Anno: XXVI - Numero 68    
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L’UE ferma tra falchi di Washington e lupi di Pechino: due strade per tornare protagonista

Perché l’Unione Europea non sia solo un’arena di mercato, ma ... si trasformi in un attore politico, servono due condizioni.

L’UE ferma tra falchi di Washington e lupi di Pechino: due strade per tornare protagonista

La prima è che i paesi europei si muovano come componente unitaria all’interno della Nato accrescendo in modo consistente il loro impegno finanziario per la difesa, ma anche il proprio peso politico-militare all’interno dell’alleanza. L’obiettivo deve essere quello di negoziare uniti (e pertanto da posizioni di forza) con gli Stati Uniti e con gli altri partner Regno Unito, Turchia e Norvegia. In questa logica i 25 ministri della Difesa dei paesi europei (Irlanda e l’Austria non ne fanno parte) dovrebbero coordinare preventivamente strategie europee comuni in modo da incidere nei reali processi decisionali della Nato sinora dominati dalle logiche del Pentagono. Sarebbe interessante sapere se è come il Ministro Guido Crosetto si muove in questa direzione.

La seconda condizione è elaborare una propria visione strategica sul futuro del commercio internazionale. È fondamentale difendere in modo incisivo e intelligente gli interessi nazionali (senza dimenticare che talora sono contrastanti) degli Stati membri della Ue rispetto ai dazi decisi dal Presidente Donald Trump. Ma non basta. L’Unione Europea deve finalmente parlare al resto del mondo lanciando una strategia alternativa a quanto deciso dalla Casa Bianca sui dazi sulla base di criteri primitivi e sbagliati che talora rasentano l’assurdità come nel caso dell’isola abitata solo da pinguini. Il punto di partenza deve essere, però, la consapevolezza che l’amministrazione americana ha dato una risposta inaccettabile, ma che esistono problemi strutturali nel commercio mondiale che non devono essere elusi. A 30 anni dalla nomina dell’ambasciatore Renato Ruggero a direttore generale del Wto (1 maggio 1995) i mercati globali non si sono sviluppati come “level playing field”, ma presentano alcune rilevanti e innegabili asimmetrie soprattutto in materia di concorrenza (leale/sleale).

Nello sviluppo dei processi di globalizzazione il caso della Cina è macroscopico, inutile girarci intorno. Il volume degli incentivi pubblici alle imprese, il ruolo delle aziende di stato, il controllo politico e la manipolazione della moneta e la sostanziale negazione della libertà imprenditoriale per gli investitori stranieri rendono il Dragone ancora molto lontano dalla concezione dell’efficienza di mercato propria della cultura liberale. Salvo rari casi di golden power (in settori particolarmente sensibili), le imprese cinesi hanno negli ultimi due decenni avuto una libertà di movimento in Europa impensabile per le aziende europee in Cina. L’anomala posizione commerciale assai “privilegiata” della Cina nelle relazioni economiche internazionali è un tema molto sentito in Africa e in Asia.

Accanto al duro negoziato che Bruxelles deve intraprendere al più presto con i falchi di Washington una postura intransigente della Ue deve esserci anche con i lupi di Pechino. Solo in questo modo l’Europa potrà finalmente assumere una reale credibilità internazionale e diventare finalmente… un attore politico.

Marco Mayer Collaboratore Aduc

 

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