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Confprofessioni dice sì allo smart working anche dopo la pandemia

L’emergenza sanitaria non è finita e l’impennata dei contagi sta creando parecchi disagi anche sull’organizzazione degli studi professionali. Intanto, il ministero del Lavoro e le parti sociali hanno sottoscritto un protocollo che rilancia il lavoro agile, puntando sulla contrattazione collettiva

Confprofessioni dice sì allo smart working anche dopo la pandemia

La nuova impennata di contagi, dovuta alla rapida diffusione della variante Omicron che colpisce anche i bambini è tornata a mettere sotto pressione il mercato del lavoro. L’incertezza della situazione sanitaria legata alla pandemia ha messo in allarme migliaia di famiglie e lavoratori con figli minori affetti da Covid, in quarantena da contatto o in attività didattica a distanza, creando non pochi disagi a imprese e studi professionali che devono fronteggiare la nuova emergenza, tra assenze di personale e un quadro normativo in continua evoluzione.

Il Covid fatto scattare nuovi modelli organizzativi del lavoro

Il Governo è corso ai ripari, prorogando lo stato di emergenza fino al 31 marzo 2022, aprendo la possibilità per i lavoratori di ricorrere ai congedi parentali o allo smart working che, dopo il periodo del lockdown, torna ad affacciarsi anche negli studi professionali. Per tutto il periodo dello stato di emergenza i dipendenti del settore privato potranno continuare a lavorare da casa, derogando ad accordi sindacali o individuali con l’azienda. Salvo ulteriori proroghe, al termine dello stato d’emergenza verranno applicate le norme del “Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile” sottoscritto dalle parti sociali lo scorso 7 dicembre davanti al Ministro del Lavoro, Andrea Orlando. Innescata dalla prima ondata del Coronavirus, la nuova disciplina rappresenta uno dei cambiamenti strutturali più rilevanti nell’ambito dell’organizzazione del lavoro e mira a rispondere alla crescente domanda di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, ma anche a dare nuovo impulso a modelli organizzativi in grado di assecondare i processi innovativi che investono le imprese e gli studi professionali, al di là della pandemia.

Giusto coinvolgere le parti sociali nel Protocollo sul lavoro agile

«La diffusione dello smart working nel periodo dell’emergenza pandemica ha evidenziato alcune criticità applicative della legislazione vigente», commenta Gaetano Stella, presidente di Confprofessioni che ha sottoscritto il protocollo ministeriale, «e si è deciso di affrontarle valorizzando il ruolo delle parti sociali, come sostenuto dalla nostra Confederazione. La contrattazione collettiva infatti è lo strumento più utile per coordinare l’attuazione del lavoro agile rispetto alle esigenze dei singoli settori». L’iniziativa del ministro Orlando si propone infatti di individuare i principi guida per orientare la contrattazione collettiva nella disciplina del lavoro agile.

Confprofessioni: gli studi professionali si sono adeguati al cambiamento

Che cosa prevede il protocollo? Anzitutto, l’adesione al lavoro agile è volontaria e subordinata alla sottoscrizione di un accordo individuale, che dovrà indicare la durata dell’intesa (a termine o a tempo indeterminato), l’alternanza tra il lavoro nei locali aziendali e all’esterno, i luoghi eventualmente esclusi (dove cioè non si può lavorare in smart working), le modalità di controllo da parte del datore di lavoro, i tempi di riposo e la garanzia del diritto alla disconnessione. Un ulteriore novità è data dall’assenza di un preciso orario di lavoro e dall’autonomia nello svolgimento della prestazione nell’ambito degli obiettivi prefissati, oltre che nel rispetto dell’organizzazione delle attività assegnate. «Si tratta di principi che rappresentano un’efficace sintesi delle diverse posizioni delle parti sociali» conclude Stella. «Il settore degli studi professionali ha sempre considerato di assoluta rilevanza lo smart working e lo ha sostenuto economicamente attraverso la propria bilateralità per rispondere ai profondi cambiamenti dettati dall’innovazione tecnologica, soprattutto durante la pandemia, nell’organizzazione degli studi professionali».

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