Anno: XXV - Numero 235    
Venerdì 20 Dicembre 2024 ore 19:45
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E se la nuova questione morale riguardasse la magistratura?

La separazione delle carriere è un pericolo mortale per quelle toghe che vogliono essere giudice e accusatore insieme, garanti della giustizia e arbitri dei destini collettivi.

E se la nuova questione morale riguardasse la magistratura?

Basta dire “separazione delle carriere” ed ecco che tra le stanze dell’Associazione nazionale magistrati scatta una reazione pavloviana. E del resto la scelta sembra ormai compiuta: l’Anm è infatti pronta a mobilitarsi contro il referendum che, sulla riforma costituzionale, il governo considera ormai scontato e, anzi, necessario.

La mobilitazione delle toghe è legittima, s’intende. Ma c’è un “però”: la magistratura che pretende di combattere la politicizzazione rischia, con ogni singolo gesto di militanza, di superare quel confine sottilissimo che separa i poteri. E chiunque non viva in un mondo di fiabe sa bene che il confine della credibilità della magistratura in questi ultimi decenni è stato eroso con interventi che – diciamo così – “casualmente” hanno condizionato la vita politica del Paese.

Talvolta, come in quelle occasioni in cui il destino gioca col calendario, alcune Procure si sono trovate a sventolare avvisi di garanzia giusto in tempo per una tornata elettorale. Magie della giustizia, effetti collaterali “incidentali”. Prendete Tangentopoli, per dire; prendete la demolizione chirurgica – e miracolosa nella sua precisione – di un’intera classe politica e del sistema dei partiti. E tutto per via giudiziaria.

La realtà è che da allora quella lunga mano delle Procure non si è mai accorciata, anzi. Spesso è riuscita a “mettere in guardia” avversari sgraditi, a influenzare (sempre casualmente) dinamiche elettorali per mantenere la politica in una perpetua posizione di “sudditanza psicologica”. Una magistratura engagée, con il vizio di interpretare il proprio ruolo come una missione salvifica, è però una magistratura che si auto-delegittima, che mette a rischio la propria credibilità.

E del resto i fatti dell’hotel Champagne stanno a dimostrare che tra le pieghe della magistratura alberga una “questione morale” grossa come una casa. Una parte delle Procure ha occupato spazi di potere, ha colmato i vuoti lasciati da una politica ridotta a brandelli ed è diventato potere autoreferenziale, chiuso in sé stesso e in perpetua battaglia col potere politico.

Ora, l’Anm si mobilita contro il referendum, e il senso della mossa appare chiaro: difendere lo status quo, presidiare quell’ordine di potere che si sente minacciato. La separazione delle carriere diventa allora un pericolo mortale per quella magistratura che vuole essere giudice e accusatore insieme, garante della giustizia e custode della moralità politica. La coincidenza tra queste due funzioni è un mostro culturale, lo sappiamo da tempo. Ma guai a dirlo, perché ogni tentativo di riforma diventa un attacco alla sacralità della toga.

Ma forse la verità è più banale: se l’Anm oggi si agita, lo fa perché sa benissimo che la separazione delle carriere non è un tecnicismo qualsiasi. È un passo fondamentale per garantire che il processo penale torni a essere un luogo di diritto e non un palcoscenico di battaglia politica. È uno schiaffo all’idea di una magistratura che, volente o nolente, si è trasformata in un soggetto politico e un arbitro dei destini collettivi. E non è certo un caso che questa presa di posizione arrivi proprio ora, nel momento in cui il tema è tornato al centro del dibattito.

La domanda allora è semplice: la magistratura vuole davvero recuperare quella fiducia e quella credibilità che ha logorato con decenni di protagonismo e intrusioni? Se sì, potrebbe iniziare con il fare un passo indietro. O meglio, un passo laterale, verso il proprio ruolo costituzionale: indipendente, certo, ma terzo e imparziale. Ma dubitiamo che accadrà. Perché in fondo, la toga che si schiera – quella che si fa vedere nei cortei, che tuona dalle colonne dei giornali, che firma comunicati di fuoco – non si sta mobilitando contro qualcosa. Si sta mobilitando per sé stessa.

Da Il Dubbio

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