Welfare, quella marcia in più negli studi
Tra i settori produttivi, gli studi professionali hanno assunto una posizione d’avanguardia nel welfare aziendale: secondo il rapporto Welfare Index PMI 2024 il 45,5% ha raggiunto un livello alto o molto alto.
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Ci sono due modi di considerare l’iniziativa sociale delle imprese. C’è il metodo della statistica, che utilizzeremo tra poco commentando i dati del rapporto Welfare Index PMI 2024 per comprendere l’evoluzione del welfare aziendale nel nostro paese. Ma c’è anche l’osservazione diretta delle storie aziendali, dalle quali è possibile trarre conoscenze meno generali ma più concrete. Partiamo quindi da alcune di queste esperienze, citando casi tra le aziende premiate quest’anno da Welfare Index PMI.
Per esempio, E-Labora, lo studio professionale di Brescia che ha vinto il primo premio di settore per il livello generale di welfare. Ha attuato politiche di conciliazione tra il lavoro e la vita personale dei dipendenti, con la settimana di 4,5 giorni e un’elevata flessibilità degli orari; ha dedicato grande cura al benessere ambientale, con servizi come una Spa interna, e ha investito nel capitale umano con percorsi di formazione, l’affiancamento di un mentore, un sistema premiante che riconosce il livello di autonomia professionale dei collaboratori. Un altro caso significativo è Eicon di Torino, studio di editoria, comunicazione e formazione web, che ha ottenuto la menzione speciale per l’impegno a sostegno dei giovani e dell’ascensore sociale grazie a percorsi formativi altamente personalizzati, basati sull’analisi dei bisogni individuali di crescita.
La menzione per il lavoro e la valorizzazione delle persone ha premiato un altro studio professionale, Way2global di Milano, che offre servizi di traduzione e interpretariato: ha cambiato radicalmente lo spazio lavorativo, integrando spazi fisici e virtuali per permettere ai suoi team di lavorare con la massima libertà. Quelli citati sono alcuni esempi che testimoniano l’impegno nel welfare aziendale delle piccole e medie imprese italiane, in particolar modo degli studi e servizi professionali. Ma Welfare Index PMI ha nominato quest’anno 142 Welfare Champion, le imprese al più alto livello di welfare aziendale, ed è un vero peccato non poterle citare tutte.
Studi in pole position
Sono passati otto anni da quando, con la Legge di stabilità 2016 e i successivi decreti attuativi, la riforma del welfare aziendale introdusse robusti incentivi alla spesa delle aziende per la sicurezza e il benessere dei dipendenti e delle loro famiglie. Da allora l’esperienza del welfare aziendale si è progressivamente estesa, contribuendo ad accrescere la consapevolezza del ruolo sociale dell’impresa. Il rapporto Welfare Index PMI 2024 ci presenta un movimento che in un breve arco di tempo ha raggiunto un’elevata maturità.
Anzitutto per la sua estensione: tre Pmi su quattro hanno raggiunto un livello di welfare aziendale almeno medio. Ciò significa che adottano misure di welfare autonome, per contratto integrativo o per decisione unilaterale del datore di lavoro, non limitandosi ad attuare le disposizioni dei contratti collettivi nazionali. Tra i settori produttivi, gli studi professionali hanno assunto una posizione d’avanguardia: il 45,5% degli studi ha raggiunto un livello alto o molto alto di welfare aziendale, contro una media generale del 33,3% e con una crescita rilevante negli ultimi due anni. È un segno evidente di consapevolezza, in questo settore, della centralità del fattore umano. Ma il principale segnale di maturità del welfare aziendale è il successo delle culture aziendali più avanzate e più capaci di integrare gli obiettivi sociali con quelli di business.
Welfare strategico
La ricerca ha classificato differenti profili di politiche aziendali esaminando numerose variabili quantitative e qualitative: l’ampiezza e l’intensità delle misure adottate, le popolazioni aziendali coinvolte, l’entità di risorse impegnate, il modo in cui l’azienda rappresenta i propri valori e obiettivi, i processi con cui gestisce e comunica le politiche di welfare. Un profilo, denominato welfare strategico, raggruppa le imprese che considerano il welfare come leva di politica sociale e di gestione strategica, e che offrono ai dipendenti una gamma particolarmente ampia di prestazioni. Non è il segmento più numeroso, la sua quota è del 18%, ma è quello che cresce più rapidamente, tanto da essere più che raddoppiato in questi otto anni di osservazione. L’altro segmento forte è quello del welfare premiante, costituito dalle imprese (30% del totale) che considerano il welfare aziendale una componente rilevante del sistema retributivo. Le imprese che assegnano un ruolo strategico al welfare aziendale ottengono i migliori risultati non solo in termini di riconoscimento da parte dei lavoratori, ma anche di impatto sulle performance economiche.
Sale la produttività
Abbiamo esaminato i bilanci degli ultimi tre anni di esercizio di 4.200 imprese: quelle che raggiungono i livelli più elevati di welfare aziendale presentano i migliori indici di produttività e di redditività, crescono più velocemente, incrementano l’occupazione. Il triennio considerato, 2020 – 2022, è particolarmente significativo poiché comprende la recessione provocata dalla pandemia e la successiva ripresa: in questo periodo il welfare aziendale ha agito come fattore di resilienza, prima contribuendo alla mitigazione della crisi e poi accelerando la crescita. Anche per questo motivo pensiamo che gli investimenti sociali delle imprese siano destinati a crescere. Il welfare aziendale è innovativo anche perché configura un modello di sicurezza sociale non solo distributivo ma generativo di risorse.
Impresa e famiglia
Stiamo parlando di un movimento che coinvolge più di 600 mila imprese, diffuse ovunque nel Paese. La maturità raggiunta dal welfare aziendale incoraggia dunque a pensare che l’iniziativa sociale delle imprese possa contribuire al rinnovamento generale dei servizi di welfare. Le imprese private raggiungono direttamente, con i propri dipendenti, il 44% delle famiglie italiane. Ma il loro impatto è potenzialmente più ampio perché, con la diffusione che hanno nel territorio, esse possono generare nuovi servizi aperti alle comunità. Le imprese sono vicine alle famiglie e sono in grado di rispondere in modo puntuale ai bisogni emergenti. Le famiglie italiane sostengono direttamente il 22% della spesa sanitaria nazionale, il 71% di quella assistenziale per gli anziani, il 16% di quella per l’istruzione. Il carattere individuale di questa spesa la rende inefficiente, provoca difficoltà di accesso ai servizi, genera sperequazioni perché grava in misura maggiore sulle famiglie meno abbienti.
Il welfare aziendale agisce come aggregatore della domanda sociale: trasformando una parte della spesa da individuale a collettiva, e trasferendola dalle famiglie alle imprese, agisce come fattore di efficienza e di equità. Possiamo quindi pensare al welfare aziendale come base di un nuovo welfare di comunità, capace di generare servizi negli ambiti più critici del nostro sistema di sicurezza sociale: la prevenzione sanitaria e la medicina di prossimità, l’assistenza domiciliare agli anziani, la cura dell’infanzia, il sostegno alle famiglie per l’istruzione e l’orientamento professionale dei giovani, l’integrazione sociale, i trasporti. Ma la crescita del welfare aziendale non basta, da sola, a determinare una innovazione sociale di questa portata. Per attuarla occorrono nuove politiche delle istituzioni a tutti i livelli, a partire dalle Regioni, e progetti basati sulla partnership tra enti pubblici e imprese. Anche per questo motivo Welfare index PMI ha aperto un nuovo ciclo di attività, producendo rapporti regionali e occasioni pubbliche di incontro con le autorità e le imprese nel territorio.
di Enea Dallaglio – da Il Libero Professionista Reloaded #26
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