L’epidemia di coronavirus è un complotto
I napoletani diffidano delle notizie ufficiali
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Certo, lo studio condotto dall’osservatorio sui mutamenti sociali in atto dimostra quante famiglie campane corrano il rischio di essere travolte dalla crisi economica indotta dal Coronavirus. Ma la pandemia rivela anche altri aspetti. Un esempio? La tendenza di napoletani, avellinesi, beneventani, casertani e salernitani a prestare fede anche alle più bizzarre teorie con cui qualcuno ha voluto spiegare la diffusione del Covid-19. Stando al report stilato dall’osservatorio, infatti, quattro italiani su dieci credono alle teorie del complotto, come quella che vorrebbe che il Coronavirus sia stato creato in un laboratorio cinese. Il dato è leggermente più alto in Campania, dove il 42.4 per cento dei residenti afferma di cercare sul web ciò che i notiziari nasconderebbero più o meno deliberatamente. Portatori di questa opinione sono prevalentemente i maschi, pari a circa il 45 per cento contro il 37 delle donne, e le persone con un titolo di studio medio-basso, pari al 42 per cento contro il 32 di chi possiede un titolo di studio alto. A questi risultati fa da contraltare l’analisi degli atteggiamenti e dei comportamenti tenuti dagli internauti. Molti fruitori di internet e dei social network, infatti, si starebbero distinguendo per prudenza e saggezza. Addirittura il 94.2 per cento degli intervistati in Campania, infatti, afferma di prestare molta attenzione a ciò che scrive sul web, controllando il contenuto di immagini e testi prima di condividerli. E se in Italia soltanto il 12.5 per cento degli internauti condivide rapidamente immagini e testi scovati in rete, senza analizzali con particolare attenzione, in Campania questa quota non supera il 15.4 per cento degli intervistati. A conferma di quanto la pandemia stia suggerendo cautela a chi solitamente frequenta la rete, ci sono i dati su chi ritenga giusto dare sfogo alla violenza in modo virtuale oppure scatenare litigi sui social media: nel primo caso la percentuale in Campania supera appena i tre punti, a fronte di un dato nazionale fermo a 2.5; situazione praticamente identica con riferimento alla seconda ipotesi. “Si evidenziano senz’altro comportamenti responsabili – spiegano gli autori dello studio sui mutamenti sociali indotti dalla pandemia – Ciò induce a pensare che questo particolare momento della nostra vita possa anche spingere gli internauti a informarsi sul web con crescente attenzione verso l’attendibilità e l’autorevolezza delle fonti”. Insomma, la pandemia sta producendo qualche effetto positivo. Se non per chi ha perso il lavoro o ha visto ridurre i propri incassi, almeno per chi trascorre gran parte del tempo su internet e comunica costantemente attraverso i social network.
Fonte: Il Riformista
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