Il sistema delle casse traballa
Il Presidente dell’Enpam in questi giorni ha diffuso un comunicato piuttosto allarmante.
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«La Fondazione Enpam (Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Medici e degli Odontoiatri) non potrà garantire il pagamento delle pensioni ai medici di famiglia e ai pediatri di libera scelta se da convenzionati dovessero diventare dipendenti.
“Ogni tanto qualcuno parla di dipendenza per i medici di medicina generale, senza però avere chiaro che la previdenza dell’intera categoria di medici e odontoiatri collasserebbe”, ha affermato il Presidente dell’Enpam Alberto Oliveti, che ha proseguito: “In passato abbiamo già quantificato in 84 miliardi di euro il costo prospettico per le casse dell’Enpam se la contribuzione dei medici di famiglia e dei pediatri di libera scelta venisse attratta all’Inps in quanto dipendenti, e lo scenario peggiore addirittura si avrebbe facendo diventare subordinati solo i nuovi medici. Viceversa, se, come previsto, l’attività dei medici di medicina generale rimarrà nell’alveo del lavoro autonomo, l’Enpam potrà mantenere per tutti la sostenibilità di lungo periodo. Dal punto di vista previdenziale non ci sarebbe alcun problema anche se dovesse cambiare il mix di reddito dei medici del ruolo unico, oggi prevalentemente a quota capitaria, ma che in futuro potrebbe avere una componente crescente di quota oraria. L’importante è che resti adeguato il flusso dei contributi derivante dal monte compensi per il lavoro in convenzione”, ha concluso Oliveti». (Fonte: Enpam)
L’allarme lanciato dal Presidente dell’Enpam evidentemente è conseguente a delle iniziative sulle quali la politica sta ragionando.
Si tratta allora di qualificare, giuridicamente, la situazione, con una premessa di carattere generale.
La Fondazione Enpam è caratterizzata da tutta una serie di regolamenti, visibili sul sito, che rendono la lettura d’insieme piuttosto complicata.
Accanto al regolamento Fondo di previdenza generale, approvato il 03.04.2024, vi è il regolamento Fondo della medicina convenzionata e accreditata, approvato il successivo 09.04.2024.
Cominciamo dai Dirigenti medici.
«Sin dall’istituzione del SSN, con la legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), si era, infatti, previsto, per il dirigente medico che avesse optato per il regime del tempo pieno, il diritto all’esercizio dell’attività libero-professionale, tuttavia solo nell’ambito dei servizi e delle strutture dell’unità sanitaria locale (art. 47, terzo comma, numero 4, come attuato dall’art. 35, comma 2, lettera d) del decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre 1979, n.761, recante «Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali»), proprio sull’assunto che tale possibilità accrescesse l’esperienza e la competenza del medico nell’interesse degli utenti e della collettività. Con l’introduzione dell’art. 4, comma 7, della legge n. 412 del 1991, è stato affermato il principio di unicità del rapporto di lavoro dei dirigenti medici con il SSN, ma se ne è riconosciuta la compatibilità con l’attività libero-professionale «purché espletata] fuori dall’orario di lavoro all’interno delle strutture sanitarie o all’esterno delle stesse, con esclusione di strutture private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale». I successivi interventi del legislatore, dalla riforma di cui al d.lgs. n. 502 del 1992, alle previsioni introdotte dall’art. 72, comma 11, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), hanno confermato il principio di esclusività del rapporto di lavoro con il SSN e l’incompatibilità fra attività libero-professionale extramuraria e intramuraria, insieme al riconoscimento e all’incentivo di quest’ultima, sia nell’interesse del medico, abilitato a svolgere, a certe condizioni, la libera professione, sia per consentire al paziente la scelta del medico di fiducia. È, infatti, proprio al fine di rendere possibile l’esercizio dell’attività libero-professionale dei medici, con un rapporto di lavoro esclusivo con il SSN, che è stata introdotta, in via transitoria, in considerazione della carenza degli spazi disponibili, la possibilità di un’ALPI “allargata”, e si è consentito al direttore generale, «fino alla realizzazione di proprie idonee strutture e spazi distinti per l’esercizio dell’attività libero professionale intramuraria in regime di ricovero ed ambulatoriale», di «assumere le specifiche iniziative per reperire fuori dall’azienda spazi sostitutivi», includendovi anche gli studi professionali privati, ma con l’espressa esclusione delle strutture sanitarie private accreditate, che l’art. 1, comma 5, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) ha equiparato alle strutture sanitarie private convenzionate. Con l’ulteriore riforma di cui al decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229 (Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell’articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419), il legislatore ha, poi, introdotto nuove disposizioni nel d.lgs. n. 502 del 1992 (in specie, all’art. 15-quinquies) che hanno definito le uniche modalità di esercizio dell’attività professionale compatibili con il rapporto di lavoro esclusivo con il SSN. Queste ultime sono state individuate, non solo al fine della «salvaguardia delle esigenze del servizio e della prevalenza dei volumi orari di attività necessari per i compiti istituzionali», nonché del rispetto dei «piani di attività previsti dalla programmazione regionale e aziendale» (comma 3) ai fini istituzionali e nell’assicurazione dei relativi volumi prestazionali, ma anche ribadendo la necessità dello svolgimento dell’Alpi solo all’interno delle strutture aziendali o, previa convenzione, in strutture di altra azienda del SSN o di altre strutture sanitarie purché non accreditate. Successivamente, il legislatore statale è intervenuto a prorogare l’autorizzazione all’utilizzazione degli studi professionali privati, «in caso di carenza di strutture e spazi idonei alle necessità connesse allo svolgimento delle attività libero-professionali in regime ambulatoriale, limitatamente alle medesime attività» (art. 15-quinquies, comma 10, del d.lgs. n. 502 del 1992, come sostituito dall’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 254 del 2000), sempre, tuttavia, nel rispetto delle richiamate regole, comprensive dell’esclusione dello svolgimento dell’ALPI nelle strutture private accreditate. Il termine è stato ulteriormente rinviato, dapprima fino al 31 luglio 2005, per effetto dell’art. 1, comma 1, del decreto-legge 23 aprile 2003, n. 89 (Proroga dei termini relativi all’attività professionale dei medici e finanziamento di particolari terapie oncologiche ed ematiche, nonché delle transazioni con soggetti danneggiati da emoderivati infetti), convertito, con modificazioni, nella legge 20 giugno 2003, n. 141, poi, fino al 31 luglio 2006, con l’art. 1-quinquies del decreto-legge 27 maggio 2005, n. 87 (Disposizioni urgenti per il prezzo dei farmaci non rimborsabili dal Servizio sanitario nazionale, nonché in materia di confezioni di prodotti farmaceutici e di attività libero-professionale intramuraria), convertito, con modificazioni, nella legge 26 luglio 2005, n. 149. Infine, è stato collegato alla data del «completamento da parte dell’azienda sanitaria di appartenenza degli interventi strutturali necessari ad assicurare l’esercizio dell’attività libero-professionale intramuraria e comunque entro il 31 luglio 2007» (art. 22-bis, comma 2, del d.l. n. 223 del 2006, come convertito)». (Fonte: Corte costituzionale 153/2024).
Doppia contribuzione in ENPAM e in INPS.
Il medico dipendente può fare richiesta di due pensioni distinte, all’ENPAM e all’INPS. In alternativa, se presenti i requisiti, potrà sommare, senza alcun trasferimento, i contributi versati in ciascuna gestione, attraverso il cumulo contributivo gratuito.
Per contro il rapporto di lavoro del medico convenzionato, di famiglia e pediatri in libera scelta , è stato definito para – subordinato già con la sentenza n. 2131 del 02.03.1987 della Cassazione a Sezioni Unite.
In Italia-rileva l’Istat- il numero dei medici di medicina generale (MMG), pari a 40.250 nel 2021, si è ridotto negli ultimi 10 anni di 5187 unità, sono anziani e aumentano le dimissioni volontarie nel pubblico.
Si tratta quindi di un rapporto di lavoro che oscilla tra il lavoro autonomo e il lavoro subordinato in quanto risulta soggetto a istituti propri del lavoro subordinato, gravanti impropriamente sul medico, quali il potere disciplinare dell’ASL, il potere direttivo dell’ASL e tutta una serie di modalità di lavoro normate non già dalla contrattazione collettiva ma da circolari aziendali e regionali. Il medico convenzionato non ha ferie se non si paga il sostituto, tredicesima, liquidazione, ecc.
La cosa singolare è che un rapporto di natura parasubordinata sia assoggettato ad una doppia contribuzione, una quota da parte del medico convenzionato e una quota da parte del SSN, che è tipica del rapporto subordinato.
Il problema è tutto qui e quindi io capisco le ragioni sia di una parte, ENPAM e della sua organizzazione, che dei medici convenzionati ai quali, a mio giudizio, pur perdendo i benefici assistenziali offerti loro da ENPAM, converrebbe il rapporto di dipendenza.
Mi pare indispensabile un intervento del Legislatore pur ricordando che Cassazione, Sez. Lavoro, sentenza n. 6294/2020 “ha affermato che i rapporti disciplinati dall’art. 48 della legge n. 833 del 1978 e dagli accordi collettivi nazionali stipulati in attuazione di tale norma, pur se costituiti in vista dello scopo di soddisfare le finalità istituzionali del servizio sanitario nazionale, corrispondono a rapporti libero-professionali che si svolgono di norma su un piano di parità, non esercitando l’ente pubblico nei confronti del medico convenzionato alcun potere autoritativo, all’infuori di quello di sorveglianza, né potendo incidere unilateralmente, limitandole o degradandole ad interessi legittimi, sulle posizioni di diritto soggettivo nascenti, per il professionista, dal rapporto di lavoro autonomo”.
E che il Consiglio di Stato – Sez. II – con la sentenza n. 3536/2023 ha chiosato che: “I rapporti parasubordinati sono da ricondurre nell’ambito di quelli libero-professionali, proprio in ragione della mancanza nell’ente pubblico di potere autoritativo nei confronti del medico in convenzione, all’infuori di quello di vigilanza. Il medico convenzionato pertanto è un libero professionista il quale svolge un incarico di pubblico servizio, cui non risultano applicabili quegli istituti e quelle norme che la legge riconduce ai rapporti di lavoro di tipo pubblicistico. VA ricordato, infine, che la Corte Costituzionale,con motivazione peraltro molto criptica, nel 1988 con ordinanza 707 del 28.giugno ha dichiarato infondate le questioni di costituzionalità circa l’obbligatorietà per tutti i medici della iscrizione in Enpam , ma anche che la legge delega del 24 dicembre 1993, n. 537 aveva tra i suoi compiti proprio l’eliminazione della duplicazione dei trattamenti pensionistici.
In questa situazione mi pare auspicabile il riordino da parte del Legislatore.
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