Anno: XXVI - Numero 43    
Lunedì 3 Marzo 2025 ore 14:00
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Una botta da oltre dieci miliardi per l'Italia.

Il minacciato regalo dell'amico Trump.

Una botta da oltre dieci miliardi per l'Italia.

L’ora buia dei dazi sta per arrivare. Nel corso della prima riunione del suo gabinetto alla Casa Bianca Donald Trump ha annunciato la sua intenzione di muovere una guerra commerciale all’Unione Europea. “L’Ue è stata concepita per infastidire gli Stati Uniti, questo era l’obiettivo e ci sono riusciti”, ha detto, “ma ora sono io il presidente. I paesi europei potrebbero essere tentati da misure di ritorsione, ma non lo faranno. Possono provarci, ma gli effetti non saranno mai gli stessi, perché noi possiamo andarcene. Siamo la cornucopia, ciò che tutti vogliono, e possono tentare di vendicarsi, ma non funzionerà”, ha ripetuto. “Basta che non compriamo più nulla, e se succede, abbiamo vinto”, insiste.

Il nodo del contendere è noto: il deficit commerciale statunitense nei confronti dell’Europa, che secondo Trump sarebbe di “300 miliardi di dollari”, ma che invece consiste in 150 miliardi di euro solo per le merci, e solo di 50 miliardi se si tiene conto del surplus commerciale statunitense nei servizi. Se si tratta di minacce o meno, lo si vedrà presto: il tycoon ha annunciato che le tariffe nei confronti dei suoi partner regionali più stretti, Canada e Messico, scatteranno dal prossimo 4 marzo, e saranno del 25% sulle merci provenienti da quei Paesi. Mentre alla Cina saranno applicate tariffe aggiuntive del 10%, raddoppiando così quelle già in vigore.

Poi dovrebbe arrivare il turno dell’Europa, e quindi anche dell’Italia, Paese che insieme alla Germania si candida a essere tra i più colpiti dalla guerra commerciale americana. Al momento le stime sull’impatto variano ma tutte concordano che il colpo si farà sentire. In linea generale, secondo il Governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta, la crescita del Pil globale dovrebbe ridursi dell’1,5%, quella dell’Usa del 2% e dell’Unione Europea di mezzo punto percentuale.

L’Italia è oltre la media europea nel subirne gli effetti, ma per capirne la portata bisognerà prima aspettare i dettagli, quali merci saranno interessate e quali nel caso no. Ma gli Stati Uniti sono il primo mercato extra-Ue dell’export italiano: secondo i dati del Centro Studi Confindustria, nel 2024 le vendite di beni italiani negli Usa sono state pari a circa 65 miliardi di euro, generando un surplus vicino a 39 miliardi. Il mercato Usa ha offerto il contributo più elevato alla crescita dell’export italiano dal pre-Covid.

Gli investimenti diretti dell’Italia verso gli Stati Uniti ammontano invece a quasi cinque miliardi all’anno, il 27% del totale (media 2022-2023); 1,5 miliardi annui, invece, i flussi dagli Usa in Italia. Il deflusso netto di capitali è un segnale di dinamicità delle multinazionali italiane (anche grazie agli incentivi Usa), ma anche di limitata attrattività del mercato italiano per i capitali americani, ha rilevato il Csc di Viale dell’Astronomia. Le multinazionali americane sul territorio italiano, comunque, sono le prime per numero di  occupati (più di 350mila nel 2022),  contribuendo per più di un quinto al valore aggiunto nazionale e alla spesa in ricerca e sviluppo.  

Il Csc sottolinea che “quasi tutti i settori manifatturieri  italiani godono di un surplus commerciale con gli Stati Uniti”.  Macchinari e impianti sono il primo settore esportatore mentre la farmaceutica è il primo settore importatore, nonostante un surplus pari quasi al doppio del valore. Altri settori che hanno un importante surplus sono gli autoveicoli e altri mezzi di  trasporto e gli alimentari.  “L’export italiano – ha scritto il Centro Studi – è più esposto della media Ue  al mercato Usa: 22,2% delle vendite italiane extra-Ue, rispetto  al 19,7% di quelle Ue. Tra i settori maggiormente esposti  spiccano le  bevande (39%), gli autoveicoli e gli altri mezzi di  trasporto (30,7% e 34,0%, rispettivamente) e la farmaceutica (30,7%).  Viceversa, l’import italiano è meno dipendente della media Ue dalle forniture Usa: 9,9% rispetto a 13,8% degli acquisti extra-Ue. I comparti più dipendenti sono il farmaceutico (38,6%)  e le bevande (38,3%), che lo sono anche dal lato dell’export. Ciò evidenzia “la profonda integrazione di queste filiere produttive e il loro elevato rischio in caso di dazi e ritorsioni”.

“La preoccupazione è innegabile”, ha detto il presidente di Confindustria Emanuele Orsini. “È un cambio di paradigma impensabile e tutti noi imprenditori europei confidavamo che non accadesse. Abbiamo solo una possibilità: cambiare subito con misure straordinarie per un momento straordinario”. Anche Confartigianato nei giorni scorsi non ha nascosto la sua preoccupazione. Secondo l’ufficio studi il calo in valore dell’export italiano potrebbe superare gli 11 miliardi, arrivando fino al -16,8%  rispetto ai 66,4 miliardi dell’attuale livello delle nostre esportazioni negli Stati Uniti. “L’imposizione di dazi addizionali, nelle ipotesi del 10% o  del 20%, farebbe calare le nostre esportazioni verso gli Usa,  rispettivamente, del 4,3% o addirittura del 16,8%”, ha detto il  presidente Marco Granelli. Ma nel caso in cui le tariffe dovessero essere del 25% il conto sarà ancora più salato.

“Gli Stati Uniti rappresentano il secondo mercato, dopo la Germania, per il maggior valore del nostro export – pari al 10,7% del totale – e hanno visto un boom delle nostre vendite (+58,6%, pari a 24,9 miliardi) tra il 2018-2023. Nel 2024 – si legge nel rapporto di Confartigianato – il made in Italy ha conquistato il mercato statunitense soprattutto con i prodotti farmaceutici (+19,5%), alimentari, bevande e tabacco (+18%), apparecchi elettrici  (+12,1%), macchinari (+3,7%), gomma, plastiche, ceramica e vetro (+3,2%) e legno, stampa e carta  (+2,4%)”.

A pagare maggiormente le spese di una guerra commerciale sarebbero i settori con la  maggiore presenza di micro e piccole imprese nella moda, mobili, legno, metalli, gioielleria e occhialeria che nel 2024 hanno esportato negli Usa prodotti per 17,9 miliardi di euro, con una crescita delle vendite del 3,9% tra gennaio e settembre dello scorso anno. Gli aumenti più consistenti dell’export si sono registrati per i prodotti alimentari (+24,1%), del legno (+6,4%), dei mobili (+4,2%) e dell’abbigliamento (+3,5%)”. “Dal presidente Trump arrivano decisioni che se applicate metterebbero nel giro di 24 ore in ginocchio imprese, lavoratori e a cascata tutta l’economia italiana”, ha dichiarato Claudio Feltrin, presidente di FederlegnoArredo.

Numeri che si rispecchiano nelle analisi di Confindustria, secondo cui i settori più esposti sono quelli delle bevande (negli Usa il 39% dell’export extra Ue), gli autoveicoli e gli altri mezzi di trasporto (30,7% e 34,0%, rispettivamente) e la farmaceutica (30,7%). L’Italia si trova in una situazione scomoda: è meno dipendente dalle importazioni americane rispetto alla media europea e più dipendente per le sue esportazioni.

L’esposizione italiana agli Usa aumenta se si considerano anche le connessioni produttive indirette, cioè le vendite di  semilavorati che sono incorporati in prodotti per il mercato Usa. In  base alle stime del Centro Studi Confindustria, i solidi legami produttivi tra le due sponde dell’Atlantico sulla chimica e il farmaceutico “potrebbero essere un deterrente alla rincorsa tariffaria: oltre il 70% dello stock  di capitali investiti dalle imprese farmaceutiche Ue nei paesi extra-Ue è diretto negli Usa; la quota è la stessa per le  multinazionali farmaceutiche tedesche mentre quelle italiane sfiorano il 90%.

Per il totale del manifatturiero, secondo il Csc, “il peso del mercato di destinazione Usa è stimato pari a quasi il 7% della produzione totale, di cui circa il 5% è costituito da flussi diretti e il restante da connessioni indirette. Di queste connessioni indirette, circa metà è  costituita da interdipendenze domestiche tra settori italiani, poco meno di un  quarto da quelle interne all’economie Usa e la parte restante da legami produttivi internazionali, soprattutto all’interno dell’Ue”.

Con i dazi, a subire un ennesimo colpo nella manifattura sarà l’industria dell’auto. Secondo Federcarrozzieri, se nel 2024 il prezzo medio di una autovettura si è attestato in Italia a circa trentamila euro, ora i dazi rischiano di determinare a livello globale una nuova impennata dei listini delle auto, che nel 2025 potrebbero salire in media di  2.500/3.000 euro rispetto ai prezzi attuali.

C’è poi tutto il comparto dell’agroalimentare. Il mercato statunitense dell’export alimentare italiano dovrebbe toccare, a consuntivo 2024, una quota che sfiora gli otto miliardi. Secondo uno studio Coldiretti-Filiera Italia se i dazi dovessero interessare l’intero agroalimentare, il costo stimato per le singole filiere sarebbe di quasi 500 milioni solo per il vino, circa 240 milioni per l’olio d’oliva, 170 milioni per la pasta, 120 milioni per i formaggi, 40 milioni per i derivati del pomodoro, rispetto al dato attuale. A non celare preoccupazione è ad esempio il Consorzio del Prosciutto di San Daniele che negli States nel 2024 ha registrato un aumento del +19,6% rispetto all’export dell’anno precedente.

Sul piano territoriale, le regioni più esposte sono sicuramente la Lombardia (export di 13,5 miliardi di euro), Emilia Romagna e Toscana (con oltre dieci miliardi ciascuna), Veneto (sette miliardi) e Piemonte (cinque miliardi). Sul piano internazionale, invece, l’Italia come detto sarà sicuramente tra i più colpiti, ma l’impatto si farà sentire ovunque proprio a causa delle interconnessioni commerciali, per l’estensione della guerra commerciale verso altri Paesi extra-Ue come Cina che si prepara a riversare la sua sovracapacità produttiva sul mercato europeo, e infine per le ritorsioni che Bruxelles metterà in atto in risposta ai dazi di Trump. La presidente del Parlamento Europeo Roberta Metsola in questi giorni si trova negli Usa, dove ha avvisato la Casa Bianca che l’Ue è pronta a tutto, anche alla guerra commerciale: “Dovremmo parlare di accordi commerciali piuttosto che di dazi, crescere insieme piuttosto che il contrario. Noi non vogliamo fregare nessuno. L’atteggiamento ‘win-win’ sarà sempre il nostro approccio preferito, ma siamo pronti a tutto. Quindi permettetemi di essere chiara: l’Ue reagirà fermamente e immediatamente contro le barriere ingiustificate al commercio libero ed equo, anche quando le tariffe vengono utilizzate per contestare politiche legali e non discriminatorie. Non vogliamo imboccare quella strada, ma siamo pronti”, ha detto alla Johns Hopkins University. A brigante, brigante e mezzo.

di  Claudio Paudice  su Huffpost

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