I professionisti italiani tra i rischi biometrici e l’obsolescenza delle competenze e delle conoscenze.
Il 27 marzo AdEPP ha partecipato al workshop “Pension systems sustainability and adequacy in an ageing society” organizzato a Bruxelles nell’ambito dei lavori del comitato permanente Pensioni di ESIP, la Piattaforma europea delle istituzioni di sicurezza sociale, cui AdEPP aderisce.
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Nei due panel del workshop sono stati affrontati, da un lato, gli aspetti connessi alla sicurezza dei sistemi pensionistici in Europa (secondo lo slogan “sistemi pensionistici a prova di futuro”) e, dall’altro lato, le scelte operate dai governi dei paesi europei al fine di garantire una vita dignitosa nella terza età.
Sono state presentate le riflessioni in atto in vari paesi su possibili riforme o adeguamenti dei sistemi pensionistici (Austria, Polonia, Portogallo). In particolare, la Polonia ha illustrato la strategia con la quale si intendono affrontare alcune delle criticità del mercato del lavoro locale, determinate dalla particolare condizione del paese che ha assistito nel corso degli ultimi decenni a consistenti flussi migratori in uscita e nell’ultimo decennio a flussi migratori in entrata dai paesi confinanti non-UE, nonché da ultimo la recente ondata migratoria determinata dalla guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina.
La riduzione delle forze di lavoro registrata dagli anni ‘90 a causa della forte migrazione nei paesi dell’Europa occidentale (edilizia e cura domestica) ha comportato un impoverimento delle entrate fiscali e previdenziali, e una quasi totale femminilizzazione dei benefit sociali.
Nella fase attuale, il paese intende rendere maggiormente sostenibile il sistema previdenziale, che dalla riforma del 2009 ha introdotto la contribuzione definita per le pensioni di vecchiaia.
Questo sistema offre prestazioni meno generose che in passato, con un aumento prevedibile del rischio di povertà. A questo si deve aggiungere la diminuzione dei tassi di sostituzione, l’abbassamento dell’età pensionabile per donne e uomini (rispettivamente a 60 e 65 anni), la bassa occupazione delle persone tra i 55 e 64 anni e l’aumento del numero di pensionati che lavorano. I nuovi piani pensionistici professionali volontari (PPK), che prevedono l’iscrizione automatica, sono stati introdotti con l’obiettivo di migliorare l’adeguatezza futura, ma per ora i risultati sono inferiori alle aspettative.
Paulina Jarmuż-Zawadzka (ZUS) nel suo intervento ha sottolineato l’importanza di aumentare l’adeguatezza delle pensioni future promuovendo una vita lavorativa più lunga, anche oltre l’età pensionabile, e al contempo di accrescere la quota di risparmio nei piani professionali e volontari. Il governo, inoltre, starebbe progettando a un ritorno a un’età pensionabile più elevata.
Verena Zwinger, dell’Istituto di sicurezza sociale austriaco (PV), ha sottolineato la solidità del regime pensionistico statutario del paese, che offre prestazioni piuttosto generose rispetto ad altri paesi europei. Le riforme del 2016 e del 2019 intervenute sul livello minimo delle prestazioni hanno affrontato il problema delle disparità nelle pensioni pubbliche.
Tuttavia, secondo quanto segnalato dai rapporti dell’OCSE e della Commissione europea, il sistema pensionistico austriaco presenta ancora sfide complesse in merito alle disuguaglianze di reddito sostanziale, poiché le persone con carriere discontinue e bassi redditi da lavoro hanno maggiori probabilità di percepire pensioni basse.
La relatrice ha evidenziato che il governo non prevede di introdurre modifiche nel prossimo futuro, nonostante sia stata più volte sollecitata in tal senso dalle istituzioni europee per una riprogettazione del sistema pensionistico obbligatorio, al fine di aumentare la sostenibilità finanziaria futura e l’inclusività sociale.
Anche il Portogallo, come evidenziato da Susana Rosa direttrice del centro nazionale pensioni dell’Istituto di sicurezza sociale nazionale, si trova di fronte al dilemma di garantire una maggiore sostenibilità e al contempo di aumentare i livelli delle prestazioni. Infatti, il sistema pensionistico portoghese pur offrendo un’ampia copertura, eroga prestazioni basse che non garantiscono un’adeguata protezione contro la povertà e l’esclusione sociale a tutti gli anziani.
Nel 2019, il tasso di rischio di povertà per la fascia di età superiore ai 65 anni era del 17,3% (15,1% per gli uomini e 18,9% per le donne), superiore alla media UE del 16,1% (13,4% per gli uomini e 18,2% per le donne), anche se ridotto di 5 p.p. in dieci anni. Con la riforma del 2007 è stato introdotto un fattore di sostenibilità e l’età pensionabile è aumentata in linea con l’aspettativa di vita da 65 anni a 66 anni e 6 mesi.
Il governo sta cercando di introdurre una strategia nazionale per il prolungamento della vita attiva e per le transizioni lavorative in un mercato del lavoro fortemente segmentato. Uno degli obiettivi del Governo è, inoltre, di favorire l’aumento dei livelli salariali, affinché ciascuno possa aderire anche ai regimi pensionistici integrativi.
Nel concludere la prima tavola rotonda il direttore di ESIP, Yannis Natsis, ha sottolineato come dal dibattito si sia colta la complessità della pianificazione dei regimi pensionistici, sia per la natura delle misure da attuare (che richiedono tempi medio-lunghi) sia per le potenziali crisi che possono intervenire sui medesimi sistemi.
L’allungamento dell’aspettativa di vita, nonché della vita post pensionamento, aggiunge un ulteriore elemento di complessità alla pianificazione pensionistica, così come le carriere atipiche e i nuovi lavori in un mercato del lavoro in rapida evoluzione. Come rilevato negli interventi del panel, tutti questi fattori incidono in particolare sui sistemi pensionistici contributivi e si rendono necessarie politiche di promozione dell’invecchiamento attivo e per l’attrazione di nuova forza lavoro adeguatamente professionalizzata nei paesi dell’UE.
Nella seconda tavola rotonda gli esperti si sono confrontati sul tema della vita dignitosa nell’età avanzata e hanno messo in luce il dilemma dei decisori politici che devono garantire parità ed equità dei regimi pensionistici per una buona qualità di vita degli anziani pensionati.
L’invecchiamento della popolazione europea presenta una serie di sfide interconnesse. Oltre a politiche pensionistiche sostenibili, i governi sono chiamati a prendere in considerazione anche politiche per l’assistenza a lungo termine.
Yves Stevens, dell’Università di Lovanio, ritiene che il dilemma non sia unicamente tra parità ed equità. Venti anni fa la discussione verteva su come integrare parità ed equità; oggi il dilemma è come combinare lavoro e pensionamento. Eppure, questi due “dilemmi” quasi si integrano. Infatti, si chiede Stevens, è possibile definire equo un sistema che combina età del pensionamento e lavoro, senza l’intervento della formazione continua?
Lavorare più a lungo è possibile, ma solo con equità. La soluzione del dilemma, per molti paesi europei, non è da cercare nel sistema pensionistico in sé, ma nel sistema fiscale (che finanzia a sua volta il welfare).
Ancora, ha concluso Stevens, dieci anni fa c’era il timore dell’implosione del primo pilastro e si è sostenuto lo scivolamento generale verso il secondo pilastro (quindi un processo di individualizzazione del risparmio pensionistico).
Poi abbiamo visto una corsa verso l’aumento dell’età legale di pensionamento, che secondo Stevens, non ha portato a una maggiore sostenibilità dei sistemi pensionistici, ma ha avuto ripercussioni sui sistemi fiscali. Tutte le soluzioni proposte a livello dei paesi dell’UE vanno a incidere sulla pensione delle generazioni future. Pertanto, è necessario fare in modo che gli attuali pensionati contribuiscano alla sostenibilità delle pensioni del futuro.
Secondo Riekhoff, del Centro finlandese per le pensioni (ETK), se è necessario allungare la vita lavorativa o spostare in avanti l’età pensionabile, bisogna anche considerare i rischi connessi al lavoro in età avanzata. Devono essere introdotte politiche educative e formative per il lavoro da anziani e politiche per conciliare vita lavorativa e vita personale, nonché politiche per la sicurezza su lavoro.
Lo slogan del vivere più a lungo, lavorare più a lungo, può funzionare solo se si mantengono le migliori condizioni fisiche e mentali. Questo vale sia per il lavoro dipendente che per quello autonomo (e professionale).
Una delle riforme introdotte recentemente in Finlandia riguarda, proprio, il sistema pensionistico del lavoro autonomo. Tale sistema prevede le pensioni di anzianità, disabilità, reversibilità, e di vecchiaia anticipata (parziale).
L’aliquota contributiva per i lavoratori autonomi nel 2023 è pari al 24,1% (come per i lavoratori dipendenti). La stima del contributo medio versato nel 2023 è pari al 23,0% (lo sconto per coloro che iniziano l’attività di lavoro autonomo riduce l’aliquota contributiva media), con un intervento dello Stato a sostegno della quota non versata.
Per ridurre l’intervento dello Stato si è deciso di riformare la base pensionistica dei lavoratori autonomi: introducendo la autodichiarazione della base pensionistica da parte del lavoratore autonomo.
Tale autodichiarazione si basa sul fatturato annuo rispetto al fatturato mediano del settore al 1° gennaio dell’anno precedente (tuttavia la base retributiva proposta dal lavoratore autonomo spesso non risulta molto credibile rispetto ai guadagni reali). Infine, in Finlandia si osserva il fenomeno dei c.d. “light entrepreneurs”, lavoratori autonomi che “dipendono” da società di servizi di fatturazione, lavoratori autonomi puri o lavoratori autonomi senza dipendenti.
Nel 2022 i light entrepreneurs erano 70.000, in forte aumento nell’ultimo decennio, in particolare migranti, con redditi stabili, ma non elevati (circa 9000 euro/l’anno, la soglia al di sotto della quale non c’è obbligo di contribuzione). Ne consegue che il risultato atteso, in termini di aumento dei contributi pagati, non sia stato conseguito.
I relatori si sono quindi confrontati sul trattamento pensionistico per i lavoratori autonomi, tenuto conto dell’elevato tasso di informalità che caratterizza il loro lavoro. Secondo, Maciej LIS dell’OCSE, è necessario continuare a studiare il lavoro autonomo come avviene nel rapporto “Pensions at a Glance”: come lavorano, quali e quanti contributi pagano, le varie tipologie di lavoro da essi svolte.
Pochi paesi includono i lavoratori autonomi nella protezione sociale universale. In alcuni paesi, invece, essi sono inclusi e pagano gli stessi contributi dei lavoratori dipendenti. Il sistema forfettario appare la soluzione più semplice da adottare, mentre in alcuni casi, come la Finlandia, si seguono i redditi dei lavoratori autonomi per poi calcolare i contributi da versare.
Eppure, anche in questo caso non si è verificato l’atteso aumento dei contributi versati. In alcuni casi, come in Romania e Francia, per far emergere l’economia informale sono stati introdotti dei voucher (premianti) utilizzati anche per i lavoratori autonomi delle piattaforme digitali. Se si considera che l’economia informale e grigia, in alcuni Paesi rappresenta una fetta tra il 20 e il 30 per cento del totale, si comprende come il sommerso incida direttamente sulla sostenibilità dei sistemi pensionistici (e fiscali).
Nel suo intervento, Francesco Verbaro (Senior Adviser di AdEPP) ha evidenziato come la distinzione tra lavoratori dipendenti e autonomi non sia più così chiara come nel passato. Ha ricordato che in Italia, la quota dei lavoratori autonomi rappresenti circa il 20 per cento del totale degli occupati (5 milioni su 23 milioni). Di questi, i liberi professionisti sono 1 milione e 700 mila.
Egli ha confermato che anche in Italia i lavoratori autonomi e liberi professionisti lavorano oltre il pensionamento. A fronte di vite lavorative più lunghe, è però necessario riflettere su come riunire i contributi versati e sulla portabilità nelle varie fasi nella vita. I professionisti italiani rimangono sul lavoro anche da pensionati, e questo può avere un effetto positivo sui singoli e sulla società, ma molto meno sulla sostenibilità dei sistemi previdenziali delle professioni.
Infatti, l’andamento calante dei nuovi iscritti alle casse di previdenza, determinato in particolare dal forte calo demografico registrato nel Paese, evidenzia un rischio di sostenibilità delle Casse ma, anche, un rischio di riduzione delle loro platee di riferimento (se la popolazione continuerà a diminuire con questo ritmo in Italia, diminuirà anche la quota di laureati che sono poi i potenziali iscritti delle Casse, come professionisti iscritti agli ordini).
Ha quindi ricordato i fattori di rischio e gli impatti sui redditi dei professionisti, che possono andare a colpire la previdenza del settore.
In primo luogo, i rischi biometrici e l’obsolescenza delle competenze e conoscenze, quindi la competitività dei mercati aperti (es. la consulenza online, la concorrenza nel Mercato unico, ecc.), cui si aggiungono i rischi connessi agli eccessi di burocrazia e di requisiti amministrativi (es. la ricevuta elettronica). La transizione digitale e l’intelligenza artificiale possono costituire seri ostacoli per i professionisti, in particolare tra gli over 50. Incidono su redditi e pensioni anche il gap di genere e generazionale che si registrano tra i liberi professionisti.
Infine, i rischi derivanti dall’emigrazione di professionisti italiani verso altri paesi dell’UE e la loro mancata sostituzione con flussi di immigrazione ad alta professionalità.
Verbaro ha poi spiegato come, per garantire la continuità reddituale (e contributiva) dei propri iscritti e quindi la sostenibilità del sistema pensionistico delle professioni in Italia, le Casse hanno introdotto tutta una serie di interventi di c.d. “welfare attivo”: dal sostegno all’acquisto e affitto dello studio professionale, al riconoscimento di voucher per la formazione e aggiornamento, dal sostegno alla maternità e paternità, all’introduzione di sistemi tecnologici e app digitali per la comunicazione ai rispettivi iscritti su benefit, contributi, formazione. Fino all’acquisto di macchinari digitali per lo svolgimento della professione (medico, veterinario, commercialista, dentista, biologo, ecc.).
Nell’ultimo giro di tavolo è stato affrontato il tema della sostenibilità finanziaria dei sistemi pensionistici, e OCSE ha ricordato come la stabilità finanziaria rappresenti un “must” per chi osserva i bilanci pubblici (ad es. la Commissione europea).
Il finanziamento dei sistemi pensionistici varia da paese a paese ma una variabile è costante: la sostenibilità dei sistemi pensionistici. A tal fine, alcuni elementi sono cambiati, per esempio, in Polonia si è proposto di individualizzare contributi e benefit per far rimanere più a lungo al lavoro le persone (post pensionamento). L’aumento dell’età pensionistica, introdotto in alcuni paesi, incontra molte resistenze in diversi paesi, tra i quali Polonia e Francia, ed in altri paesi è stato accompagnato da bonus per rimanere al lavoro.
Secondo OCSE, a fronte dell’invecchiamento della popolazione, la spesa pensionistica aumenterà di circa il 7 percento nei prossimi anni: alcuni paesi già nella crisi economica del 2010 hanno introdotto riforme drastiche per salvare il sistema; altri hanno introdotto dei meccanismi di aggiustamento automatico guardando al lungo periodo (non solo demografia, ma anche popolazione che lavora, andamenti macroeconomici, ecc.)
Nel concludere il workshop, il direttore di ESIP ha sottolineato come le limitate risorse finanziarie e i bisogni crescenti spingano i paesi a trovare un equilibrio per garantire ai lavoratori anziani di andare in pensione e, al contempo, di offrire loro i necessari servizi di assistenza a lungo termine di alta qualità. Ma anche come sia necessario prendere in considerazione anche i possibili effetti economici di queste politiche, poiché sistemi pensionistici e di assistenza a lungo termine stabili sono fondamentali per la stabilità generale e la prosperità della società.
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