Anno: XXVI - Numero 55    
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Cassa Forense dal 1° gennaio 2025 parte il calcolo contributivo della pensione, in pro-rata temporis.

Con la riforma per molti nuovi iscritti dal 01.01.2025 il futuro previdenziale sara’ complicato.

Cassa Forense dal 1° gennaio 2025 parte il calcolo contributivo della pensione, in pro-rata temporis.

Per i nuovi iscritti dal 01.01.2025, se non si gioveranno della retrodatazione, riscatto o ricongiunzione, che li riporterà nel regime misto per un vuoto normativo, si applicherà il sistema di calcolo contributivo previsto dalla legge 335/1995.

Ora l’art. 1, comma 16, della legge 335/1995 dice che “alle pensioni liquidate esclusivamente con il sistema contributivo non si applicano le disposizioni sull’integrazione al minimo”.

«1. La presente legge ridefinisce il sistema previdenziale allo scopo di garantire la tutela prevista dall’articolo 38 della Costituzione, definendo i criteri di calcolo dei trattamenti pensionistici attraverso la commisurazione dei trattamenti alla contribuzione, le condizioni di accesso alle prestazioni con affermazione del principio di flessibilità, l’armonizzazione degli ordinamenti pensionistici nel rispetto della pluralità degli organismi assicurativi, l’agevolazione delle forme pensionistiche complementari allo scopo di consentire livelli aggiuntivi di copertura previdenziale, la stabilizzazione della spesa pensionistica nel rapporto con il prodotto interno lordo e lo sviluppo del sistema previdenziale medesimo.

  1. Le disposizioni della presente legge costituiscono princìpi fondamentali di riforma economico sociale della Repubblica. Le successive leggi della Repubblica non possono introdurre eccezioni o deroghe alla presente legge se non mediante espresse modificazioni delle sue disposizioni.»

E già questo è un primo problema.

Si potrà sostenere che la modifica risulta giustificata dalla delegificazione prevista dall’art. 3 c. 12 legge 335/1995 che, nella sua originaria formulazione, attribuisce agli enti previdenziali privatizzati il potere di adottare atti idonei ad incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata (Cass. 4980/2018; Cass. 19255/2019).

Secondo l’insegnamento della Corte Costituzionale, i mezzi necessari per vivere non possono identificarsi con i mezzi adeguati alle esigenze di vita.

In questa ottica, Cassa Forense nella riforma del 2024  ha avvertito l’esigenza, espressa dall’art. 38, comma 2, Costituzione, di garantire al pensionato adeguate esigenze di vita e quindi, a prescindere dal metodo di calcolo della pensione, retributivo o contributivo, la necessità dell’integrazione al trattamento minimo, sia pure in forma ridotta, a causa della riduzione della contribuzione minima.

Per capire la situazione bisogna fare una po’ di memoria storica.

Pensione minima e integrazione al trattamento minimo sono due istituti diversi che non si possono confondere, la prima è previdenziale, la seconda assistenziale.

L’integrazione al minimo costituisce la più classica applicazione pratica di quei principi, di solidarietà e mutualità, che caratterizzano l’intero sistema previdenziale e assistenziale forense: l’iscritto che, con i redditi prodotti e i contributi versati nel corso della vita lavorativa, non riesce a raggiungere un trattamento pensionistico dignitoso, riceve un aiuto concreto da parte della collettività degli iscritti, sotto forma appunto d’integrazione dell’assegno pensionistico.

Cassa Forense ha sempre avuto e riconosciuto la pensione minima per tutte le prestazioni erogate.

Con la riforma del 2010 (quella della mia presidenza), la pensione minima è stata abolita, perché non era più attuarialmente sostenibile, e sostituita dall’istituto dell’integrazione al trattamento minimo, erogabile a chi ne avesse i requisiti reddituali.

Sino al 31.12.2024 il trattamento minimo era di € 13.942,00 all’anno che, con la riforma andrà riducendosi per arrivare, dal 2030 in poi, ad € 10.250,00 solo rivalutabile in base all’inflazione.

La riforma del 2024, per esigenze di cassa, ha però inasprito anche  le condizioni per poter beneficiare dell’integrazione al trattamento minimo, perché il reddito complessivo massimo dell’iscritto scende dal triplo al doppio del trattamento minimo, con esclusione dalla integrazione al minimo, per le pensioni indirette e di reversibilità e di limitazione per la pensione di vecchiaia contributiva, solo se l’iscritto abbia maturato un’anzianità contributiva pari ad almeno 35 anni.

Questo perché la riforma del 2024, contrariamente a quanto era avvenuto con la riforma del 2010, che aveva previsto il progressivo aumento dell’entità dei contributi minimi, soggettivo e integrativo, per meglio finanziare le pensioni, ha abbassato il contributo minimo, venendo incontro alle difficoltà del presente di molti iscritti, ma rendendo per loro complicatissimo il futuro previdenziale, perché con la contribuzione così ridotta, nell’ambito del criterio di calcolo contributivo, la pensione che ne uscirà in molti casi sarà inferiore all’assegno sociale INPS, che è misura totalmente assistenziale, perché erogato a chi non abbia versato alcun contributo.

A mio giudizio, il cambiamento di rotta rispetto al 2010, cosi come la reintroduzione dei supplementi di pensione, appare una decisione non adeguatamente ponderata e in grado di oscurare il futuro previdenziale di molti giovani.

Si è pensato all’oggi ma il Legislatore previdenziale deve essere lungimirante.

Ricordo che i liberi professionisti senza Cassa e altre categorie di lavoratori autonomi devono versare contributi alla Gestione Separata INPS.

L’aliquota per i professionisti non assicurati presso altre forme pensionistiche obbligatorie è pari al 26,07%.

Il reddito minimo, per il 2024, era pari ad € 18.555,00 e quindi il minimale contributivo per i liberi professionisti con aliquota del 26,07% era pari ad € 4.837,29.

Queste cifre la GS Inps non le determina a caso ma tenendo conto di quella che potrà essere una pensione adeguata alle esigenze di vite dei professionisti.

Senza contribuzione non ci può essere pensione adeguata!

Ora quando si confronta la contribuzione di Cassa Forense con quella della GS Inps bisogna anche, correttamente, fare il confronto con il quantum delle pensioni erogate, altrimenti il raffronto risulta del tutto privo di significato.

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