Anno: XXVI - Numero 82    
Giovedì 24 Aprile 2025 ore 13:45
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Il miracolo del Papa. A San Pietro si ricompone l’Occidente

Trump e Zelensky si vedono nella Basilica e buttano la palla nel campo di Putin.

Il miracolo del Papa. A San Pietro si ricompone l’Occidente

Oggi è così, domani chissà. Il leader ucraino accetta di mettere sullo sfondo la Crimea, il presidente Usa di fornire garanzie ai volenterosi. Putin intanto rivendica la riconquista del Kursk

Fiat voluntas sua. Almeno per oggi, sedendosi l’uno di fronte all’altro all’interno della Basilica di San Pietro, il presidente americano Donald Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky hanno fatto la volontà di Papa Francesco, un Papa che – ha ricordato il cardinale decano Giovanni Battista Re durante l’omelia funebre – “ha incessantemente elevato la sua voce implorando la pace e invitando alla ragionevolezza, all’onesta trattativa per trovare le soluzioni possibili, perché la guerra – diceva – è solo morte di persone, distruzioni di case, ospedali e scuole”. Le due foto storiche di oggi – quella del faccia a faccia tra Trump e Zelensky, e poi quella di loro due insieme al presidente francese Emmanuel Macron e al premier britannico Keir Starmer – non significano affatto che la fine della guerra sia a un passo, ma mostrano la volontà di ricomporre la frattura che si era creata tra americani da un lato e ucraini ed europei dall’altro, confermando il proseguimento dei negoziati. Negoziati che in questa fase vedono contatti diretti solamente tra Stati Uniti e Russia, con Mosca che proprio oggi annuncia – malgrado la smentita di Kiev – la riconquista della regione del Kursk, la cui occupazione era stata presentata dal Cremlino come uno degli ostacoli insormontabili all’inizio di una trattativa con l’Ucraina.

Dallo scambio di proposte e controproposte che c’è stato negli ultimi giorni tra americani e ucraini – supportati in ogni mossa da Londra e Parigi – emerge la complessità di un negoziato che Washington sta conducendo con l’obiettivo primario di far finire la guerra, non importa come. Trattandosi di una guerra d’invasione lanciata da Mosca, la grande sfida è convincere Vladimir Putin che valga la pena fermarsi. Di qui il piano americano molto favorevole alla Russia, rigettato dagli ucraini e poi in buona parte accolto nella controproposta presentata nelle ultime ore da Zelensky a Trump.

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Questa controproposta – visionata dal New York Times – riprende alcune delle precedenti richieste di Kiev, ma accenna a possibili concessioni su questioni a lungo considerate irrisolvibili. Il piano prevede che “un contingente di sicurezza europeo” sostenuto dagli Stati Uniti venga schierato sul territorio ucraino per garantire la sicurezza, e che non ci siano restrizioni alle dimensioni dell’esercito ucraino. Un altro punto riguarda l’utilizzo dei beni russi congelati per riparare i danni causati in Ucraina durante la guerra. Se queste tre disposizioni sono indigeste per il Cremlino, alcune parti del piano ucraino suggeriscono la ricerca di un terreno comune. Non si fa menzione, ad esempio, della completa riconquista da parte dell’Ucraina di tutto il territorio conquistato dalla Russia o dell’insistenza sull’adesione dell’Ucraina alla Nato, due questioni che Zelensky ha a lungo dichiarato non negoziabili. Quanto alla Crimea – il principale motivo di scontro tra Trump e Zelensky, dopo l’apertura americana a riconoscere de jure il controllo russo sulla penisola annessa illegalmente nel 2014 – la formula usata da Kiev è significativamente vaga. Nel loro piano, gli ucraini affermano che il loro Paese dovrebbe essere “fully restored” (“pienamente riconsegnato”), senza tuttavia specificare altro. “Le questioni territoriali potrebbero essere discusse dopo il cessate il fuoco completo e incondizionato”, è tutto ciò che si legge nel testo ucraino.

Mettendo la Crimea sullo sfondo, Zelensky ha evitato che il filo con la Casa Bianca si spezzasse. Del resto, una rottura sarebbe stata difficile da gestire per lo stesso Trump, che ha preferito cogliere la straordinaria opportunità mediatica fornita dai funerali di Papa Francesco per vestire i panni del pacificatore, sedendosi faccia a faccia con Zelensky e poi colloquiando con Starmer e Macron. La concessione che Trump avrebbe fatto ai tre leader – secondo il Telegraph – sarebbe la fornitura di garanzie di sicurezza alla “coalizione dei volenterosi” promossa da Starmer e Macron. I funzionari Usa avrebbero aperto alla fornitura di intelligence e supporto logistico ai soldati britannici ed europei per sostenere un accordo di pace via terra, aria e mare, dopo che per due mesi Starmer aveva insistito con Trump. Sempre il Telegraph nei giorni scorsi aveva ipotizzato che i volenterosi rinunciassero all’invio di militari proprio perché considerato poco sicuro senza le garanzie Usa.

Dopo il recupero di una posizione comune – quanto meno meno di facciata – tra le due sponde dell’Atlantico, sia il capo della Casa Bianca sia il capo dell’Eliseo hanno chiamato in causa il grande assente in Vaticano, Vladimir Putin. “Putin non aveva motivo di lanciare missili contro aree civili, città e villaggi negli ultimi giorni. Mi fa pensare che forse non voglia fermare la guerra, mi stia solo prendendo in giro, e debba essere trattato diversamente – attraverso sanzioni bancarie o secondarie? Troppe persone stanno morendo!”, ha scritto il presidente Usa sul suo social network, Truth.

Macron – la cui mano sulla spalla di Zelensky nella foto a quattro sarà ricordata come uno dei gesti più coreografici della storia – ha detto la sua su X. “Oggi ho avuto uno scambio molto positivo con il presidente ucraino Zelensky a Roma. Porre fine alla guerra in Ucraina. Questo è l’obiettivo che condividiamo con il presidente Trump. L’Ucraina è pronta a un cessate il fuoco incondizionato. Il presidente Zelensky me lo ha ribadito oggi. Desidera lavorare insieme agli americani e agli europei per attuarlo. Spetta ora al presidente Putin dimostrare che vuole davvero la pace”. E ancora: “Continueremo il nostro lavoro nell’ambito della coalizione di volontari lanciata a Parigi lo scorso marzo, per ottenere sia il cessate il fuoco sia una pace completa e duratura in Ucraina”, ha aggiunto Macron.

Dopo i funerali, Zelensky è stato ricevuto dalla premier Giorgia Meloni, la leader europea più in buoni rapporti con l’amministrazione Trump (il quale, per inciso, ha stretto la mano di sfuggita alla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, con cui avrebbe “concordato di incontrarsi”, anche se non si sa né come né quando). Nel corso del colloquio – sottolineano da Palazzo Chigi – Meloni e Zelensky hanno ribadito il “sostegno agli sforzi del presidente Trump per il raggiungimento di una pace giusta e duratura, capace di garantire un futuro di sicurezza, sovranità e libertà all’Ucraina”. La premier ha ribadito la ferma condanna dei recenti attacchi russi, sottolineando l’urgenza di un cessate il fuoco immediato e incondizionato, nonché la necessità di un impegno concreto da parte di Mosca per l’avvio di un processo di pace. Meloni ha quindi salutato positivamente la “piena disponibilità dell’Ucraina per un immediato cessate il fuoco”: “ora ci si attende che anche la Russia dimostri concretamente la propria volontà di perseguire la pace”.

Il Cremlino – dopo aver osservato attentamente le scene trasmesse in mondovisione da San Pietro e letto le dichiarazioni dei leader – ha dichiarato che la Russia “è pronta a riprendere i negoziati con l’Ucraina senza precondizioni”. Parole non nuove a cui, finora, non sono mai seguiti i fatti. “Nel colloquio di ieri con l’inviato della Casa Bianca Steve Witkoff, il presidente Putin ha ribadito che la Russia è pronta a riprendere i negoziati con l’Ucraina senza precondizioni”, ha dichiarato il portavoce del Cremlino, sottolineando tuttavia che questa disponibilità era già stata espressa dal presidente russo in diverse occasioni nel passato.

Un elemento di novità, dal lato russo, potrebbe arrivare dal campo di battaglia, o quanto meno dalla narrazione che Mosca ne fa. Proprio oggi la Russia ha rivendicato la completa riconquista del Kursk, la regione di confine dove gli ucraini erano riusciti a entrare nell’agosto scorso. Il capo di stato maggiore dell’esercito russo Valery Gerasimov ha comunicato a Putin che “oggi l’ultimo insediamento nella regione di Kursk, il villaggio di Gornal, è stato liberato dalle unità ucraine”, durante una riunione in videoconferenza trasmessa dalla televisione di Stato. “L’avventura del regime di Kiev è completamente fallita”, si è subito congratulato Putin. “La completa sconfitta del nemico (…) crea le condizioni affinché le nostre truppe possano continuare a operare con successo in altre importanti aree del fronte e avvicinarsi alla sconfitta del regime neonazista” a Kiev, ha continuato, utilizzando la consueta retorica per descrivere l’amministrazione Zelensky. L’esercito ucraino ha prontamente smentito, denunciando le “false notizie” come “tattiche di propaganda” e assicurando che i combattimenti nella zona “continuano”, anche se la situazione è “difficile”. Putin aveva chiarito in precedenza di non essere disposto a negoziare sull’esito del conflitto finché le forze ucraine non sarebbero state completamente “cacciate” dal Kursk. Ora che l’obiettivo è stato (quasi?) raggiunto, per il leader russo è più facile massimizzare di fronte all’opinione pubblica i risultati della sua “operazione militare speciale”. Il tutto mentre mancano poco più di dieci giorni al 9 maggio, il Giorno della Vittoria in cui i russi ricordano la vittoria dell’Unione Sovietica sulla Germania nazista. La palla, ora, è davvero nel campo di Mosca. Sempre che Trump non cambi di nuovo idea.

di  Giulia Belardelli  su HuffPost

 

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