Per chiudere la guerra fra politica e toghe, bisogna aggiustare la Costituzione
L’immunità parlamentare e l’indipendenza della magistratura: le due anomalie italiane dopo venti anni di fascismo. Il ridimensionamento dell’immunità nel ’93 ha rotto un delicato equilibrio. Per il cessate il fuoco, o si ripristina l’immunità o si sottopongono i pm al controllo della politica.
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L’incredibile tafferuglio fra poteri e organi dello Stato – con indagini e controquerele, con i vertici del governo, dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, al suo sottosegretario Alfredo Mantovano, ai ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi iscritti nel registro degli indagati, e poi il procuratore che li ha iscritti, Francesco Lo Voi, denunciato dai servizi segreti per violazione del segreto istruttorio, quindi messo sotto accusa dal Consiglio superiore della magistratura su iniziativa dei membri laici (quelli eletti dal Parlamento) di centrodestra – arriva non per capriccio del fato nei giorni in cui il governo impone la riforma della separazione delle carriere, e in cui qualche volenteroso ributta lì la questione eterna perché irrisolta della ricomposizione dell’immunità parlamentare.
Non per capriccio del fato, e non sto cercando rifugio nella ridotta degli sciocchi: il complottismo. Non per capriccio del fato nel senso che il tafferuglio, in coda a tre decenni di risse, origina da un delicato equilibrio fra poteri, estroso fin quasi alla stravaganza, allestito dai padri costituenti quasi ottanta anni fa, e poi intaccato con la revisione dell’immunità in una notte del 1993. Da allora l’equilibrio non esiste più: un potere, quello giudiziario, ha di conseguenza e irrimediabilmente occupato spazi del potere altrui, quello esecutivo e legislativo, che oggi si sentono sufficientemente rinfrancati da cercare la controffensiva (in tutto questo la storica partita fra garantisti e giustizialisti non c’entra nulla. I garantisti hanno perso, temo. La partita ora è fra due giustizialismi, lo abbiamo scritto la settimana scorsa ed è inutile ripetersi ora).
La Costituzione in vigore dal primo gennaio 1948 contiene almeno due anomalie, rispetto alle altre democrazie liberali. La prima è l’immunità parlamentare, concessa a deputati e senatori in forme così ampie da non avere eguali, perlomeno in Occidente. L’immunità c’era e c’è ovunque, secondo dottrine e sensibilità diverse, ma soltanto in Italia, e fino al 1993, i parlamentari vengono protetti da qualsiasi inchiesta, di qualsiasi natura. Per aprire un’indagine per peculato o per corruzione, le procure devono chiedere l’autorizzazione al Parlamento che non la concede praticamente mai. Una guarentigia studiata a protezione della volontà popolare, diventa lo strumento di autoassoluzione di una casta che si considera intoccabile. Soltanto gli elettori, con lo strumento comunque limitato del voto, conservano il diritto di giudicare.
La seconda anomalia è l’indipendenza della magistratura. Lo abbiamo scritto mille volte (e qualche giorno fa lo ha scritto meglio il professore Angelo Panebianco sul Corriere della Sera): nel resto del mondo democratico, indipendenti sono i giudici, mentre i procuratori e i loro sostituti, col compito di indagare e, nel caso, di accusare, sono sottoposti a un controllo della politica più o meno invasivo. Soltanto in Italia, i titolari di indagini e accusa non rispondono ad altri che a sé, e si sono trasformati, esattamente come fece la politica, in superuomini affrancati dal dovere di rispondere del loro lavoro e dei loro errori.
L’ansia di tutelare i poteri era altissima, dopo venti anni di fascismo. E i partiti, che avevano collaborato per liberarsene, diffidavano comunque l’uno dell’altro, soprattutto perché immersi nei tempi che introducevano alla Guerra fredda di un mondo mortalmente spaccato in due. In un Paese di frontiera come il nostro, l’eccezionale immunità parlamentare e l’eccezionale indipendenza della magistratura sembrarono il modo di garantire tutti: la politica, da un uso distorto della magistratura, e la magistratura, da distorte intenzioni politiche. La cautela massima funzionò a lungo, almeno fino a quando il terrore dell’autoritarismo non si dissolse col Novecento sotto le macerie del Muro. E quando il Parlamento, nel maggio del ’93, respinse alcune delle autorizzazioni a procedere per Bettino Craxi, e il Paese intero si sollevò, ciecamente, sciaguratamente, furiosamente, il Parlamento terrorizzato decise di autopunirsi – anziché autocorreggersi – e oggi l’immunità protegge soltanto da perquisizioni e arresti. Ma chiunque può essere indagato e l’esito – anche questo lo si è già scritto – sono sette premier indagati sui dodici della Seconda repubblica. Sette indagati, uno solo condannato, Silvio Berlusconi, peraltro dentro un’ordalia di decine e decine di inchieste a suo carico. Significa che il potere politico, sia esecutivo sia legislativo, è costantemente sotto il tiro della magistratura, senza possibilità di riparo. L’equilibrio è rotto. E se oggi la politica sta provando la controffensiva, è perché la magistratura è più debole, non galoppa più sul cavallo bianco dell’entusiasmo popolare: trent’anni di custodia cautelare della politica non hanno reso il paese migliore. Come era facilmente intuibile.
Le possibilità sono due: o si ripristina per intero l’immunità parlamentare, o si introduce il controllo politico della magistratura requirente. Soltanto così si può recuperare un equilibrio fra i poteri e arrivare a un cessate il fuoco. Ma siccome l’una e l’altra restano possibilità scandalose, nell’insipienza e nell’ipocrisia del dibattito, si continuerà coi bombardamenti, che è il modo più facile di legittimarsi da una parte e dell’altra (poi dicono del Medio Oriente…).
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