Costruiamo un mondo delle professioni inclusivo
Superare il divario di genere.
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Secondo gli ultimi dati Istat, alla fine del 2023 gli uomini occupati erano circa 13,6 milioni per un tasso di attività del 70,7%; le donne, invece, erano circa 10,7 milioni per un tasso di attività del 53%. Nonostante negli ultimi dieci anni l’occupazione femminile sia cresciuta in misura leggermente maggiore rispetto a quella dagli uomini (+9,7% vs. 8,8%), ci vorranno ancora diversi anni per raggiungere la parità di genere. Questi dati confermano che le donne stanno assumendo un ruolo sempre più centrale nel mondo del lavoro, seppur gravi su di loro il lavoro di cura, considerato tipicamente femminile.
Se i dati generali sull’occupazione femminile mettono in evidenza una tendenza positiva, anche quelli sulle libere professioni rispecchiano un andamento crescente: la platea femminile rappresenta ormai il 41% del totale dei professionisti. Tuttavia è doveroso sottolineare che, nonostante ci si avvicini sempre più a una presenza paritaria, le donne dichiarano redditi inferiori rispetto agli uomini, con un “gender pay gap” del 47%.
Secondo il report di Adepp sulla libera professione del 2024, presentato lo scorso dicembre, uomini e donne hanno redditi di partenza non troppo distanti in tutte le professioni ordinistiche. Sotto i 30 anni le libere professioniste dichiarano l’86,2% del reddito medio. Man a mano che avanzano età e opportunità, la forbice, però, si allarga: tra i 50 e i 60 anni, il reddito medio delle professioniste è solo il 56% di quello dei loro colleghi (37.407€ contro 66.902€). Per questo, il Centro Studi Adepp parla anche di “gender age pay gap” alla base del quale ci sono diverse ragioni. La prima, è rappresentata dal tempo che le donne dedicano al lavoro, rispetto a una distribuzione ancora squilibrata dei carichi familiari: solo quattro donne su dieci possono dedicare più di otto ore al giorno alla professione, mentre i colleghi uomini da sei a dieci ore.
Preoccupante è anche il dato delle donne che scelgono di non proseguire il percorso di carriera, le professioniste che abbandonano la libera professione si concentrano nella fascia d’età tra i 30 e i 50 anni e il picco è tra i 30 e i 40 anni. Tra le ragioni dell’addio, per oltre la metà delle donne, c’è il passaggio al lavoro dipendente, che può dare più certezze e stabilità e, nel focus Adepp sulle donne professioniste, leggiamo «il lavoro libero professionale femminile richiede maggior sacrificio rispetto a quello dei colleghi uomini», alla luce, soprattutto, dei compiti extra lavorativi che pesano sulle donne.
Ma guardiamo ora un po’ i dati che riguardano le dottoresse commercialiste.
Le donne hanno già effettuato il sorpasso all’Università e rappresentano oggi il 51,12% degli oltre 14mila laureati nelle classi di laurea magistrale in Economia che consentono l’accesso all’Albo nella sezione “A”, ma scendono subito al di sotto della metà quando si tratta di intraprendere la libera professione: nel 2022, sono state 775 le candidate all’esame di abilitazione contro 905 uomini[1].
È interessante notare, e ritengo che debba far riflettere, che la regione con l’incidenza femminile maggiore è l’Emilia Romagna (42%): un territorio virtuoso in cui gli under 40 hanno ormai raggiunto la parità di genere anche grazie a un’offerta di servizi alle famiglie che supera la media europea.
Anche per la categoria dei Dottori Commercialisti si evidenzia una presenza di un importante “gender pay gap”. Per i redditi dichiarati nel 2023 (e maturati nel 2022) le dottoresse commercialiste, in media, si sono fermate a € 51.385 contro i € 94.911 dei colleghi uomini con una differenza che è quasi il doppio (-45,9%). Il dato viene confermato anche all’apice è nel pieno della carriera: da 51 a 65 anni le donne arrivano a guadagnare la metà degli uomini (-45%).
Importante, anche se evidentemente non da solo risolutivo, è il sostegno di Cassa Dottori Commercialisti alle colleghe, ma anche più in generale alla genitorialità e alle tutele delle esigenze delle famiglie dei propri iscritti. Le donne, infatti, sono le principali beneficiarie del welfare della Cassa: negli ultimi cinque anni hanno ricevuto il 66% delle risorse stanziate, che solo nell’ultimo anno sono state pari a 33.5milioni di euro (+18% sul 2022). Le misure di intervento previste da Cassa Dottori commercialisti sono rappresentate da:
- Indennità di maternità
- Contributo a sostegno della maternità
- Contributo complementare all’indennità di maternità
- Polizza base gratuita attraverso la quale è possibile usufruire del “pacchetto maternità”, che comprende specifici esami come l’ecografia morfologica e tanto altro
- Nuovo contributo a sostegno della paternità
- Contributo per le spese di asilo nido e scuole d’infanzia
- Borse di studio dalla scuola secondaria di primo e secondo livello.
Ricordiamo, inoltre, che CDC completa l’assistenza alle famiglie prevedendo contributi per i figli con handicap (spesa 2023 oltre 1,5 milioni), per assistenza domiciliare o ospitalità in casa di riposo.
Naturalmente le misure assistenziali della CDC, da sole, non potranno mai risolvere i problemi né del “gender pay gap” e del “gender age pay gap”, nè dell’abbandono della professione che, come detto, caratterizza il mondo femminile della professione. Il problema andrebbe invece trattato a livello sistemico, partendo da una riflessione proprio su quel dato virtuoso di servizi alle famiglie della regione Emilia-Romagna, sopra citato, e prendendo ispirazione dal sistema di welfare delle nazioni europee più virtuose. Solo se ognuno fa la propria parte si può sperare di arrivare in tempi ragionevoli ad una vera parità di genere nell’ambito professionale.
[1] Dati Almalaurea, Ministero dell’Università e Fondazione Commercialisti.
Di Ferdinando Boccia Presidente Cassa Dottori Commercialisti
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