Come Meloni cerca di evitare la guerra in Veneto
Davanti alle bellicose resistenze della Lega, che vuole tenersi la Regione culla dell’autonomismo, con Zaia o no, la premier non risponde al fuoco e propone un grande patto. Tutte le poltrone da spartirsi in ottobre.
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“Calma e gesso. La partita si vincerà alla distanza, facendo valere la forza della logica e la logica dei muscoli”. Giorgia Meloni, che ha depositato questa massima sui taccuini dei fedelissimi prima di partire per gli Emirati, non si lascia impressionare dalle minacce di Luca Zaia e dei leghisti di ogni rango. Soprattutto, la premier non ha intenzione di far deflagrare una rissa nella coalizione: preferisce far decantare la situazione, calmare le acque. Per questo nessun ministro e nessun papavero di Fratelli d’Italia ha risposto per le rime al governatore veneto, determinato a spappolare il centrodestra nella sua Regione pur di non lasciare la poltrona di Doge agli alleati.
Non è un caso che Meloni parli di logica e di muscoli. In Veneto, alle elezioni europee di giugno, il suo partito ha stracciato la Lega: 37,5 % contro 13,1%. Dunque, anche in forza del fatto che FdI non governa in alcuna Regione del Nord (Friuli, Veneto, Lombardia e la provincia di Trento al Carroccio, Piemonte a Forza Italia), la premier ha detto “no” al terzo mandato per i governatori: una tagliola che, oltre a Zaia, spazzerà via (probabilmente) anche Vincenzo De Luca, spalancando le porte della Campania al centrodestra. E ha rivendicato per il suo partito la guida del Veneto. Ma, appunto, Meloni non vuole innescare una zuffa permanente. La ragione è evidente ed è quella di evitare fibrillazioni eccessive al governo. “Già basta e avanza Salvini…”, soffia un ministro di FdI.
Così, per evitare la rissa, la leader di FdI propone agli alleati un evergreen: un tavolo per affrontare “complessivamente” tutte le candidature alle elezioni regionali che si celebreranno il prossimo ottobre. E dove i Fratelli avanzeranno la richiesta di “riequilibrare” il peso nelle varie amministrazioni locali, visto che, pur essendo il primo partito nel Paese, governano solo tre Regioni (Lazio, Marche, Abruzzo), contro le cinque di Forza Italia (Calabria, Sicilia, Piemonte, Basilicata, Molise) e le tre della Lega. La Liguria è nelle mani dell’indipendente di centrodestra Marco Bucci.
“Ciò che vogliamo”, spiega un ministro di FdI, “è un accordo generale a cui, ovviamente, nessuno potrà sottrarsi. In autunno non si voterà solo in Veneto, ma anche in Toscana, Campania, Marche, Puglia, Valle d’Aosta e probabilmente in Sardegna. Insomma, ci sarà modo per accontentare tutti… Di certo, è impossibile che la Lega corra da sola in Veneto, vorrebbe dire la crisi di governo”. Il bastone e la carota. Lo stesso schema adottato da Giovanni Donzelli, responsabile dell’organizzazione di FdI: “Potete star sicuri che non ci divideremo e che non creeremo problemi al governo”, dice ad HuffPost, “ci parleremo e troveremo una soluzione come abbiamo sempre fatto. Il tema delle Regioni del Nord c’è: siamo il primo partito e dobbiamo essere rappresentati”. La traduzione: Zaia, Salvini & C. accontentatevi del Friuli e della Lombardia e lasciateci il Veneto, il tutto però in una strategia “a pacchetto” che preveda un’equa distribuzione dei posti nelle sei o sette Regioni dove si voterà il prossimo autunno.
Sulla stessa linea di attesta Forza Italia. Maurizio Gasparri – che per il partito di Antonio Tajani ha la delega agli Enti locali e ieri ha detto di essere pronto a “sfamare” Zaia se resta senza lavoro – la mette tale e quale al ministro di FdI e a Donzelli: “Governiamo il Paese, abbiamo la maggioranza delle Regioni, c’è una coalizione che esiste da oltre venticinque anni”, dice Gasparri a HuffPost, “dunque l’accordo sarà inevitabile. Servono solo calma e sangue freddo: quando abbiamo discusso di candidature c’è sempre stato un po’ di nervosismo, ma tutte le volte abbiamo raggiunto un’intesa. La troveremo anche questa volta”.
Il problema, per Meloni e Tajani, è che la Lega fa sul serio. Non ha davvero alcuna intenzione di mollare il Veneto. E non soltanto per le bizze di Zaia. Basta incrociare in Transatlantico un salviniano di ferro come Igor Iezzi per averne conferma: “Quella è la culla dell’autonomismo leghista, lì è nato il sogno della Lega e non siamo disposti a rinunciarci per amor di coalizione”. Insomma: “Facciamo sul serio, siamo pronti a correre da soli in autunno e siamo sicuri di vincere”. Iezzi sforna anche i numeri dell’azzardo: “La Lega almeno un 15% lo farà, la lista Zaia un altro 15-20% e poi ci sono gli autonomisti. Arriveremo tranquillamente oltre il 40%”. Fantasie? Nel 2020 la lista del Doge fece da sola il 44%.
È forse per questo che nel quartier generale di via della Scrofa di FdI si comincia a pensare a uno “scambio” per disinnescare la guerra fratricida. A noi il Veneto adesso, a voi la Lombardia e, forse, il Friuli-Venezia Giulia nel 2028. Da notare che anche il lombardo Attilio Fontana e il friulano Massimiliano Fedriga sono al secondo mandato da governatore. Perciò al prossimo giro dovranno passare la mano, sempre che la Consulta non dia ragione al campano De Luca. Quello del barbatrucco, come ha spiegato ieri Pietro Salvatori su queste pagine, impugnato la settimana scorsa del governo, per aggirare il limite dei due mandati.
di Alberto Gentili su Huffpost
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