Sì sofferto a Fitto e Ribera
Il bis di von der Leyen può aver inizio.
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La nomina di Fitto “è una vittoria di tutti gli italiani, non del governo o di una forza politica”, ha esultato la premier Giorgia Meloni, rivendicando “la centralità del Paese” ottenuta con la vicepresidenza. Parole a cui ha fatto eco il vicepremier Antonio Tajani, che ha subito rivolto i suoi auguri di buon lavoro al collega di governo, nella convinzione che “saprà valorizzare al meglio in contributo dell’Italia nella governance europea”.
Superate anche le ultime schermaglie (che per tutta la serata hanno tenuto l’intesa sotto scacco), sulla clausola voluta dal Ppe per costringere la spagnola alle dimissioni in caso di accuse formali della giustizia iberica sulla gestione delle alluvioni in patria, alla fine le anime della maggioranza Ursula hanno concesso il loro favore. Pur con un distinguo non vincolante contenuto in un addendum: socialisti e liberali “non approvano la scelta” della tedesca “di assegnare a Fitto la carica di vicepresidente” e chiedono che sia “indipendente dal suo governo nazionale”. Contrari invece in ogni caso all’alleanza i verdi, che a luglio erano stati decisivi per consegnare l’Europa di nuovo nelle mani della tedesca. “Ora la maggioranza è instabile”, hanno avvertito.
La fumata bianca tra i coordinatori di tutti i gruppi dell’Eurocamera è arrivata alle 22:50, a suggellare un sofferto patto di coalizione targato Ppe, S&D e Renew frutto dell’ennesimo round di negoziati serrati. Un accordo in nove punti per non lasciare l’Europa fare harakiri davanti agli equilibri geopolitici destinati a cambiare con il ritorno di Donald Trump.
A inizio giornata a Bruxelles gli occhi erano tutti rivolti al parlamento di Madrid, teatro dell’audizione della verità per Ribera. Accusata dal Partido popular di essere “una ministra in fuga”, la vicepremier si è difesa strenuamente, assicurando di aver lavorato “dal primo minuto per risolvere i bisogni e le urgenze” e rispendendo le accuse di malagestione al mittente. Poi un messaggio sul futuro: “La risposta al cambiamento climatico non è fanatismo”. Argomentazioni che hanno irritato ancora di più gli oppositori di centrodestra, portando l’intera famiglia del Ppe all’ultimo avvertimento: se Ribera finirà sotto indagine, dovrà lasciare la sua poltrona a Palazzo Berlyamont. La formulazione della clausola ha suscitato fino all’ultimo dubbi di carattere legale che in serata si sono risolti con la sua introduzione nella lettera di accompagnamento alla nomina.
Speculari fino all’ultimo le riserve su Fitto tra i socialisti di Iratxe Garcia Perez, alimentate dalla contrarietà delle delegazioni francese, tedesca e olandese. Un distinguo criticato dagli esponenti di punta di FdI al Pe, Nicola Procaccini e Carlo Fidanza, che celebrando “l’evento storico” e preannunciando un sì dei meloniani in Plenaria, hanno ribadito che “non esiste alcuna maggioranza Ursula”, chiedendo al Pd di distanziarsi dalla posizione dei socialisti. E von der Leyen potrebbe godere anche del sostegno di qualche altra delegazione dei conservatori di Ecr, alle quali sarà lasciata libertà di voto.
Il testo di coalizione concordato da Ppe, S&D e Renew non traccia linee rosse, ma si limita a riaffermare la collaborazione tra tutte le famiglie politiche “pro-Ue, pro-stato di diritto e pro-Ucraina”. Un adagio diventato mantra per la leader tedesca sin dalla campagna elettorale. Nessun cambio di dossier, né tantomeno di grado per Fitto e Ribera: l’unico commissario depotenziato sarà il fedelissimo di Viktor Orban, Oliver Varhelyi, che dal suo portafoglio alla Salute e al Benessere animale vedrà scomparire i distintivi su diritti riproduttivi, salute mentale, gestione delle pandemie e resistenza antimicrobica. Allargata sui diritti sociali e lavoro di qualità, invece, la delega della socialista Roxana Minzatu.
Ultima tappa, il 27 novembre. Poi la Commissione potrà partire ma le tensioni interne alla maggioranza sono destinate a durare a lungo.
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