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Il 17 marzo 1861 nasce lo Stato unitario

E Cavour spiega perché è preferibile “Re d’Italia” a “Re degli italiani”.

Il 17 marzo 1861 nasce lo Stato unitario

Fino al 2012 , quando è stata istituita con la legge n. 222 del 23 novembre, l’Italia non ricordava il 17 marzo, data dell’unificazione nazionale con la proclamazione del Regno d’Italia. È vero che a quella data mancava ancora Roma, destinata a divenirne la Capitale. Mancavano anche Trento e Trieste che saranno annesse allo Stato nazionale nel 1918 dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, ma il 17 marzo è una data importante, di quelle che festeggiano tutti gli Stati dacché è proprio il momento fondativo che va richiamato, anche se al termine di un processo durato secoli e conclusosi con gli eventi del Risorgimento, la Prima e la Seconda Guerra d’Indipendenza nazionale, l’annessione di alcuni territori dello Stato della Chiesa e del Regno delle Due Sicilie.

Il 17 marzo 1861 costituisce, dunque, l’approdo di un lungo e difficile percorso di unificazione nazionale. E la legge ne prende atto con l’obiettivo di ricordare e promuovere i valori identitari del popolo italiano più di altri caratterizzato da una storia variegata e complessa. Del resto l’Italia si è formata nel corso dei secoli tra regni e principati, comuni e città libere con forti presenze di potenze straniere, la Spagna, la Francia, l’Austria che hanno pesantemente condizionato il formarsi di un diffuso sentimento unitario in particolare in alcuni ambienti meno culturalmente dotati. Per cui scopo della legge è stato anche quello di avviare percorsi didattici, momenti di riflessione, iniziative e incontri celebrativi al fine di far conoscere gli eventi e il significato del Risorgimento, anche nel contesto attuale ed europeo, nonché di meditare sulle vicende che hanno condotto all’Unità nazionale, alla scelta dell’Inno di Mameli e della bandiera nazionale lungo i decenni che dal 1861 hanno portato all’approvazione della Costituzione ed oltre.

È un compito essenzialmente della scuola, luogo di elezione “per promuovere il valore della Patria, della nostra Costituzione, del significato della nostra unità nazionale, e di una positiva convivenza civile”. ha scritto il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara. Ed ha aggiunto che “Nelle scuole è molto importante spiegare il significato dell’Unita d’Italia, del nostro Inno Nazionale e della nostra bandiera. Il tutto ovviamente contestualizzato in un approfondimento del Risorgimento, momento fondamentale della nostra storia nazionale”. Ai fini del consolidamento delle radici comuni di un popolo la cui storia è ricca di esperienze istituzionali, politiche, culturali, artistiche straordinarie che, tutte insieme, costituiscono un patrimonio che possiamo considerare comune, come lo intesero quanti nel corso dell’Ottocento e successivamente si sono battuti per l’unità. E pluribus unum,un motto che se va bene per gli Stati Uniti d’America a maggior ragione può identificare la storia d’Italia.

Accanto alla scuola la famiglia mantiene forti i legami con le generazioni passate, quelle che diedero luogo, col pensiero e l’azione, con la penna ed il fucile, al movimento risorgimentale. Non c’è, in pratica, famiglia che non possa vantare l’impegno di nonni e trisavoli in qualche momento della storia d’Italia già ricordato in occasione delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, con grande concorso di popolo.

Ed a proposito del popolo mi piace ricordare le parole del Presidente del Consiglio Camillo Benso di Cavour in occasione della seduta del Senato del Regno del 26 febbraio 1861 nella quale venne in discussione il progetto di legge, in un solo articolo, in base al quale Vittorio Emanuele II avrebbe assunto il titolo di Re d’Italia.

In quella occasione il Senatore Pareto aveva proposto che al titolo di Re d’Italia fosse sostituito quello di “Re degli italiani”. Cavour intervenendo osserva che “il vero argomento che si può far valere per dare la preferenza al titolo di Re degli Italiani su quello di Re d’Italia si è che si crede vedere in queste parole Re d’Italia un so che d’antico e di feudale”. Aggiungendo che questo è “un grandissimo errore”. Infatti, prosegue, “nel sistema costituzionale il sovrano è quello che concentra e riassume la grande idea nazionale, e questa idea si esprime molto meglio col titolo di Re della contrada, che non dire di Re degli individui che la compongono.

E difatto, o signori, i popoli più liberi della terra hanno essi ideato o limitato questo modo di dire?

 

No, o signori. In Inghilterra vediamo che, a malgrado delle varie rivoluzioni che si sono succedute, i sovrani hanno sempre conservato il titolo di sovrani del Regno unito. Ma mi si dirà, l’Inghilterra è il paese delle tradizioni feudali, dove accanto all’applicazione delle più larghe massime di libertà, si vedono conservate istituzioni molto antiquate.

Dunque questo esempio deve rassicurare interamente l’onorevole senatore Pareto, che il Re Vittorio Emanuele, assumendo il titolo di Re d’Italia, non rimane perciò nessuna macchia di feudalesimo alla sua corona.

Ma, o signori, se il titolo di Re d’Italia non può essere imputato di feudalesimo a confronto del titolo di Re degli italiani, esistono ben altri e più gravi motivi perché diasi la preferenza al titolo di Re d’Italia (Vivi applausi).

Perché il titolo di Re d’Italia eccita cotanto entusiasmo della nazione?

Perché esso ha la virtù di eccitare gli animi vostri, e di farvi prorompere in applausi, quando ve ne proponiamo l’adozione? Perché esso è la consacrazione di un fatto immenso; è la consacrazione del fatto della costituzione dell’Italia, è la trasformazione di questa contrada, la cui esistenza come corpo politico era insolentemente negata, e lo era, conviene pure dirlo, da quasi tutti gli uomini politici dell’Europa, la trasformazione di questo Corpo, potrei dire disprezzato, non curato, in Regno d’Italia.

E questa idea della formazione di questo Regno, della costituzione di questo popolo; è questa idea che viene meravigliosamente espressa, affermata colla proclamazione di Vittorio Emanuele II a Re d’Italia”.

La citazione è lunga ma era necessaria perché esprime delle considerazioni di grande attualità rispetto alla identità dei popoli specialmente nel contesto dell’Unione europea nella quale molteplici sono gli stati retti da monarchie costituzionali le quali, oltre ad assicurare l’assoluta neutralità del vertice dello stato rispetto ai partiti politici in competizione per la gestione del potere, rappresenta, attraverso il sovrano e la dinastia alla quale appartiene, la storia della nazione.

Può sembrare un riferimento formale. Ma se la presenza delle monarchie garantisce l’unità dello stato di fronte alle pulsioni disgregatrici di alcune realtà, pur di antica tradizione, come la Spagna, il Belgio, l’Olanda, per fare solo alcuni esempi è evidente che nel contesto europeo il passo verso una maggiore integrazione può poggiare sulla salvaguardia delle storie dei paesi che compongono l’Unione.

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