La chiusura delle scuole: emergenza per 5 milioni 139 mila lavoratori
Ad essere penalizzate le donne, sia le mamme “single” (302 mila) sia le lavoratrici dipendenti (2 milioni 234 mila)
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Sono 5 milioni 139 mila i lavoratori italiani (dipendenti e autonomi) che nei prossimi giorni si troveranno a dover conciliare gli impegni lavorativi con la nuova emergenza dettata dal Coronavirus, che ha portato il Governo a chiudere tutte le scuole fino al prossimo 15 marzo. La sospensione delle attività didattiche in tutta Italia mette in difficoltà le famiglie con figli di età compresa tra 0 e 14 anni, che rischiano di incorrere nel reato di abbandono di minore, secondo quanto previsto dall’art. 591 c.p., se non possono contare sul sostegno di nonni o terzi. Stando ai dati elaborati dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro su microdati Istat Forze di lavoro (LFS), di questi 5 milioni 139 mila lavoratori italiani 2 milioni 697 mila sono donne e 2 milioni 442 mila uomini. Sempre considerando questa ampia platea, 349 mila sono genitori single e 4 milioni 790 mila coppie con entrambi i genitori occupati e con almeno un figlio con meno di 15 anni di età. É evidente che la maggiore criticità nella gestione di questa emergenza dovuta alla chiusura degli istituti scolastici interesserà le donne: sia le mamme “single” (302 mila contro i 47 mila papà single) sia le lavoratrici dipendenti (2 milioni 234 mila contro 1 milione 809 mila lavoratori), ancora oggi costrette a dover scegliere tra la vita professionale e quella familiare in assenza di misure che favoriscano una vera conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Infatti, secondo l’Istat, nel 2019 2 milioni 797 mila italiane, corrispondenti al 14,5% del totale della popolazione femminile tra i 15 e 64 anni, hanno addirittura rinunciato a lavorare per impegni di cura o responsabilità in ambito domestico. Un dato estremamente elevato se comparato al resto d’Europa – dove, al contrario, “solo” l’8,2% della popolazione femminile non lavora per motivi familiari – e in forte crescita negli ultimi anni (tra 2016 e 2019 il numero delle inattive per motivi famigliari è aumentato di 619 mila, registrando una crescita del 28,4%). Come emerge dal report della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro “Meno figli, meno lavoro. La conciliazione che ancora manca per le donne italiane”, la carenza cronica di servizi all’infanzia, unitamente al crescere delle responsabilità di assistenza e cura di una popolazione sempre più longeva e non autosufficiente, è ancora un ostacolo “strutturale” all’occupazione femminile. Il lavoro agile, pensato per rispondere all’emergenza sanitaria, può rappresentare uno strumento utile in questa fase, ma la sua applicabilità è fortemente condizionata dalla natura del lavoro svolto. Infatti, se le donne occupate in attività d’ufficio (21,5% del totale) e le figure ad elevata qualificazione (20,2%) hanno maggiori possibilità di svolgere il proprio lavoro in smart working, stessa cosa non si può dire delle addette in attività commerciali (20,9%, pari a 466 mila donne) e per le professioni tecniche (20,1%, pari a 448 mila donne), per le quali è imprescindibile la presenza sul luogo di lavoro. “Se la chiusura delle scuole dovesse protrarsi oltre il 15 marzo è possibile che molte lavoratrici dipendenti, esaurite ferie e permessi retribuiti, si troveranno costrette a restare a casa usufruendo di un permesso non retribuito, rinunciando così alla retribuzione e ai contributi”, ha fatto notare Rosario De Luca, Presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro. “Bene la scelta di puntare su ulteriori misure di sostegno alle famiglie, come il voucher per pagare la baby sitter e i congedi parentali straordinari per lavoratori dipendenti pubblici e privati, ma è necessario pensare anche ai lavoratori autonomi, ad oggi meno tutelati, per non far ricadere sulle loro famiglie gli effetti di un provvedimento d’urgenza a salvaguardia della salute pubblica”, ha precisato De Luca.
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