Anno: XXV - Numero 159    
Giovedì 5 Settembre 2024 ore 13:00
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AdEPP e Crui. Investire sul sostegno agli studi.

Affermiamo da anni che “non può esserci buona previdenza, se non c’è buon lavoro” e, partendo da quest’assunto, l’AdEPP ha acceso i riflettori sui mercati del lavoro sottostanti e sui fenomeni che investono la difficoltà nel reperire capitale umano qualificato e specializzato, in una realtà come quella del nostro Paese in cui si registra ancora un basso tasso di occupazione.

AdEPP e Crui. Investire sul sostegno agli studi.

Il tema della formazione iniziale e universitaria si rivela di particolare interesse per le Casse, in considerazione che i liberi professionisti per aderire ai propri Enti di previdenza devono necessariamente aver conseguito la laurea, sostenere l’esame di abilitazione alla professione e iscriversi agli ordini professionali.

Da qui l’importanza di un dialogo ancora più stretto e proficuo con gli Atenei, depositari di quella prima formazione che servirà al singolo professionista nell’affrontare il mondo del lavoro.

In questa ottica, l’AdEPP ha incontrato, nei giorni scorsi, la Prof.ssa Giovanna Iannantuoni, Presidente della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, condividendo le preoccupazioni che derivano dalle attuali tendenze nei percorsi formativi e nel mercato del lavoro e i possibili interventi da adottare per creare il miglior collegamento tra il mondo universitario e il mondo del lavoro professionale.

L’obiettivo è quello di avviare con la Crui una collaborazione per accrescere l’attrattività del titolo di studio terziario nonché dell’attività professionale aumentando gli investimenti già in corso su studentati e sugli aiuti per il sostegno agli studi.

Abbiamo condiviso, infatti, l’importanza di investire sui giovani per aumentare il tasso dei laureati anche attraverso sistemi di supporto allo studio, come borse di studio, studentati e successivamente con strumenti di supporto all’ingresso nel mondo del lavoro attraverso incentivi per lo start up degli studi, l’acquisto della strumentazione, aiuti per l’assicurazione professionale, prestiti e mutui.

Quel sostegno che potrebbe avere un effetto positivo anche sulla tendenza dei neo laureati ad abbandonare l’Italia colpevole di non garantirgli le stesse retribuzioni ed opportunità che trovano invece in un paese straniero.

Ci troviamo di fronte ad una popolazione giovane che parte e non ritorna, spinta da un tasso di occupazione dei giovani in Italia tra i 15 e i 29 anni pari, nel 2022 al 29,8% e quindi molto lontano dai livelli degli altri paesi europei (46,1% nel 2022 per l’UE-27) e con un divario, rispetto agli adulti di 45-54 anni, di 43 punti percentuali.

Problema che va ad aggiungersi alla contrazione in corso nel mercato del lavoro italiano sul lato dell’offerta, caratterizzata da una restrizione demografica che comincia a dare i suoi segni in termini di minori giovani (quantitativa) e da un basso livello di laureati pari al 27,5%, tra i più bassi d’Europa. E con un numero ancora più ristretto di laureati in materie Stem.

Una restrizione quantitativa e qualitativa che comincia a creare problemi allo sviluppo del Paese, soprattutto nell’affrontare le due grandi transizioni, quella green e quella digitale.  Per questo si parla oggi di tripla transizione: demografica, green e digitale.

Cambiamenti, transizioni, welfare. Dall’Italia all’Europa.

I forti cambiamenti del mercato del lavoro, che risente fortemente dei processi dettati dalle trasformazioni intervenute nell’economia e in campo tecnologico e digitale; e i mutamenti demografici che restringono la forza lavoro e in particolare l’offerta di lavoro, l’invecchiamento della popolazione mettendo in crisi, in particolare, i sistemi pensionistici a ripartizione (pay as you go); sono temi che avranno un impatto importante su tutto il welfare tradizionale e che non può non essere oggetto di riflessione anche in ambito europeo.

Infatti, durante una riunione nell’European Social Insurance Platform, la piattaforma strategica per la cooperazione tra i sistemi nazionali di assicurazione sociale al quale l’AdEPP partecipa, l’Associazione ha voluto sottolineare la potenziale gravità dell’impatto di tutto questo sui sistemi di welfare pubblici.

Siamo di fronte a studi e previsioni sul futuro demografico in Italia che evidenziano elementi di criticità noti: come la dinamica della popolazione risulta in calo rispetto al dato del 2024 lungo tutto l’orizzonte di previsione (fino al 2070), all’interno di un intervallo di confidenza del 90 per cento. Nello scenario mediano, la popolazione residente si riduce dai circa 59 mln al 1° gennaio 2024 a 54,5 nel 2050 e 48,1 nel 2070.

Con un tasso di fecondità che rimane attorno a 1,2 le nascite scenderebbero sotto le 300 mila nel 2050, con un declino senza soluzione di continuità anche nella seconda metà del secolo.

Il Ministero dell’economia e delle finanze ci dice che per quanto riguarda le ipotesi sul flusso netto di immigrati, l’andamento previsto è leggermente decrescente, passando da un valore di 226 mila unità nel 2024 a 165 mila nel 2070. Mediamente, tra il 2024 e il 2070, il flusso netto di immigrati si attesta intorno alle 168 mila unità all’anno. Al contempo cresce il numero degli italiani che migrano all’Estero, composto in percentuale elevata da persone high skilled con titolo di laurea.

I laureati. Tempi di inserimento nel mondo del lavoro e la loro “collocazione”

Il sistema produttivo italiano dovrebbe usarli tutti subito invece il loro tasso di occupazione, a tre anni dal conseguimento del titolo, non supera il 72% contro 85% della media europea; solo la Grecia ha un tasso più basso, mentre Francia e Spagna superano l’80%, e la Germania tocca il 93% (Eurostat 2023).

Dove lavorano i neolaureati italiani? Secondo i dati Almalaurea (2023) la destinazione prevalente è l’insegnamento. Quasi un neolaureato su quattro è occupato nel settore dell’istruzione (23%), e questa quota non cambia neppure per i laureati delle discipline di area Stem (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica).

Al secondo posto si posizionano le attività di consulenza (14%), e al terzo posto si classifica il settore sanitario (12%); segue poi la dispersione in tutti gli altri settori, nessuno dei quali aggrega una quota di occupati a due cifre.

Cosa cambia rispetto agli altri Paesi? La differenza più marcata tra l’Italia e la media europea si riscontra in due settori: nel settore dell’istruzione, che nel nostro Paese assorbe il 24% dei laureati contro il 17% + Europa, e il settore sanitario, che in Italia occupa il 19% dei laureati contro il 13% della media europea.

 

Dato il quadro appena descritto si è d’accordo come occorra evitare sprechi di capitale umano (come gli inattivi, il lavoro povero, i divari nord sud), allargare la forza lavoro aumentando il tasso di occupazione e aumentare gli anni di buon lavoro, quelli pagati adeguatamente. “Work more, work longer” diceva il sottotitolo di un rapporto OCSE sulle pensioni del 2012 e oggi aggiungeremmo in “well paid jobs”.

Se il tasso di occupazione sale al 62,3% e quello di disoccupazione scende al 6,9%, il tasso di inattività è stabile al 33,0% (Istat, maggio 2024): un numero insostenibile con i dati demografici prima illustrati.

Con le gobbe demografiche che avremo e che porteranno ad un aumento della spesa pensionistica sarà importante aumentare il tasso di occupazione dall’attuale 62 al 75 per cento per attenuare l’impatto sui bilanci pubblici.

Tutto ciò non riguarderà solo le Casse, che per prime hanno lanciato l’allarme, ma tutto il sistema pensionistico e i fondamentali del nostro Paese.

Di Francesco Verbaro (Senior Advisor AdEPP)

 

 

 

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