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Commercialisti. Tre gradi giudizio sono necessari

Miani, non è togliendone uno che si rende la giustizia efficiente

Commercialisti. Tre gradi giudizio sono necessari

 

L’annuncio del premier Giuseppe Conte nella conferenza stampa di fine anno di voler “mettere mano alla giustizia tributaria” con l’obiettivo di ridurre a due soli gradi di giudizio i processi contro gli atti dell’amministrazione finanziaria, non costituisce il veicolo adatto per “una riforma che abbia come stella polare il rispetto del principio costituzionale del giusto processo e la tutela del sistema di garanzie previsto dall’ordinamento”. Lo si legge in una nota del Consiglio nazionale dei commercialisti. “Si tratta di un grado di giudizio assolutamente necessario nell’ambito della giurisdizione tributaria – commenta il presidente dei professionisti italiani Massimo Miani – in cui l’esame del merito delle controversie assume, il più delle volte, un ruolo determinante ai fini della decisione e in cui la possibilità di un riesame in sede di appello costituisce un’importante garanzia a tutela di entrambe le parti in causa. E ancor di più nelle controversie tributarie che riguardano atti impositivi che consentono all’amministrazione finanziaria, e ora anche agli enti locali, di avviare procedure di riscossione coattiva nei confronti del contribuente, anche prima che un giudice abbia avuto il tempo di pronunciarsi sulla legittimità dell’atto stesso”. I commercialisti ribadiscono che “l’obiettivo prioritario per una Giustizia tributaria più celere ed efficiente non è la riduzione del processo a due gradi di giudizio, ma la ridefinizione dei requisiti professionali del giudice tributario, al fine di riservare tale funzione a giudici a tempo pieno che siano in possesso di una preparazione specifica nella materia tributaria a garanzia della imparzialità e dell’indipendenza dell’organo giudicante”, si legge, in conclusione. Anche l’Associazione nazionale dottori commercialisti (Andoc) “non condivide il progetto del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, volto all’eliminazione del grado di appello nel processo tributario, annunciato nella conferenza stampa di fine anno”. Lo fanno sapere i vertici dell’associazione presieduta da Amelia Luca, dopo che nei giorni scorsi altri sindacati di categoria, l’Anc (Associazione nazionale commercialisti), l’Adc (Associazione dottori commercialisti) e l’Ungdcec (Unione giovani dottori commercialisti) avevano manifestato altrettanta contrarietà nei confronti del progetto. L’Esecutivo, scrive l’Andoc, “vorrebbe risolvere il problema del basso gettito fiscale attraverso meccanismi volti alla riduzione dei gradi di giudizio nel contenzioso tributario. Due motivi ci spingono a non condividere questo disegno: innanzitutto, per come è congegnato il sistema italiano di impo-esazione fiscale, è l’inefficienza del processo tributario, e non la lungaggine, a nuocere al contribuente.  Inoltre, eliminare un grado di giudizio si tradurrebbe solo in una giustizia che, secondo la sorte, potrebbe avvantaggiare l’Erario, oppure il contribuente. Dunque, l’eliminazione di un grado di giudizio non porterebbe nulla di più alle casse statali, ma minerebbe gravemente il principio del giusto processo”, si legge in una nota, in cui il sindacato invoca “il rispetto dei diritti di ciascun cittadino dello Stato, senza la mortificazione delle garanzie costituzionali già previste, auspicando invece una riforma del processo tributario che vada verso la direzione di un giudice specializzato e a tempo pieno, eventualmente, prevedendo un sistema di reclutamento attraverso un pubblico concorso per esami, così come avviene già per la magistratura ordinaria, amministrativa e contabile”. Daniele Virgillito numero uno dell’ Ungdcec bolla come “strampalata” la ricetta di Conte  per la riforma della giustizia tributaria. “Fra i botti di fine anno – ironizza – c’è anche il petardo scagliato dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte nella conferenza stampa di chiusura del 2019, durante la quale ha annunciato che il suo obiettivo è “ridurre un grado di giudizio per la giustizia tributaria, sono sufficienti due gradi. La strampalata affermazione trascura i più elementari diritti dei contribuenti, è stata ulteriormente corroborata dal premier con motivazioni che lasciano ancora più basiti. È giusto – sottolinea –  che chi abbia qualche pendenza possa quanto prima risolverla, in modo da venire in tempi brevi a capo della soluzione definitiva e poter programmare il suo orizzonte di vita, le sue iniziative imprenditoriali. Ma rimanere lì, con una cartella esattoriale anche consistente, per dieci anni bloccato, senza sapere la partita di dare e avere che direzione avrà, non fa bene all’economia e alla certezza del diritto. Di fronte a tali argomentazioni -indicano i professionisti – pronunciate dall’avvocato del popolo, le prospettive per il 2020 sono preoccupanti: siamo passati dalla ricerca della certezza del diritto all’unica esigenza indifferibile rappresentata dalla “certezza dell’incasso”, poiché per noi è fondamentale garantire la professionalità, la specializzazione e la competenza di tutti gli attori del processo tributario, in primis dell’organo giudicante”. I giovani dottori commercialisti sono pronti a sostenere un progetto di riforma solo se si pongono al centro della scena i diritti dei contribuenti e su questo chiediamo un confronto, perché “rimanere lì per una cartella esattoriale dieci anni senza sapere quale direzione avrà la partita del dare e avere” è qualcosa che non auguriamo a nessuno”.

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