Dai Commercialisti un documento sulle variazioni in diminuzione dell’iva
Una materia ancora priva di un inquadramento sistematico, con conseguenze per imprese, professionisti e creditori
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Il Consiglio e la Fondazione nazionali dei commercialisti hanno pubblicato il documento “Variazioni in diminuzione dell’IVA negli istituti disciplinati dal Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza”. Il documento, al quale ha lavorato la Commissione di studio “Aspetti tributari della crisi”, presieduta da Stefano Midolo, rientra tra le attività dell’area di delega Gestione della crisi d’impresa e procedure concorsuali, alla quale sono delegati i due consiglieri nazionali Cristina Marrone e Pierpaolo Sanna.
Sin dall’introduzione nell’ordinamento tributario dei riferimenti agli istituti di regolazione della crisi d’impresa e dell’insolvenza l’argomento “Variazioni in diminuzione dell’IVA e procedure concorsuali” è tema controverso. Come ricordato nell’introduzione al documento “la disciplina recata, in materia, dall’art. 26 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (in breve, anche “d.P.R. 633/72”) – norma che tende a recepire nel nostro ordinamento la disposizione di cui all’art. 90 della direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006 – è stata più volte oggetto di istanze di interpello, con riguardo sia ai presupposti per la variazione da parte del cedente o prestatore, sia agli effetti che ne derivano per il cessionario o committente”.
Il documento approfondisce le problematiche connesse agli intrecci tra “norme fiscali” e “norme concorsuali” ed evidenzia le difficoltà nel coordinare due corpi di misure eterogenee.
“Nonostante il tempo e le riforme intervenute – afferma il presidente del Consiglio nazionale, Elbano de Nuccio – l’intersecarsi tra interessi privatistici ed esigenze di copertura di fabbisogni collettivi rende ancora oggi la materia priva di un inquadramento sistematico. Con riferimento alla previgente disciplina anche i più recenti documenti di prassi risultano improntati alla tesi che la “certezza giuridica” del mancato incasso sia imprescindibile presupposto per consentire al creditore falcidiato l’emissione della nota di credito, documento nella prassi da sempre ritenuto, a torto o a ragione, strumentale al recupero dell’imposta attraverso la variazione in diminuzione. A sopportarne le conseguenze – prosegue – imprese e professionisti, e in genere la massa dei creditori, forzati a tempi lunghi, talvolta inconcepibilmente lunghi, per poter ottenere il diritto al credito relativo all’imposta non incassata. Con tutte le conseguenti ed evidenti penalizzazioni, non solo di natura finanziaria.
La Corte di Giustizia europea, alla luce dei principi di diritto unionale – sottolinea il numero uno dei commercialisti – ha ripetutamente affermato che, in virtù del principio di neutralità dell’imposta, la base imponibile dell’IVA deve essere costituita dal corrispettivo realmente percepito dal soggetto passivo e l’Amministrazione finanziaria non può riscuotere a titolo di imposta un importo superiore a quello da questi percepito a tale titolo. Di conseguenza, quando l’insolvenza del debitore risulta certa, o ragionevolmente certa, la normativa interna di ciascuno Stato deve riconoscere al contribuente il diritto di recuperare la maggiore imposta versata all’erario e non incassata. Proprio alla giurisprudenza comunitaria – conclude – va verosimilmente ricondotto il passaggio dal presupposto della “certezza giuridica” a favore della “ragionevole certezza” del mancato pagamento”.
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