Effetto Foti. Il sollievo di Tajani, un nuovo guardiano per Salvini.
Il successore di Fitto con deleghe a Pnrr e Coesione è il "leone" di Fratelli d'Italia, che lascia l'incarico di capogruppo alla Camera a Bignami, il quale non era la prima scelta e lascia il ruolo di viceministro al fianco di Salvini, laddove Meloni valuta il nome di Deidda. Forza Italia soddisfatta perché non voleva nomine ingombranti.
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Missino della prima ora – piacentino, 64 anni, interista sfegatato – con tutto il cursus honorum a destra, dal Fronte della gioventù fino a FdI – Tommaso Foti, a dispetto della presenza che può apparire compassata – abito d’ordinanza, talvolta in doppio petto – è conosciuto dai suoi come un leone (in FdI dove Meloni è la leonessa, è la metafora animale più ricorrente).
Non stupisce dunque che arrivi al soglio del governo – ha giurato stamane al Quirinale da ministro degli Affari europei con deleghe al Pnrr e alla coesione – con un archivio di battaglie politiche che ora, probabilmente, non sottoscriverebbe. Passi per quella in cui proponeva di sanzionare chi “pubblicamente e intenzionalmente” storpia l’inno di Mameli. Ma che dire di quando sottoscrisse una proposta di legge costituzionale per riconoscere la sovranità nazionale prima e contro l’Unione europea? Neppure tanti anni fa, nel 2018, Foti proponeva di modificare l’articolo 11 della Costituzione, quello che ammette limitazioni alla sovranità nazionale. Ecco il nuovo testo secondo FdI: “Le norme dei Trattati e degli altri atti dell’Unione europea sono applicabili a condizione di parità e solo in quanto compatibili con i princìpi di sovranità, democrazia e sussidiarietà, nonché con gli altri princìpi della Costituzione italiana”. Foti a onor del vero, era allora ben accompagnato, in primo luogo dalla presidente del consiglio Meloni. Ma fa specie che il neoministro avesse un’idea dell’Europa che è esattamente la negazione del mandato che riceve da ministro. Sono cose che capitano nella carriera di un politico. Per dire, ora che è anche ministro della Coesione, Foti dovrà rinunciare anche a un altro proposito, messo nero su bianco nel 2016, che voleva fare della Romagna una regione autonoma.
Ma il pregresso conta fino a un certo punto nella scelta di Meloni. Al suo ormai ex capogruppo alla Camera la premier riconosce la tempra giusta per prendere in eredità il dossier più difficile, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. È contato anche un sentimento di riconoscenza personale. L’anno scorso, ricordano in Parlamento, Foti è stato in cura per cancro. “Senza mai mancare un giorno importante. Senza mai venire meno nei suoi impegni”.
La scelta di un uomo di FdI, del resto, è diventata obbligata quando gli alleati hanno bocciato l’ipotesi dello spacchettamento delle deleghe, che avrebbe portato agli affari europei Elisabetta Belloni o Maurizio Lupi, un’ambasciatrice in un caso, un centrista considerato in ascesa nell’altro, anche lui membro del Ppe. Si trattava di due nomine ingombranti in particolare per Forza Italia che non gradiva sovrapposizioni tecniche (Belloni) e politiche (Lupi) in un settore – i rapporti con l’Europa – che Antonio Tajani considera parte integrante delle competenze che spettano alla Farnesina e che intende presidiare anche come referente unico del Ppe (di cui è vicepresidente). Ora il leader di Forza Italia si troverà a fianco Foti – che non parla un inglese fluente, fa notare malizioso Dagospia – ma tanto meglio per gli azzurri. “Congratulazioni, sono certo che sostituirà al meglio Raffaele Fitto”, commenta Antonio Tajani.
La Lega non sembra altrettanto entusiasta. Forse perché guarda alla successione al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, innescata dalla nomina di Foti. Col piacentino che va al governo, a Montecitorio passa il testimone a Galeazzo Bignami, che diventa nuovo capogruppo di FdI. Bignami lascia vacante il posto di viceministro al ministero di Matteo Salvini e di Edoardo Rixi, sul quale tra gli altri dossier, incombe quello del ponte sullo Stretto su cui i Fratelli sono stati sempre piuttosto tiepidi. Chi metterà Meloni al ministero di Porta Pia? In pole ci sarebbe il nome di Salvatore Deidda, il presidente della commissione Trasporti di Montecitorio. Ma probabilmente non subito. Dal prossimo anno scatterà il turn over alle presidenze delle commissioni parlamentari e l’occasione potrebbe essere quella giusta per l’avvicendamento.
Le cose cambieranno certamente anche nel gruppo di FdI dove si è tenuta una battaglia sottotraccia per ambire alla girandola di nomine. A quanto si apprende, Bignami non era la prima scelta di Meloni, che in un primo momento aveva chiesto di ricoprire quel ruolo a Giovanni Donzelli, attuale capo dell’organizzazione. Ma Donzelli ha rifiutato preferendo restare a via della Scrofa. L’impresa di ereditare il gruppo parlamentare del partito di maggioranza relativa – in piena sessione di bilancio – richiedeva polso fermo. Nella sua guida, Foti ha imposto la disciplina rigorosa per cui nessun deputato parla in libertà, nessuna proposta può essere illustrata alla stampa se non vistata dal capogruppo. Con queste premesse, dopo il rifiuto di Donzelli sono stati sfogliati altri petali: Francesco Filini, Paolo Trancassini, Ilenia Lucaselli, Augusta Montaruli, Manlio Messina. Ognuna di queste scartate per un motivo o per l’altro, fino a ricadere su Bignami, nonostante sia viceministro e nonostante sia considerato tra gli esponenti meloniani più bellicosi. Ma forse è proprio questo l’effetto ricercato. A parte la foto che lo ritrae con la svastica al braccio ad una festa tra amici, sono recenti le polemiche col centrosinistra sulla ricostruzione post alluvione in Emilia. Se a Foti le altre forze politiche riconoscevano una dote di savoir faire che è indispensabile nella conduzione dei lavori parlamentari, Bignami è considerato unanimemente un falco. E mentre in tanti in queste ore si complimentano con il neoministro, nessuno per ora fa gli auguri al neocapogruppo, nemmeno tra i Fratelli, dove in tanti preferivano una soluzione parlamentare, cioè tra i vice di Foti o tra i deputati del folto gruppo. Una cosa è certa: in un partito che è già una caserma, spira un vento prussiano.
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