Al partito di Conte si è sgonfiato il populismo.
Liti interne, dubbi e polemiche, l'astensione in Liguria, ma il processo costituente non si ferma.
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Durissimo Toninelli che sta con Grillo: “Il M5s non ha perso perché non ha nemmeno partecipato. Sotto il simbolo del M5s c’era il partito di Giuseppe Conte, ma senza niente del Movimento”
Si è scaricato il populismo dei Cinque Stelle, che ora hanno davanti a sé una strada obbligata: diventare un partito – addio Movimento – schierato a sinistra. Più del risultato – il 4,8 per cento – la Liguria porta in dote al partito di Giuseppe Conte la novità di un’astensione crescente tra i suoi elettori. Buona parte di quelli che votavano Cinque Stelle, e che altrimenti non sarebbero andati a votare, oggi non lo fanno più. Un dato che era già emerso alle europee, ma che nella terra di nascita del grillismo fa più rumore. “Un astensionismo fortissimo”, ammette lo stesso Conte.
La questione si traduce nella discussione interna in una domanda: in Liguria ha perso il partito di Conte o il M5s di Grillo? Che è un altro modo di porre la questione di fondo: esiste ancora il Movimento Cinque Stelle delle origini? A Campo Marzio, dove Conte ha riunito i fedelissimi prendono sul serio il dato sull’astensione. E danno la colpa all’eredità ricevuta dal passato. Lo dimostra la lite via social tra Paola Taverna, responsabile territori del partito e Danilo Toninelli. Il primo degli astenuti è stato proprio il fondatore, che per la seconda volta dopo le europee, non vota il partito che ha fatto nascere. Toninelli giustifica Beppe Grillo. L’ex ministro tocca il nervo scoperto. “Il M5s non ha perso perché non ha nemmeno partecipato. Sotto il simbolo del M5s c’era il partito di Giuseppe Conte, ma senza niente del Movimento. I candidati sono stati tutti di Giuseppe Conte, non della rete degli iscritti come avviene storicamente da sempre nel M5s”. E si sbilancia in una profezia funesta: “Movimentisti, non disperatevi perché si sta estinguendo da solo il partito di Conte”.
Toninelli è membro del collegio dei probiviri, ma nonostante il ruolo nazionale è tra i pochi fedeli alla linea di Grillo. Conte affida la risposta alla vicepresidente vicaria Paola Taverna. “Toninelli dice falsità. Questa non era la lista di Conte, ma del M5s. E se oggi abbiamo il 4,5%, probabilmente – spiega – dipende anche da una guerra interna che sta facendo molto male al Movimento. Molto più di quella che invece insieme, dovremmo fare contro il centrodestra”. La guerra, ca vas sans dire, la porta avanti Beppe Grillo. Nel the day after il comico genovese ha cercato di smuovere le truppe parlamentari – dove finora ha un seguito modesto – con un messaggio affidato al profilo whats app: “Si muore più traditi da pecore che sbranati dal lupo”.
Conte per una volta non gli ha replicato direttamente. Intercettato da Fanpage e Ilfattoquotidiano.it, il presidente ha ricordato “l’astensionismo fortissimo che in Liguria ha raggiunto dei massimi storici” e si è limitato a rispondere sferzante solo alle critiche di Renzi: “Da dove vengono, da Riad?”, ha detto. Ma Conte è convinto che il M5s deve togliersi dal mirino di Grillo e per farlo deve portare a termine il processo costituente che si concluderà il 23 e 24 novembre con l’assemblea nazionale. Il nuovo Movimento deve essere un partito davvero nuovo. Non può essere una rifondazione grillina. “Discuteremo di tutto”, ribadisce Conte ai giornalisti. A cominciare dallo scarso radicamento sui territori, eredità del partito by Beppe, e che a giudizio di Conte è tra le principali cause dell’astensionismo e dei deludenti risultati alle amministrative.
Ma il voto ligure ha avuto l’effetto di spaventare una parte della truppa. Prima della Liguria era più forte la tentazione di cambiare nome e simbolo, di fare del partito di Conte un partito senza legami con quello di Grillo. Ora quel treno ha rallentato. Il voto ligure è stato interpretato da molti parlamentari come il segnale che bisogna frenare sul cambiamento interno, che nome e simbolo vanno mantenuti. E anche se Conte è convinto del contrario, sa che deve procedere con cautela, per evitare strappi.
Tra i pontieri, i parlamentari che cercano di riannodare i fili tra fondatore e presidente, c’è la vicepresidente del Senato Mariolina Castellone. In una lettera aperta, pubblicata da Huffpost, Castellone chiede di fermare il processo costituente. “Vorrei capire perché da settimane stiamo masochisticamente calpestando la nostra storia, l’eredità di valori, di impegno, di battaglie che ci è stata lasciata da chi questa nostra meravigliosa creatura l’ha fondata. A chi giova la guerra tra Conte e Grillo? E quale è il risultato? Mille parole spese in televisione, cento titoli sui giornali e dieci miseri voti nelle urne”, scrive.
Per Castellone “è evidente che stiamo perdendo i nostri attivisti che se non si sentono coinvolti, partecipi, importanti, e vanno via. Ma soprattutto vanno via tanti elettori che oggi preferiscono non votare perché evidentemente non si sentono rappresentati da nessuna delle forze politiche esistenti. I livelli di astensionismo di ieri sono i più alti di sempre: più del 50%. E allora – aggiunge – fermiamoci. Se è stato fatto qualche errore, non è tardi per recuperare e per ripartire. Ci basta semplicemente restare noi stessi. Certo dobbiamo e vogliamo crescere, ma conservando la nostra identità e la nostra storia, di cui dobbiamo essere orgogliosi. Una storia racchiusa nelle nostre stelle”.
Ma la linea di fermare la costituente non passa a Campo Marzio. Vittoria Baldino, vicepresidente del partito, spiega all’Huffpost che il processo andrà avanti. “Dopo 15 anni abbiamo la maturità di aver riconosciuto la necessità di riossigenare il M5s ed è quello che stiamo facendo con l’assemblea costituente. Chi riduce tutto il processo costituente al dibattito sui mandati sbaglia perché il nostro obiettivo deve essere quello di tornare a parlare a quella metà di Italia che ormai sistematicamente decide di stare lontano dalla politica. Tutto il resto è marginale”.
Resta da definire il posizionamento politico del partito. Un particolare non secondario. Perché la Liguria consegna un quadro che accredita un certo affollamento a sinistra. Il Pd di Elly Schlein è al 28 per cento e Avs ben oltre il 6 per cento e al netto di prestiti alla lista di Andrea Orlando. Il Movimento Cinque Stelle avrebbe più spazio al centro. Ma nel partito di Conte smentiscono una manovra a U, per diventare un partito sul modello dipietrista. E mantengono la pregiudiziale contro Renzi. “Fermo restando che abbiamo compiuto una scelta di campo, questo non vuol dire legarsi a questo o quell’altro partito in maniera organica. Noi siamo il M5s e non ci rassegniamo all’idea che il futuro del Paese dipenda da chi usa la politica come un mezzo per ingrassare i suoi affari personali. Siamo altro, continuiamo ad essere altro”, dice ancora Baldino.
Più esplicito è Davide Aiello, deputato siciliano molto ascoltato da Conte. In Parlamento si rincorrono le voci di un accordo con Avs per gruppi coordinati. “E’ difficile che questo accada, con questa consistenza numerica non ce n’è bisogno. Ma certo noi siamo e rimaniamo progressisti e da lì non ci muoviamo. Al centro non ci stiamo, se questo significa intendere la politica come la intende Renzi. Basta vedere i progetti di legge che abbiamo presentato, dal salario minimo alla settimana corta”, spiega Aiello ad Huffpost. La lunga cosa rossa che va dal Pd ad Avs passando per il M5s ha già una nuova piazza per sperimentarsi, quella dello sciopero generale che Cgil e Uil potrebbero convocare. Ma a tutti e tre resta il problema del voto di protesta. Per quello non basta dirsi di sinistra. Un dilemma per il partito di Giuseppe Conte, che non può essere la rifondazione grillina. E a conti fatti anche per gli alleati.
di Alfonso Raimo su Huffpost
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