrazione, usando talvolta metodi spicci. Quel politico, lo ha ricordato Alessandro De Angelis, si chiamava Marco Minniti. È curioso, ma nessuno dell’opposizione si rammenta di lui quando c’è da deridere il governo per il passo falso in Albania, magari citando un’alternativa. Come mai? Perché l’azione di Minniti fu aspramente criticata proprio dalla sinistra, la sua parte politica. Criticata con la richiesta di maggior lassismo. Ovvero, se vogliamo usare un linguaggio più consono, di maggiore slancio solidaristico.
Non stupisce allora che oggi il centrosinistra abbia pochi argomenti per sottrarre voti alla destra quando si tratta d’immigrazione. Ne ha invece moltissimi per radicarsi tra coloro che criticano il governo e la premier. Ma questi appartengono già allo “zoccolo duro” di chi non ha bisogno di essere convinto a votare a favore della Schlein e contro la Meloni. Il problema sono tutti gli altri: quelli che vogliono più sicurezza nelle strade e credono poco, magari a torto, nella società multietnica.
di Stefano Folli su Huffpost
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