Anno: XXVI - Numero 13    
Lunedì 20 Gennaio 2025 ore 13:45
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L'esordio politico di Comunità Democratica.

Prodi: siamo rimasti muti troppo a lungo. Delrio: è il momento di alzarsi in piedi.

L'esordio politico di Comunità Democratica.

Chi si aspettava un intervento dirompente è rimasto deluso. L’esordio nell’agone politico di Ernesto Ruffini, che ha da poco lasciato la guida dell’Agenzia delle Entrate in polemica con il governo, è in punta dei piedi. A Palazzo Lombardia ci sono oltre 500 persone, in gran parte di area cattolica ma non solo, arrivate da più parti d’Italia per ascoltarlo. Il regista dell’operazione, che rilancia con forza la necessità di costruire un nuovo centro unendo più storie e non solo quella della fu sinistra Dc, è il senatore del Pd Graziano Delrio, convinto a costruire questa nuova area dentro al suo partito e non fuori. Quand’è il suo turno, Ruffini sceglie di parlare seduto. Pesa ogni parola, con un ragionamento che parte evocando proprio il 18 gennaio del 1919, data simbolo in cui don Luigi Sturzo scrisse di getto quell’«Appello ai liberi e forti», poi diventato il manifesto del cattolicesimo democratico. «Chi sono, oggi, i liberi e i forti ai quali si rivolgerebbe Sturzo? Liberi da cosa? Forti di cosa e per fare cosa? Di cosa ha bisogno oggi la nostra democrazia?», si chiede retoricamente Ruffini. La (sua) risposta: «Di certo non ha bisogno di sedicenti super-uomini, ma di cittadini liberi che ritrovino l’entusiasmo di partecipare. E di una classe politica capace di accoglierli con generosità».

Ruffini, figlio del fu potente ministro democristiano Attilio e con un forte legame con il capo dello Stato Sergio Mattarella, spiega di essere «venuto qui a parlare da normale cittadino» e poi sottolinea la necessità di «impegnarsi a ad ascoltare voci diverse» coinvolgendo nel solco del cattolicesimo democratico «nuovi elettori strappandoli all’astensionismo». L’etichetta di possibile «federatore» di questo nuovo centro, almeno per adesso, non sembra essere in cima ai pensieri di Ruffini. Che però, sul finale del suo intervento, tira fuori una riflessione politica che lascia il segno in platea. Prima ricorda David Sassoli: «Quanto mancano le sue intuizioni!». Per poi dire: «David è stato fondamentale nella costruzione di quella che viene chiamata la “maggioranza Ursula”, che ormai da due legislature governa l’Europa – conclude -. Forse, se ci fosse ancora lui, ci farebbe riflettere su come quella maggioranza nata in un momento di necessità potrebbe diventare una scelta solida per essere alternativi alla destra. Senza essere nemici, ma alla destra noi si deve essere alternativi!».

In videocollegamento, arriva poi l’intervento dal peso specifico più rilevante, quello di Romano Prodi: «Non penso a un partito dei cattolici, ma al necessario e indispensabile, anche se non sempre riconosciuto, contributo dei cattolici per la costruzione di un Paese più giusto, più dinamico e più capace di interpretare i grandi cambiamenti di oggi e di domani». Il padre dell’Ulivo, unica e complicata alchimia grazie a cui il centrosinistra riuscì a battere Berlusconi, incalza: «Era ora che cominciassimo a parlare, siamo stati muti per troppo tempo mentre la democrazia è discussione e partecipazione – aggiunge -. Siamo stati corrosi dal mito dell’uomo solo o della donna sola, la democrazia si salva solo con la partecipazione». E per il Professore è anche l’occasione per ringraziare la segretaria del Pd: «Elly Schlein è riuscita a rafforzare l’indispensabilità del Pd come catalizzatore della capacità di cambiamento».

In platea, anche variegata come dicevamo, ci sono pure l’ex ministra renziana Maria Elena Boschi e Beppe Sala, arrivato motu proprio perché «interessato ad ascoltare». Il sindaco di Milano, anche lui tirato più volte per la giacchetta come possibile «federatore» dei troppi «centrini», respinge ufficialmente questa etichetta. E poi sale anche sul palco per un intervento breve, ma accorato, che incassa più di un applauso. Sala racconta: «Vi confesso che ho un tormento, che in politica voglio vincere, perché non mi accontento di saperla meglio degli altri. E appunto, assieme agli altri mi chiedo ogni giorno come riuscirci». Poi aggiunge che il Pd dovrebbe «parlare di più al Nord, alle imprese e fuori dalle grandi città, dove andiamo meglio, mentre servirebbe più attenzione “fuori”, dove strappare 4 voti alla Lega è come conquistarne 400».   

 

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