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Infermieri scendono in piazza: “Non basta dirci che siamo eroi. Vogliamo valorizzazioni economiche”

Andrea Bottega, segretario nazionale del sindacato degli infermieri Nursind: Il governo pensa di cavarsela con una pacca sulla spalla dicendo ‘bravo, sei un eroe’, ma serve dare un segnale concreto di valorizzazione economica stipendiale e di assunzioni di personale

Infermieri scendono in piazza: “Non basta dirci che siamo eroi. Vogliamo valorizzazioni economiche”

Venerdì scorso gli infermieri sono scesi in piazza a Roma per manifestare il disagio di chi, dopo essersi sentito definire un eroe per mesi, continua a lavorare dovendo far fronte a disagi e scarsi riconoscimenti. Soprattutto a fronte di una situazione sanitaria sempre più difficile, vista l’impennata di contagi da coronavirus che registriamo ormai da settimane. “Noi non siamo scesi in piazza per protestare, ma per ricordare al governo e al Parlamento l’impegno preso il 25 marzo con quel famoso discorso di Conte, in cui il premier aveva affermato ‘Non ci dimenticheremo di voi'”, commenta Andrea Bottega, segretario nazionale del sindacato degli infermieri Nursind, a Fanpage.it. “Pensiamo che in questo momento, a metà ottobre quando si comincia a parlare di finanziaria, quando si discute su come spendere i soldi del Recovery Fund e su dove allocare le risorse economiche in arrivo, sia il momento giusto per ricordare al governo che si deve ricordare di noi. Si ricordi di noi perché vogliamo che questa categoria esca dalla quarantena. Farebbe meglio a tutto il sistema avere gli infermieri fuori dalla quarantena. Non bisogna pensare di cavarsela con una pacca sulla spalla dicendo ‘bravo, sei un eroe’, ma serve dare un segnale concreto di valorizzazione economica stipendiale e di assunzioni di personale”, continua il sindacalista. Spiegando che questi due aspetti sono fondamentali a garantire tutti i professionisti di cui il sistema sanitario ha bisogno.

“In Italia ne mancano 53mila e di questi 30mila mancano nel territorio: abbiamo visto come questa sia stata una lacuna durante la pandemia. Oggi viviamo questa situazione con il coronavirus, in passato c’era l’aviaria, in futuro ci sarà altro. Dobbiamo intervenire sul nostro sistema in modo che possa reggere a queste condizioni”, prosegue Bottega, ribadendo che in dieci anni dal 2008 al 2018 sono stati persi 12mila infermieri. E oggi non si fa nulla per incentivare i giovani a intraprendere questa professione. Chi lo fa, inoltre, finisce spesso per andare a cercare lavoro all’estero, dove gli stipendi e le tutele sono di gran lunga maggiori a quelli in Italia. “Noi chiediamo un contratto infermieristico. Chiediamo che venga data un’indennità professionale specifica perché questa al momento è fissata in 36,15 euro lordi mensili. Questa è la valorizzazione che viene data alla nostra professione. Poi altre indennità, per il disagio dei turni, per chi lavora in particolari reparti come in malattie infettive o nelle terapie intensive. Ma il disagio professionale è pagato 36,15 euro al mese, è una vergogna”, continua il sindacalista. Che evidenzia ancora una volta come non sia solo una questione economica, ma di riconoscimento. “La nostra è una professione con responsabilità da laureati, ma con stipendi da diplomati”.

Rispetto alla situazione epidemiologica attuale, Bottega sottolinea invece che ancora non sono stati registrati i problemi di sovraccarico negli ospedali (specialmente nelle terapie intensive) che si sono invece visti questa primavera nella prima fase dell’emergenza. Tuttavia “rimane ancora deficitaria la disponibilità di personale per quanto riguarda i reparti Covid sul territorio”, aggiunge il sindacalista citando ad esempio le lunghissime tempistiche che si registrano queste settimane per eseguire test rapidi e tamponi ai drive-in organizzati dalle strutture sanitarie. “Questo perché non ci sono abbastanza infermieri che eseguono i tamponi”. Spesso, racconta ancora il sindacalista, per far fronte all’emergenza si ricorre al personale di altri reparti già esistenti, che vengono di fatto chiusi e trasformati in speciali aree Covid. “Ma così tralasciamo le cure. Se io sposto degli infermieri ad esempio dal reparto di oncologia, chi ha un tumore deve aspettare. Di conseguenza si registrano effetti collaterali. Siamo talmente pochi che per dedicarci allo straordinario dobbiamo smettere di far funzionare l’ordinario. Ma ovviamente non possiamo sempre fare così, perché altrimenti rischiamo di avere più vittime indirette che decessi per il Covid. Servono infermieri per testare di più e che si occupino dei reparti Covid. Le terapie intensive sono in uno stato di pre-allarme, ma se le cose peggiorano è ovvio che il passo successivo del reparto Covid sono le terapie intensive”, prosegue.

Bottega racconta inoltre che in diversi territori dove stanno riaprendo i reparti Covid, questi non sono attrezzati con i dispositivi di protezione individuale necessari. Il sindacalista quindi conclude: “E così ricadiamo nello stesso problema, cioè che noi diventiamo a nostra volta fonte di contagio per altri. Se non difendiamo la salute dei sanitari, ovviamente l’infezione si sparge non solo tra i reparti, ma anche tra colleghi e poi manca ancora più personale”.

 

 

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