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Consulenti. Covid-19, datori in regola ancora non esclusi dal penale

La soluzione normativa prescelta non risolve il problema della responsabilità penale in caso di contagio sul luogo di lavoro

Consulenti. Covid-19, datori in regola ancora non esclusi dal penale

La norma contenuta nel Decreto Liquidità non risolve il problema – da più parti sollevato – relativo all’inevitabile coinvolgimento in un procedimento penale del datore di lavoro che abbia adempiuto a tutte le prescrizioni in materia di prevenzione del contagio da Covid-19. Infatti, il precetto in parola contiene soltanto una generica affermazione di principio, ma non prevede un meccanismo che in qualche modo metta al riparo il datore di lavoro – il quale, in base ai primi accertamenti, è risultato aver applicato le prescrizioni contenute nei Protocolli di sicurezza e di prevenzione – dal rischio di essere sottoposto a un procedimento penale. Rimangono, dunque, irrisolte, nonostante l’intervento legislativo, due questioni cruciali: quella secondo cui nei confronti del datore di lavoro dovrà comunque essere instaurato un procedimento penale allo scopo di accertare se questi abbia correttamente adottato le misure racchiuse nei Protocolli; quella secondo cui il datore di lavoro, sebbene abbia adempiuto alle prescrizioni, sarà in ogni caso destinatario di una imputazione (cd. “provvisoria”). In definitiva, con la norma introdotta dalla legge di conversione è stata adottata una formula di compromesso – anche lessicale – che non garantisce al datore di lavoro “virtuoso” una tutela a tenuta stagna perfetta. È stata, in altre parole, creata una norma “imperfetta”, nella quale ad una premessa (il rispetto delle regole) non segue una conclusione che riguardi la posizione del datore di lavoro rispetto al procedimento penale. Non si parla, infatti, di “esenzione da responsabilità”, di “non punibilità” o di “improcedibilità”. Peraltro, a tale mancanza non può porsi rimedio con il rinvio al contenuto dell’ultima circolare Inail in materia (n. 22/2020), considerato il valore meramente interpretativo della stessa. È, dunque, evidente che, con un ordito normativo così incompleto, l’intervento del Giudice sarà ancora più necessario e ciò dimostra, appunto, che non è stato affrontato e risolto il problema posto all’inizio. È vero che è stato inserito il richiamo ad una norma generale (l’articolo 2087 del codice civile) – il cui rispetto, secondo la giurisprudenza elaborata dalla Corte di Cassazione in materia antinfortunistica, colloca la condotta del datore di lavoro nell’ambito della liceità, in quanto da quest’ultimo non può “esigersi” più di quanto abbia fatto – ma questo non impedirà l’instaurarsi di un procedimento penale. Non è, infatti, stato previsto che gli ispettori – chiamati a svolgere un accertamento in caso di segnalazione di contagio – non debbano trasmettere la relazione alla Procura della Repubblica, soprattutto nell’ipotesi in cui è stata riscontrata la corretta applicazione delle prescrizioni. Quindi, tutto procederà come prima, con il coinvolgimento del datore di lavoro “adempiente” in un procedimento penale da cui, invece, dovrebbe essere tenuto indenne ab origine. In definitiva, è stata adottata una soluzione, la cui forma – peraltro carente – non ha mutato la sostanza. (Gaetano Pacchi)

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