SALE A 150 IL NUMERO DEI CAMICI BIANCHI CADUTI
Noi, medici di famiglia prima linea contro l'epidemia
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Sono 51 i dottori di famiglia che hanno perso la vita a causa di Covid-19. Seguono gli ospedalieri (30). In Lombardia il numero più alto di decessi di camici bianchi. L’ultimo si chiamava Gianbattista Perego e faceva il medico di famiglia a Trevioli, provincia di Bergamo. Aveva 63 anni e si era ammalato nei primi giorni della pandemia. La lista dei morti tra coloro che stavano lavorando per contrastare il virus, o avevano passato la vita a curare e adesso erano pensionati a rischio, si allunga e raggiunge un altro numero simbolico. Le croci virtuali piantate nel sito della Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo) sono infatti 150. A questi decessi si aggiungono quelli di altri lavoratori della sanità morti a causa del Covid-19, cioè 34 infermieri, 18 operatori sociosanitari (oss) e 13 farmacisti. Medico di famiglia e lombardo, come il dottor Perego. E’ questo il profilo della vittima tipica del virus tra i camici bianchi. Analizzando i dati di Fnomceo si vede come chi lavora sul territorio sia stato maggiormente colpito. Sono 51 i dottori di famiglia che hanno perso la vita. Seguono i medici ospedalieri (30). Se invece si guarda alla regione di provenienza, quella più colpita dalla pandemia ha un’altissima prevalenza di decessi. Sono almeno 86 i camici bianchi morti in Lombardia. Seguono Emilia-Romagna (15), Campania e Piemonte (8), Marche (6) e Veneto (5). Fnomceo ha fatto la scelta di inserire nel suo elenco dei decessi anche i pensionati, alcuni dei quali non erano neanche più iscritti all’Ordine. Ce ne sono alcuni, una dozzina, che avevano deciso di rientrare a lavorare proprio per aiutare i colleghi a fronteggiare il coronavirus. Tra questi il medico di famiglia a riposto che voleva dare una mano, l’ex primario che lavorava in una struttura privata, lo specialista che teneva comunque aperto il suo ambulatorio. Altri, 29, però avevano smesso, qualcuno anche da molto tempo. Ci sono stati decessi di medici molto anziani, uno di loro aveva 104 anni, e magari ospiti delle Rsa dove il virus ha circolato tantissimo, contagiando e uccidendo migliaia di persone. Sempre riguardo alle categorie, sono 15 gli specialisti che lavoravano sul territorio, magari negli uffici di igiene oppure in ambulatorio, che hanno perso la vita. Infine ci sono 12 odontoiatri. La professione del dentista è particolarmente pericolosa perché gli strumenti usati per la cura provocano aerosol, e quindi i pazienti infetti diffondono moltissimo il virus. Il presidente del principale sindacato dei medici di famiglia Fimmg, Silvestro Scotti, spiega come mai la sua categoria è la più colpita. “Siamo la prima linea della prima linea, cioè del sistema sanitario. I sintomi di questa malattia del resto sono quelli tipici di problemi di solito vengono visti dai medici di famiglia: febbre, tosse, problemi respiratori. Ma soprattutto all’inizio siamo andati incontro al virus senza avere a disposizione mezzi, materiali ma anche informativi”. Scotti fa notare come la percentuale di medici di famiglia sul totale dei camici bianchi deceduti era più alta all’inizio. “Eravamo davvero soli. Io parlai con Marcello Natali, un collega che lavorava in provincia di Lodi ed è morto, e mi accorsi che aveva lo studio invaso dalle persone. Mi disse che alcuni suoi colleghi della zona di Lodi erano in quarantena e l’Ats aveva suggerito ai pazienti di rivolgersi ad altri professionisti. Si pensava a quel tempo che una volta fatta la zona rossa a Codogno, intorno non ci fossero pericoli. E invece figurarsi se un virus che è arrivato dalla Cina non riusciva a spostarsi in Lombardia. Gli dissi di cercare di regolare gli accessi al suo ambulatorio. Con il tempo si è capito che bisognava evitare le visite dei casi sospetti nei nostri studi, con il triage telefonico ad esempio siamo stati più protetti”.
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