I peccati mortali del Pd, additati da Prodi
L’ex premier in un’intervista al Corriere sembra avvertire i suoi interlocutori europei che lui con le cecità e i giri di valzer del partito di Schlein non c’entra affatto. Un appunto su Spinelli e la sua finestra sugli Usa.

Solo chi non conosce Romano Prodi può meravigliarsi per l’intervista rilasciata al Corriere della Sera di stamane dall’ex presidente del Consiglio ed ex presidente della Commissione europea. Stiamo parlando del nome che ha incrociato negli anni la sua storia come leader del centrosinistra con le responsabilità al vertice delle istituzioni europee. Assistere al disastro delle politiche europee del Pd, oltretutto nel campo cruciale della difesa e della sicurezza, è qualcosa che evidentemente Prodi non riesce ad accettare. Ancora peggio se dovesse passare il messaggio che lui in qualche misura accetta e condivide la linea assai confusa fatta propria dalla segreteria di Elly Schlein: il partito diviso e incerto tra astensione e voto a favore sui temi della difesa e dei relativi finanziamenti in vista del 2030, la data simbolica presentata come il perno di una nuova stagione. E ancor di più, si può immaginare, irrita Prodi non essere stato consultato dai vertici del Pd – e comunque non ascoltato – sui temi rilevanti del rapporto fra il centrosinistra italiano e l’Europa. Centrosinistra che, come sappiamo, è riuscito a isolarsi rispetto alla famiglia socialista e democratica di riferimento, uno dei pilastri su cui si regge la Commissione Von der Leyen.
Si capisce allora che l’intervista è una delle più significative rilasciata da Prodi negli ultimi anni. Non è affatto tenera verso Giorgia Meloni, a cui riserva pesanti attacchi (la definisce “servitrice di due padroni, come Arlecchino”), ma l’obiettivo è colpire il Pd nella gestione di Elly Schlein, peraltro mai nominata. Tuttavia la mancanza di “saggezza”, che caratterizza l’opposizione e fornisce all’esecutivo di destra una polizza di sopravvivenza, equivale alla più aspra delle critiche rivolte al Pd. La politica di sicurezza e la difesa dell’Unione, ora che finalmente si cerca una prima risposta al problema, è un traguardo a cui nessun europeista può essere indifferente. Quindi l’eccesso di “prudenza” in questo campo è un peccato mortale, non una semplice leggerezza. Prodi tenta di tenersi lontano dal dibattito interno al Pd, eppure mai come questa volta la sua voce è ferma, anzi severa, e non si limita a una modica dose di ironia. A differenza di altri, soprattutto a sinistra, l’ex presidente ha il senso della storia e della sua drammaticità. E forse vuole far sapere ai suoi interlocutori nel continente (senza dubbio continua a coltivare i contatti) di non avere niente da spartire con i giri di valzer di certi suoi successori a Roma.
Quanto alla drammaticità della storia, vale la pena di aggiungere un dettaglio alla lunga e assurda polemica sul manifesto di Ventotene e in particolare sulla figura di Altiero Spinelli. Non solo quest’ultimo era il contrario dello stalinista miope e chiuso nell’ideologia che la premier Meloni ha voluto raffigurare, ma nel dopoguerra il suo pensiero politico conobbe un’interessante evoluzione, di certo ignota ai suoi attuali critici di destra. A metà degli anni Sessanta, Spinelli fondò l’Istituto Affari Internazionali (IAI), un centro studi sulle relazioni internazionali tuttora attivo, ma che garantì una finestra di dialogo tra il Pci di allora, ancora dogmatico, e gli Stati Uniti. Servì nel tempo a scongelare in parte i rapporti con Washington, specie con i democratici di Carter, e quindi a favorire la conversione del comunismo italiano in una forza che cominciava a credere nell’Europa. Un percorso che vide protagonista, tra gli altri, Giorgio Napolitano. Forse è anche questo che andrebbe ricordato quando si parla con tanto livore di Spinelli.
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