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L'annullamento della posizione previdenziale di un avvocato non dà diritto alla restituzione dei contributi integrativi versati

L’accertamento di una situazione di incompatibilità con l’iscrizione all’Albo degli avvocati, comporta infatti l’inesistenza di un legittimo rapporto previdenziale con Cassa Forense,Avv. Marco Pizzutelli – Delegato di Cassa Forense

L'annullamento della posizione previdenziale di un avvocato non dà diritto alla restituzione dei contributi integrativi versati

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 24141 del 30 ottobre 2020 torna a pronunciarsi sulla questione se vi sia diritto dell’avvocato – nell’ipotesi in cui venga accertato l’esercizio della professione in regime di incompatibilità con conseguente cancellazione retroattiva da Cassa Forense –  alla restituzione dei contributi integrativi versati, risolvendola in senso negativo, in conformità a quanto già statuito con le sentenze  n. 30571 del 2019 e n. 10458  del 1998.

L’accertamento di una situazione di incompatibilità con l’iscrizione all’Albo degli avvocati, comporta infatti l’inesistenza di un legittimo rapporto previdenziale con Cassa Forense, con il conseguente venir meno dei diritti e degli obblighi del professionista nei confronti di quest’ultima, a prescindere dal fatto che tale incompatibilità sia o meno stata accertata e perseguita sul piano disciplinare dall’Organo competente.

All’avvocato la cui posizione previdenziale sia stata retroattivamente annullata spetta tuttavia la restituzione ex art. 2033 c.c.  dei soli contributi soggettivi versati, ma non anche dei contributi integrativi, a causa della struttura e della funzione di essi.

L’art. 11 legge n. 576/1980 disciplina il contributo integrativo come maggiorazione percentuale (pari attualmente al 4%) da applicarsi su tutti i corrispettivi rientranti nel volume annuale d’affari ai fini dell’IVA e ripetibile nei confronti del cliente.

L’obbligo del versamento del contributo integrativo è dunque strettamente inerente alla prestazione professionale resa in virtù dell’iscrizione all’Albo professionale degli avvocati, tanto che il professionista può ripeterlo nei confronti del cliente.

L’attività professionale di avvocato svolta in una delle situazioni di incompatibilità di cui al R.D.L. n. 1578/1933, preclude sia l’iscrizione alla Cassa Forense, sia di considerare utile a fini previdenziali l’attività stessa, ma quest’ultima è da ritenersi come legittimamente esercitata in virtù dell’iscrizione all’Albo.

Ne consegue che il contributo integrativo, appunto poiché inerente alla prestazione professionale di avvocato comunque resa, viene legittimamente riscosso da Cassa Forense.

Inoltre l’irripetibilità deriva dalla finalità specifica dei contributi integrativi, esclusivamente diretti al finanziamento della previdenza ed assistenza di categoria ed espressione di un dovere di solidarietà nell’ambito della categoria professionale.

La restituzione di un contributo pagato al solo fine di solidarietà  ne snaturerebbe il contenuto e, impedendo l’attuazione del principio solidaristico costituzionalmente garantito (art. 2 Cost.), sarebbe anche contraria ai principi costituzionali, poiché  il fine solidaristico che caratterizza la previdenza forense non viene meno per effetto della cancellazione del singolo iscritto.

 

 

 

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