Sciopero dei medici, crescono le adesioni alla mobilitazione
La protesta contro la manovra indetta per il 20 novembre. Con i sindacati di categoria, in campo anche l’ordine e le società scientifiche.
Non sono bastate le briciole trovate in extremis dal ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti a consolare medici e infermieri. Dopo le velleitarie affermazioni del ministro della salute Orazio Schillaci sugli «oltre tre miliardi» in arrivo per la sanità, il contraccolpo dei numeri veri della manovra – 1,3 miliardi di euro per il settore – è stato troppo forte. E adesso allo sciopero e alla manifestazione di categoria indetti per il 20 novembre vogliono partecipare tutti. Di ora in ora le adesioni si moltiplicano e arrivano anche da sigle tradizionalmente poco combattive. Tutti i sondaggi più recenti mostrano che la salute è salita in cima alle priorità dell’opinione pubblica. Per un governo che usa il consenso anche per giustificare le violazioni delle leggi (vedi la figuraccia sui centri per migranti in Albania) questo può diventare un grosso problema.
A lanciare lo sciopero del 20 novembre erano state inizialmente Anaao, Cimo e Nursing Up: sigle che nel settore dei medici ospedalieri e degli infermieri rappresentano una fetta numericamente importante del lavoro sanitario. Ieri l’adesione è arrivata anche dai cosiddetti «specializzandi», i medici già laureati che si perfezionano frequentando una scuola di specializzazione che dura cinque anni e lavorando in ospedale in cambio di una borsa da 1.700 euro al mese. Il governo aveva promesso un aumento sostanzioso delle borse soprattutto per chi si specializza nelle discipline in cui c’è bisogno di nuovi medici, come microbiologia, rianimazione e soprattutto pronto soccorso. Invece quelli contenuti nella finanziaria sono piccoli e soprattutto rinviati di due anni.
«Oscillano da 80 euro al mese per tutti i medici specializzandi e tra i 162 euro e 198 euro per quelle specialità carenti» e soprattutto «tali aumenti sono previsti a partire dall’anno accademico 2025/2026 quindi a ottobre del 2026, tra 25 mesi!» denunciano l’Associazione Liberi Specializzandi e i Giovani Medici per l’Italia. L’astensione dal lavoro degli specializzandi in realtà non è prevista, dato che gli specializzandi sono formalmente considerati studenti. Invece manifesteranno e sciopereranno comunque: «Il quotidiano svolgimento di atti medici che salvano vite e le sentenze che condannando gli specializzandi dimostrano inequivocabilmente che non stiamo studenti, ma lavoratori con responsabilità medica».
Oltre ai giovani medici, pensano alla protesta anche quelli non inquadrati come dipendenti: medici di famiglia, pediatri, specialisti ambulatoriali e medici della sanità territoriale che lavorano in convenzione con il Ssn. Trattandosi di liberi professionisti, la dimestichezza con lo sciopero è scarsa. Il tono invece è deciso: «Si pone l’imperativo di esprimere con la massima forza possibile il proprio dissenso per una Legge di Bilancio che stanzia per gli operatori della sanità risorse inadeguate – dichiarano insieme le sigle Fimmg, Fimp, Smi, Fmt e Sumai maggioritarie in queste categorie – addirittura del tutto assenti per la medicina convenzionata, nonostante la riforma preveda il potenziamento della medicina territoriale», da tutti considerata invece l’anello debole della nostra sanità. Perciò, i medici convenzionati «non vedono oggi altra soluzione che avviarsi verso una protesta unitaria».
Visto uno schieramento di protesta mai così ampio, a dar manforte ai professionisti intervengono persino l’ordine dei medici e le società scientifiche, solitamente neutri rispetto ai governi. «Dal nostro osservatorio – dice il presidente della federazione degli ordini Filippo Anelli – siamo testimoni del disagio che attraversa l’intera professione medica, che oggi si unisce a difesa del Ssn. L’incertezza sulle risorse, sul quanto e sul quando saranno stanziate, su come saranno impiegate». Da ex-dirigente del sindacato dei medici di famiglia Fimmg, che nell’Ordine dei medici pesa parecchio, Anelli si dice preoccupato dalla «’rimozione’ della medicina territoriale, completamente dimenticata dalla Manovra, benché sia ritenuta di centrale importanza per i sistemi sanitari che sono sempre più oberati dalle cronicità».
Dal Forum che riunisce 75 società scientifiche di ambito medico arriva una presa di posizione che assomiglia un documento politico, un fatto insolito per organi che si occupano soprattutto di congressi e protocolli terapeutici. Il fatto è che Schillaci, accademico ed ex-rettore, era percepito come un interlocutore amico e la sua giravolta adesso non viene perdonata. «I pochissimi provvedimenti promossi sono a finanziamento zero e su singoli specifici problemi, senza affrontarne alla radice le cause» scrivono le società. «Ad esempio le liste d’attesa, a diversi mesi dall’emanazione della Legge ‘salta code’, continuano inesorabilmente a peggiorare, mentre assistiamo ad un rimbalzo imbarazzante di responsabilità su questo tema tra Governo e Regioni».
Il risultato? «l’articolo 32 della Costituzione sul diritto alla salute sta esaurendo la sua effettività e la Legge sull’Autonomia Differenziata punta a smontare il SSN». Il documento del Forum propone una soluzione che al governo non piacerà: «per porre le basi e iniziare un processo di rafforzamento del Ssn con la gradualità purtroppo necessaria fino al raggiungimento degli standard degli altri Paesi europei, servono almeno 10 miliardi, da investire immediatamente. Altrimenti sono a rischio le cure e l’assistenza dei cittadini del nostro Paese» scrivono. «Chiediamo alla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni di istituire un Board di salute pubblica per salvare il Servizio Sanitario Nazionale, che sta perdendo il suo carattere universalistico».
Il Manifesto
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