Papa Francesco e la riforma della Curia romana: una partita ancora da giocare
Una rivoluzione in nome del Concilio vaticano II.
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C’è chi sostiene (forse giustamente) che le riforme camminano più sulle gambe degli uomini che sui volumi di diritto. Niente di più vero se ci si riferisce ad una macchina complessa e secolare come la Curia romana, temuta ed esaltata per quel che riguarda la guida della Chiesa romana e vista, comunque, come uno dei problemi più sentiti per far funzionare una realtà universale. Papa Francesco, come anche lui ha raccontato a più riprese, ha preso questo impegno come tra i più incombenti del suo pontificato, ascoltando, studiando e, quindi giungendo ad una riforma attraverso la promulgazione, il 19 marzo del 2021 la Costituzione apostolica “Praedicate Evangelium”, definito dagli osservatori più attenti: “uno degli atti qualificanti del suo pontificato”.
Un documento nel quale papa Francesco ha tentato di ridisegnare la Curia Romana introducendo numerosi cambiamenti nella struttura curiale. Innanzitutto, una rivoluzione semantica, laddove sono sparite le vecchie denominazioni (Congregazioni, Pontifici Consigli) e i 16 dipartimenti della Santa Sede che sono stati rinominati “Dicasteri”.
A restare, ovviamente, il ganglio vitale della macchina curiale: la Segreteria di Stato che ha perso, però, molte delle sue. Ma il pontefice ha voluto anche mutare le “gerarchie” dei diversi dicasteri ponendo al primo posto il Dicastero per l’Evangelizzazione (direttamente presieduto dal Papa con due pro-prefetti nelle sezioni in cui è diviso) e solo dopo quello per la Dottrina della fede (che storicamente aveva sempre la prima posizione tra le vecchie Congregazioni). Segue oggi il nuovo Dicastero per il Servizio della carità, che precedentemente era un semplice Ufficio, quello dell’Elemosineria apostolica.
Piccola ma significativa novità: nel testo si parla di “Segreteria generale del Sinodo” e non di “Segreteria generale del Sinodo dei vescovi” come tuttora si chiama questo organismo extra-curiale. Segno forse che quel “dei vescovi” è destinato a dissolversi. Nei vecchi ordinamenti della Curia Romana era previsto che il segretario di Stato e i prefetti delle Congregazioni fossero cardinali. Tutto questo sparisce.
Gli unici due incarichi per cui è esplicitamente stabilito che siano presieduti da un porporato sono il prefetto della Segnatura apostolica e il coordinatore del Consiglio per l’economia. Per il resto viene stabilito che “qualunque fedele può presiedere un Dicastero o un organismo, attesa la peculiare competenza, potestà di governo e funzione di questi ultimi”. E questo in virtù del principio che la “potestà di governo nella Chiesa non viene dal sacramento dell’ordine, ma dalla missione canonica” ricevuta dal Papa con il conferimento dell’ufficio.
“L’evangelizzazione e il ruolo dei laici sono le priorità che collegano la nuova costituzione al concilio Vaticano II “, ha spiegato L’Osservatore Romano. Mentre la prestigiosa rivista dei padri Gesuiti “La Civiltà Cattolica”, in un articolo del 2022 notava come “papa Francesco concepisce la riforma della Curia romana all’interno del contesto più ampio della riforma della Chiesa, cioè della sua conversione alla missionarietà. Nel suo discorso alla Curia romana del 21 dicembre 2019, egli vede il cuore della riforma nel “primo e più importante compito della Chiesa: l’evangelizzazione”, come la sua anima più profonda”.
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