Una leader virtuosa ma anche fortunata. L’opposizione si svegli
Parla Gianfranco Pasquino Professore emerito di Scienza politica all'Università Alma Mater Studiorum di Bologna, nonché osservatore attento delle vicende interne del centrosinistra.
A quasi due anni e mezzo dal suo insediamento a Palazzo Chigi, Giorgia Meloni sta probabilmente vivendo il suo migliore momento da presidente del Consiglio. A dirlo, non sono solamente gli ovvi cantori propagandistici appartenenti al partito della premier o alle forze di maggioranza, bensì i principali addetti ai lavori. A maggior ragione dopo il felice esito della vicenda Sala, che segue altri successi internazionali come l’ottenimento di una vicepresidenza esecutiva nella commissione europea e il canale privilegiato di comunicazione creato col prossimo presidente Usa Donald Trump. Di fronte a questo quadro, l’opposizione e in primis il Pd si trova nella condizione di dover ricalibrare la propria strategia, prendendo atto delle capacità politiche dell’avversario e costruendo un’alternativa credibile, senza affidarsi a contestazioni circoscritte e figlie della contingenza dell’agenda politica. Ne abbiamo parlato con Gianfranco Pasquino, Professore emerito di Scienza politica all’Università Alma Mater Studiorum di Bologna, nonché osservatore attento delle vicende interne del centrosinistra.
Professore, l’opposizione sembra arrancare di fronte a una certa brillantezza mostrata da Meloni. Bravura o fortuna?
È brava ma non le manca una buona dose di fortuna, ma la fortuna in qualche modo bisogna meritarsela. Machiavelli diceva che la fortuna si può anche combattere. Mi sembra che invece l’opposizione, come dire, aiuti la fortuna dei propri avversari. Intanto non c’è un’opposizione, ma ci sono delle opposizioni. La prima preoccupazione di queste opposizioni sembra essere quella di combattere il proprio vicino. Quindi Renzi combatte con contro Calenda, Calenda combatte contro un pezzetto del PD, il Pd combatte contro il Movimento 5 Stelle.
Politica
Mi pare di capire da queste sue parole che la prima cosa sarebbe cercare di fare un fronte comune, cosa che comunque alle viste proprio non c’è.
Non serve un fronte, ma una coalizione. Una coalizione è plurale, ma in grado di accomodare anche alcune visioni differenti, per poi convergere su obiettivi specifici. Ci sono riusciti col salario minimo, dopodiché sono un po’ evaporati, però devono riuscire a creare una situazione nella quale riescono a convergere e per questo ci vorrebbe anche una cultura politica. In assenza di cultura politica, siamo di fronte all’esibizione di alcuni ego. Quello di Renzi è più grande degli altri, più gonfiato degli altri. Anche gli altri, però, non scherzano.
Lei come lo vede questo dibattito sul “federatore” che dovrebbe salvare il centrosinistra facendo risorgere un centro attrattivo anche per gli elettori moderati?
È una “boiata pazzesca”. Non serve nessun federatore ma c’è bisogno di riuscire a trovare punti di incontro e metterli insieme. E’ chiaro che come principio di partenza vale il principio elettorale, quindi in questo momento deve essere Schlein, e non altri, a fare questo lavoro.
Tra l’altro, Schlein sembra essere riuscita, da parte sua, a prendersi la leadership senza però spaccare il partito.
Si può partire da questo, cioè che ha delle doti di mediatrice che non erano accreditate all’inizio. Una grande pazienza, una grande attenzione a questi “uomini disperati” del Pd. E’ più capace di quello che io pensassi, anche se gli manca il guizzo. Quando si arriva in volata ci vuole il guizzo e io ancora non l’ho visto.
Torniamo alla Meloni. Dalla sua bravura non potrebbe anche derivare un problema interno al centrodestra? Mi spiego meglio: negli sport di squadra, quando uno fa troppo il fenomeno, poi diciamo che l’equilibrio dello spogliatoio potrebbe essere perturbato da gelosie, da rivendicazioni. Non ci potrebbe essere questo rischio? Se non fa toccare palla nemmeno ai suoi potrebbe esserci qualche problema.
È un rischio ipotetico, perché ad esempio Salvini, se vuole giocare da qualche parte, deve giocare in questa squadra perché fuori non toccherebbe palla. Tajani esiste, fondamentalmente, solo perché è nella coalizione con Giorgia Meloni. Insomma, il rischio che il governo cada per questo è veramente minimo. Hanno un vantaggio elettorale enorme e in questo quadro è destinato a durare per i prossimi anni, se non cambierà qualcosa.
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