La nuova sfida politica della Chiesa dopo l’era Bergoglio
Francesco ha avuto la sua missione: parlare la lingua degli ultimi.
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E ora serve un Papa che sia consapevole del tempo in cui viviamo: un tempo di guerre diffuse, di sovranismi irrequieti, di un ordine mondiale che si sfalda
Il corpo esanime di Francesco è già reliquia, è spoglia sacra a disposizione del secolare dispositivo rituale di Santa romana Chiesa che in queste ore si occupa fin nel minimo dettaglio della “correttezza” del trapasso.
Francesco è già simbolo, icona schiacciata da quella mitopoiesi profana che anestetizza e banalizza la radicalità del suo messaggio, del suo pontificato. Un espediente del “potere” che in questo modo lo rende innocuo di fronte a quei Capi di Stato che sabato saranno al suo funerale e che issavano muri quando lui ne invocava l’abbattimento.
In ogni caso, finché il conclave non avrà pronunciato il suo verbo, finché la fumata bianca non avrà tinto il cielo di Roma, tutto resta sospeso: il corpo di Francesco, il soglio di Pietro, il futuro della Chiesa e il suo ruolo nel nuovo millennio. Perché la morte di un Papa è la cesura di un’epoca, la crisi di un disegno.
Francesco ha avuto la sua missione: parlare la lingua degli ultimi, certo, lavare i piedi ai poveri ma soprattutto pulire una chiesa macchiata da scandali e sospetti inconfessabili. Un pontificato, il suo, molto “ripiegato” su sé stesso, molto impegnato a salvare la Chiesa dalle sue “fragilità”.
Ma il mondo, nel frattempo, è andato avanti con strappi improvvisi, radicali. E così è accaduto che il pontificato di Bergoglio, complice la lunga ed estenuante malattia, si fosse esaurito ben prima della sua morte. La Chiesa in quel momento ha smesso di guardare il mondo, e il mondo ha smesso di guardare la Chiesa, come se si fosse rotto il patto tra fede e potere, tra spiritualità e visione politica. Ecco, in quel vuoto, in quel disallineamento tra i tempi del pontificato e i tempi del mondo, la Chiesa ha smesso di essere interlocutrice del reale.
Ora il conclave non dovrà scegliere un successore. Dovrà scegliere una postura storica, un’idea di Chiesa. Un progetto. Così come Giovanni Paolo II fu il papa della guerra fredda e della battaglia contro il comunismo, con un progetto lucido, a tratti brutale, ma forse necessario, oggi serve un Papa che sia lucidamente consapevole del tempo in cui viviamo: un tempo di guerre diffuse, di sovranismi irrequieti, di un ordine mondiale che si sfalda pezzo dopo pezzo.
Sarà un Papa che dovrà confrontarsi senza paura e senza anacronismi con l’Intelligenza Artificiale; un Papa che si troverà a dialogare con la scienza e con una vita i cui confini si spostano quotidianamente; che sappia che la spiritualità non è un antidoto alla modernità, ma un modo per attraversarla con coraggio. Sarà un Papa, inoltre, che tornerà a sporcarsi le mani nella polis, nella cultura, nella carne viva della storia.
Francesco ha voluto una Chiesa che ascolta. Ora dovremmo aspettarci una Chiesa che parli, che torni attore politico attivo. Altrimenti sarà solo una bella reliquia: perfettamente in ordine ma silenziosa.
Il Dubbio
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