Le proposte dei penalisti baresi per celebrare più udienze possibili
Dal primo luglio si torna alla normalità, la Camera penale detta le regole
Dalle palestre alla spiagge; dai campionati di calcio alle discoteche. Tutto o quasi è ripartito, naturalmente nel rispetto delle norme igienico-sanitarie per scongiurare la diffusione del virus, eppure un servizio essenziale come la Giustizia resta ancora con il freno a mano tirato. Nei giorni scorsi, il ministro Alfonso Bonafede, nel corso del question time al Senato, ha annunciato: «Grazie al mutamento del contesto sanitario è giunto il momento di un ritorno alla normalità per la giustizia», a partire dal 1° luglio 2020. E i penalisti baresi non si fanno trovare impreparati, giocando d’anticipo. Il presidente della Camera Penale di Bari Guglielmo Starace, infatti, ha scritto ai capi degli uffici giudiziari, mettendo sul tavolo alcune proposte che sostanzialmente si snodano su due assi: aumentare lo spettro dei processi che si possono celebrare e allargare le maglie degli accessi nelle cancellerie.
Nel mirino, «le forti limitazioni che caratterizzano l’attività giudiziaria in questo momento presso il Tribunale di Bari» e quello che appare ai penalisti baresi una incongruenza: «Con tutta l’attenzione possibile alla tutela della salute di Magistrati, Operatori e Avvocati, certo suona oggi dissonante la “severità” delle misure in altro momento storico adottate nei nostri Tribunali se poi, uscendo da quegli uffici, ci si trova al cospetto, ovunque, di una situazione totalmente differente, ossia di sostanziale normalità in tutti i contesti della convivenza sociale».
Capitolo udienze. Per i penalisti baresi, le condizioni attuali sulla diffusione del virus consentono di aumentare il numero dei processi che possono essere trattati, «utilizzando altresì le aule disponibili nel Palazzo di Giustizia di Piazza De Nicola». A titolo esemplificativo, i penalisti elencano le udienze di prima comparizione di processi con un numero massimo di quattro imputati liberi dinanzi al giudice monocratico; le udienze di trattazione dell’istruttoria dibattimentale con riferimento a processi che non richiedono un numero di testimoni elevato (magari fissando un numero massimo di due testimoni per ogni processo o di testimoni che potrebbero essere ascoltati in tutta la giornata); le opposizioni alla richiesta di archiviazione relative a procedimenti con un numero massimo di quattro indagati, le udienze di prima comparizione dinanzi al Giudice di Pace.
Capitolo accessi alle cancellerie. I penalisti chiedono una maggiore apertura. Troppa rigida, sostengono, la prenotazione che vincola l’accesso di un avvocato per un solo ufficio. «È dunque auspicio della Camera penale che si possa disporre l’eliminazione dell’accesso solo per appuntamento (e per l’udienza) e per una “normalizzazione” degli orari, mantenendo – per contro- un rigido controllo all’ingresso legato al numero di soggetti che possono essere presenti all’interno del Palazzo contemporaneamente». Anche il lavoro agile andrebbe rivisto: «lo smart working non può attagliarsi a qualsiasi attività legata alle attività amministrative, e non è dunque pensabile mantenere un’eccessiva limitazione alla presenza del personale negli uffici».
Anche se, bisogna fare i conti con i limiti della sede di via Dioguardi. «Purtroppo ci rendiamo conto che non è facile dal momento che la struttura è inadeguata». E poi occorre capire in concreto cosa ha in mente il Ministero, al di là degli annunci. «Grazie alla collaborazione con i capi degli uffici molto è stato fatto, ma se si riaprono le discoteche è ora che anche la Giustizia riprenda a tempo pieno». Del resto, di mezzo c’è l’interesse dei cittadini al corretto funzionamento della macchina Giustizia, nonché degli stessi avvocati i quali dal punto di vista economico sono molto preoccupati, specialmente i più giovani. «Stiamo attraversando una crisi molto profonda e peraltro non si intravede una soluzione immediata – conclude Starace -. Adesso si cominciano a sentire gli effetti della mancanza del lavoro degli ultimi tre mesi».
Fonte. La Gazzetta del Mezzogiorno
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