Perché le casse di previdenza si oppongono al codice degli appalti
Il codice degli appalti andrebbe a imbrigliare un comparto che oggi si muove con rapidità sui mercati finanziari.
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Come abbiamo visto nel mio precedente approfondimento, il Consiglio di Stato, Sezione consultiva per gli atti normativi, nell’adunanza di sezione del 28.01.2025, ha sospeso l’emissione del parere richiesto dal Ministero dell’economia e delle finanze sul decreto investimenti per le Casse di previdenza dei professionisti perché, tra gli altri motivi, non richiama la disciplina del codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 36 del 2023, che ha sostituito integralmente il d.lgs. n. 50 del 2016.
Sia l’Anac che il Consiglio di Stato avevano già ritenuto necessario il richiamo alla disciplina del codice dei contratti pubblici.
La volontà delle Casse è quella di non rendere rigida una modalità di approccio alla questione che non può essere lenta, proprio in virtù del fatto che questo tipo di mercato finanziario ha bisogno di rapidità nelle decisioni.
Il codice degli appalti andrebbe, invece, a imbrigliare un comparto che oggi si muove con rapidità sui mercati finanziari.
Il problema è che le Casse di previdenza gestiscono enormi patrimoni, sia mobiliari che immobiliari, e questo denaro non è denaro qualsiasi perché proviene dai contributi obbligatori degli iscritti con una mission specifica che è quella di generare pensioni e garantirle per il futuro.
L’immissione di questi denari sui mercati finanziari significa scaricare tout court sugli iscritti, obbligati per legge ad esserlo, il rischio insito negli investimenti finanziari che può arrivare sino alla totale perdita del capitale investito, il che significa la perdita delle pensioni.
Il codice degli appalti aggiunge un ulteriore controllo sia nella selezione dei gestori che negli acquisti e quindi un’ulteriore garanzia per gli iscritti proprio nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità e pubblicità che sono espressamente richiamati nelle nuove linee guida sottoposte all’attenzione del Consiglio di Stato.
“L’ingabbiamento” in un sistema rigido nuoce certamente l’investitore speculativo che sfrutta proprio la velocità nell’investimento, ma le Casse di previdenza sono diventate sì investitori istituzionali ma certamente non speculativi.
Le Casse di previdenza dei professionisti non sono chiamate a fare trading giornaliero ma investimenti legati all’ALM e cioè in funzione delle proprie passività e quindi, il rispetto del codice degli appalti non crea alcuna distorsione ma rafforza la tutela verso gli iscritti, evitando di scaricare sugli stessi il rischio del trading speculativo.
La realtà è molto più complessa e difficile, confermando le parole del premio Nobel per l’economia Paul Samuelson, il quale affermava che investire in Borsa dovrebbe essere considerato come seminare un giardino, curarlo e attendere che l’erba cresca, piuttosto che come un’attività simile a Las Vegas.
Tuttavia, il modello imperante che si cerca di inculcare (in modo molto interessato) a risparmiatori e investitori, spesso ingenui, è l’opposto.
Nonostante ciò, non si ha alcuna evidenza che con il day trading e una movimentazione più frequente si guadagni di più. Anzi.
Dico questo perché secondo il Report 2024 sugli investimenti alternativi di PGIM Investiments, il 75% degli istituzionali prevede di aumentare il rischio nei prossimi due anni, con il 36% che prevede un aumento significativo dell’appetito per il rischio così da indurre PGIM ad elaborare quattro strategie di allocazione nei mercati privati.
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