Le società tra avvocati alla luce del regolamento unico della previdenza forense
La sentenza n. 28274/2024 della sezione lavoro della Corte di cassazione.
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Le società costituite ai sensi dell’art. 4 bis della legge 31.12.2012, n. 247 (Esercizio della professione forense in forma societaria – 1. L’esercizio della professione forense in forma societaria è consentito a società di persone, a società di capitali o a società cooperative iscritte in un’apposita sezione speciale dell’albo tenuto dall’ordine territoriale nella cui circoscrizione ha sede la stessa società; presso tale sezione speciale è resa disponibile la documentazione analitica, per l’anno di riferimento, relativa alla compagine sociale. È vietata la partecipazione societaria tramite società fiduciarie, trust o per interposta persona. La violazione di tale previsione comporta di diritto l’esclusione del socio. 2. Nelle società di cui al comma 1: a) i soci, per almeno due terzi del capitale sociale e dei diritti di voto, devono essere avvocati iscritti all’albo, ovvero avvocati iscritti all’albo e professionisti iscritti in albi di altre professioni; il venire meno di tale condizione costituisce causa di scioglimento della società e il consiglio dell’ordine presso il quale è iscritta la società procede alla cancellazione della stessa dall’albo, salvo che la società non abbia provveduto a ristabilire la prevalenza dei soci professionisti nel termine perentorio di sei mesi; b) la maggioranza dei membri dell’organo di gestione deve essere composta da soci avvocati; c) i componenti dell’organo di gestione non possono essere estranei alla compagine sociale; i soci professionisti possono rivestire la carica di amministratori. 3. Anche nel caso di esercizio della professione forense in forma societaria resta fermo il principio della personalità della prestazione professionale. L’incarico può essere svolto soltanto da soci professionisti in possesso dei requisiti necessari per lo svolgimento della specifica prestazione professionale richiesta dal cliente, i quali assicurano per tutta la durata dell’incarico la piena indipendenza e imparzialità, dichiarando possibili conflitti di interesse o incompatibilità, iniziali o sopravvenuti. 4. La responsabilità della società e quella dei soci non esclude la responsabilità del professionista che ha eseguito la specifica prestazione. 5. La sospensione, cancellazione o radiazione del socio dall’albo nel quale è iscritto costituisce causa di esclusione dalla società di cui al comma 1. 6. Le società di cui al comma 1 sono in ogni caso tenute al rispetto del codice deontologico forense e sono soggette alla competenza disciplinare dell’ordine di appartenenza. (( 6-bis. Le società di cui al comma 1, in qualunque forma costituite, sono tenute a prevedere e inserire nella loro denominazione sociale l’indicazione “società tra avvocati” nonché ad applicare la maggiorazione percentuale, relativa al contributo integrativo di cui all’articolo 11 della legge 20 settembre 1980, n. 576, su tutti i corrispettivi rientranti nel volume di affari ai fini dell’IVA; tale importo è riversato annualmente alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense. 6-ter. La Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, con proprio regolamento da emanare entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, provvede a definire termini, modalità dichiarative e di riscossione, nonché eventuali sanzioni applicabili per garantire l’applicazione delle disposizioni del comma 6-bis. Il regolamento di cui al primo periodo è sottoposto ad approvazione ai sensi dell’articolo 3, comma 2, lettera a), del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509)), società tra avvocati iscritte nella sezione speciale dell’Albo degli avvocati, sono tenute ad applicare la maggiorazione percentuale relativa al contributo integrativo su tutti i corrispettivi rientranti nel volume d’affari ai fini Iva.
L’ammontare complessivo della maggiorazione deve essere versato a Cassa Forense dalla società, a prescindere dall’effettivo pagamento eseguito dal cliente.
La maggiorazione percentuale è ripetibile nei confronti del cliente.
La maggiorazione percentuale è stabilita nella misura del 4%. Il contributo integrativo non concorre alla formazione del reddito professionale e non è quindi soggetto all’IRPEF.
In relazione alle esigenze di equilibrio finanziario della Cassa la percentuale del contributo integrativo può essere variata con delibera del Comitato dei Delegati.
I Consigli degli Ordini danno notizia a Cassa Forense in via telematica, con le modalità e le procedure da questa previste, delle iscrizioni delle società tra avvocati nell’apposita sezione speciale dell’Albo entro e non oltre 30 giorni dall’adozione della delibera.
Le società tra avvocati che risultano iscritte, anche se per frazione di anno, nella sezione speciale dell’Albo, devono comunicare in via telematica a Cassa Forense, entro il 30 settembre dell’anno successivo, il volume complessivo d’affari conseguito ai fini IVA nonché l’ammontare del reddito complessivo prodotto, anche se negativo, l’ammontare gli utili, anche non distribuiti, nonché i compensi spettanti a ciascun socio per l’anno precedente attraverso il Modello 5 ter.
La comunicazione della società deve essere inviata anche se le dichiarazioni fiscali non sono state presentate o sono negative o se il volume d’affari IVA è inesistente.
Cassa Forense predispone il modello telematico, denominato Mod. 5 ter, fornendo le istruzioni per la sua compilazione on line alla società dichiarante, che provvede all’invio attraverso la sezione accessi riservati del sito internet di Cassa Forense.
Il contenuto, compilazione, calcolo ed invio del Mod. 5 ter sono disciplinati dagli artt. 19, 20, 21, 22 del nuovo Regolamento unico della previdenza forense.
Il reddito prodotto dalla società tra avvocati attribuibile al socio iscritto a Cassa Forense, nonché ogni altro provento da lui percepito, ivi compreso il compenso e le indennità ricevuti quali componente dell’organo amministrativo di gestione o controllo della società tra avvocati, sono equiparati, ai fini previdenziali, al reddito netto professionale e sono soggetti al contributo soggettivo di base e modulare volontario, a prescindere dalla loro qualificazione fiscale.
Il reddito come definito sopra dovrà essere comunicato dall’iscritto a Cassa Forense con il Modello 5 annuale, nei termini e con le modalità di cui al titolo III di cui al Regolamento unico della previdenza forense.
Gli inadempimenti sanzionati e le sanzioni sono disciplinati dagli art. 24, 25, 26 e 27 del Regolamento unico.
Con la sentenza del 04.11.2024 n. 28274 la Sezione lavoro A della Suprema Corte di Cassazione ha affermato che l’avvocato di uno studio associato non può sostenere l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato con la società.
La Suprema Corte di cassazione ha in primo luogo confermato l’incompatibilità di erogare la prestazione in forma subordinata.
La questione di diritto posta all’attenzione della Suprema Corte attiene alla qualificazione come autonoma o subordinata dell’attività professionale svolta da una avvocata in uno studio legale di grandi dimensioni, in cui operano professionisti associati e altri non associati, tra questi ultimi la ricorrente.
La Cassazione ha recepito il proprio consolidato orientamento secondo il quale, trattandosi di prestazioni professionali che per loro natura non richiedono l’esercizio da parte del datore di lavoro di un potere gerarchico concretizzantesi in ordini specifici e nell’esercizio del potere disciplinare, non risultano significativi i criteri distintivi costituiti dall’esercizio dei poteri direttivi e disciplinari e che neppure possono considerarsi sintomatici del vincolo della subordinazione elementi come la fissazione di un orario per lo svolgimento della prestazione o eventuali controlli sull’adempimento della stessa, se non si traducono nell’espressione del potere conformativo sul contenuto della prestazione proprio del datore di lavoro.
Nel caso di specie è risultato che la ricorrente aveva svolto l’attività di avvocata in modo libero, autonomo e indipendente, pur in presenza di regole necessarie al coordinamento della sua attività con quella dello studio.
Nel caso di specie l’avvocata operava in un’associazione professionale composta da 50 soci e 296 professionisti, iscritti all’albo degli avvocati o a quello dei dottori commercialisti o al registro dei praticanti avvocati, con 95 dipendenti a supporto dell’attività professionale e con sedi in varie città.
Sull’obbligo di esclusiva o condizione di mono-committenza è risultato che tutti gli incarichi di difesa e assistenza legale erano acquisiti dallo studio e da questo distribuiti ai singoli professionisti.
Tutti i professionisti, compresi i soci, lavorano per lo Studio, che in via esclusiva intratteneva i rapporti contrattuali con i clienti ed emetteva le fatture nei confronti degli stessi. Tutti i professionisti avevano un obbligo di esclusiva, nel senso che non potevano gestire una propria clientela collaterale a quella dello Studio, ma potevano certamente proporre nuovi clienti ed anzi lo sviluppo della clientela era incoraggiato e incentivato anche in termini economici perché il professionista partecipava ai ricavi provenienti dalle relative pratiche.
In buona sostanza la ricorrente lavorava nello Studio cioè in un sistema organizzato all’interno del quale il singolo avvocato decideva di prestare la propria attività professionale, accettando alcune limitazioni in cambio di altrettante agevolazioni e prerogative.
In tale contesto l’obbligo di esclusiva trova una plausibile spiegazione, all’interno della cornice del coordinamento, nello scopo di evitare conflitti di interesse che potrebbero sorgere se ciascuno dei professionisti potesse gestire, in modo parallelo, una propria clientela, tenuto anche conto dell’ambito di copertura dei rischi in base alla polizza professionale sottoscritta dallo Studio.
Sulla base di queste considerazioni sono state anche rigettate tutte le questioni di legittimità costituzionale proposte dalla ricorrente che è stata condannata alle spese oltre al raddoppio del contributo unificato.
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