Cosa c’è nel “decreto Sicurezza” appena entrato in vigore
Nella sostanza non è cambiato molto dal disegno di legge originario, con qualche lieve modifica nei suoi punti più contestati.
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Venerdì il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha firmato il cosiddetto decreto-legge “Sicurezza”, che contiene diverse misure sulle forze di polizia, sull’ordinamento delle carceri, sull’ordine pubblico e in generale sulla pubblica sicurezza. Originariamente il decreto era un disegno di legge, molto criticato dall’opposizione perché ritenuto repressivo, e al centro di dissidi interni anche nella stessa maggioranza.
Con una decisione irrituale il governo lo aveva trasformato in un decreto-legge, in maniera da rendere più veloce la sua approvazione e togliere al parlamento la possibilità di modificarlo in maniera sostanziale. Un decreto-legge entra in vigore dopo la firma del presidente della Repubblica e la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, la fonte di tutte le leggi italiane, e il parlamento ha solo 60 giorni di tempo per convertirlo in legge, e quindi meno margine per intervenire.
Il decreto-legge “Sicurezza” è stato pubblicato venerdì in Gazzetta Ufficiale e la maggior parte delle norme che contiene sono entrate in vigore sabato 12 aprile. Non è particolarmente diverso dalla sua versione iniziale, anzi: l’impianto securitario di base è stato mantenuto, con l’introduzione di nuovi reati e l’aumento delle pene per alcuni di quelli già esistenti. C’è stata qualche lieve modifica sui punti più contestati del disegno di legge, anche a seguito dell’interlocuzione tra il governo e il presidente Mattarella, che sul disegno di legge originario aveva espresso obiezioni e critiche.
Una delle misure più contestate del disegno di legge originario è stata inclusa anche nel decreto-legge: da ora in poi non sarà più obbligatorio il rinvio della pena per donne incinte o che hanno figli con meno di un anno, che diventerà invece facoltativo.
Il decreto-legge prevede però che la detenzione, che sia per una custodia cautelare o uno sconto di pena, debba avvenire obbligatoriamente in un Istituto a custodia attenuata per madri (ICAM), cioè in quei particolari tipi di carcere pensati per sembrarlo un po’ meno e attenuare l’esperienza del carcere per i bambini e le bambine (li avevamo raccontati qui). Finora la legge prevedeva il rinvio obbligatorio della pena per donne incinte o con figli con meno di un anno, prevedendo il carcere solo in casi di «eccezionale rilevanza», e preferibilmente (ma non obbligatoriamente) in un ICAM.
Secondo i dati più aggiornati del ministero della Giustizia, al 31 marzo 2025 negli istituti penitenziari italiani c’erano 15 detenute madri con 15 figli: molte sono donne straniere, spesso di etnia rom, arrestate per piccoli furti, magari sui mezzi pubblici.
Partiti come la Lega o Fratelli d’Italia chiedevano da tempo un aumento delle misure detentive nei loro confronti per contrastare quello che presentavano come il fenomeno delle donne che fanno figli per non andare in carcere. Chi contestava e contesta la misura appena approvata ritiene invece che abbia un chiaro intento discriminatorio nei confronti dell’etnia rom, oltre a non avere efficacia e utilità rispetto al reinserimento delle detenute nella società.
Sempre per quanto riguarda le detenute madri, il decreto-legge introduce l’obbligo per il governo di presentare al parlamento, entro il 31 ottobre di ogni anno, una relazione sulla gestione delle misure cautelari e delle pene emesse nei confronti delle detenute madri nel territorio italiano.
Un’altra misura molto contestata del disegno di legge originario riguardava il divieto di vendere schede telefoniche a persone extracomunitarie che non esibivano il proprio permesso di soggiorno. Il decreto-legge ha modificato questa norma, stabilendo che le persone extracomunitarie che vogliono acquistare una scheda telefonica debbano esibire un semplice documento di riconoscimento, non necessariamente un permesso di soggiorno, esattamente come tutti gli altri.
È rimasta invece invariata la misura, altrettanto contestata, che ha introdotto il nuovo reato di rivolta in carcere, modificando il codice penale con l’aggiunta di un nuovo specifico articolo, il 415-bis. Con «rivolta» il decreto-legge si riferisce a quelli che definisce «atti di violenza o minaccia o di resistenza» agli ordini compiuti da tre o più persone riunite con questo intento. Il decreto-legge prevede che queste persone siano punite con la detenzione da uno a cinque anni, con pene più lunghe se la rivolta provoca lesioni personali, o morte, al personale penitenziario.
Un punto molto contestato del decreto-legge e delle sue versioni precedenti riguarda il fatto che questo reato si riferisce anche a «condotte di resistenza passiva», che a seguito di obiezioni del presidente della Repubblica il governo ha definito in maniera più precisa (ma comunque ampiamente interpretabile) come atti che impediscono il compimento di azioni finalizzate alla gestione dell’ordine e della sicurezza all’interno delle carceri.
Il reato di rivolta in carcere vale anche per i centri di trattenimento per i migranti irregolari, ad esempio i Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR), strutture detentive note per le documentate condizioni estremamente degradanti in cui vengono spesso mantenute le persone al loro interno, e in cui le proteste e le rivolte sono anche per questa ragione frequenti.
Sempre per restare sulle misure contenute nell’originario disegno di legge di cui si era discusso di più, è stata invece rimossa dal decreto quella che obbligava le pubbliche amministrazioni, quindi anche le università e gli enti di ricerca, a collaborare con i servizi segreti e a fare convenzioni che imponessero di cedere dati riservati per motivi di sicurezza nazionale, in deroga alle leggi sulla privacy.
Il decreto contiene anche una misura sulla cannabis light, cioè quella che contiene un livello molto basso di THC, il componente psicoattivo comunemente associato all’effetto stupefacente della marijuana. Il decreto vieta in maniera esplicita l’importazione, la lavorazione, il possesso, la cessione, la distribuzione, la vendita, il trasporto e la spedizione delle infiorescenze di cannabis light, attualmente vendute a scopo ricreativo da tantissime attività commerciali nate appositamente con questo fine, che quindi ora rischiano di chiudere.
In questo caso va detto che il decreto-legge rende più esplicita una misura che in qualche modo era già contenuta nella legge che regolamenta la produzione e il commercio della cannabis light, la 242 del 2016, che già stabiliva che la cannabis light poteva essere prodotta e venduta solo per alcune finalità agricole o industriali, ma non ricreative.
Il decreto-legge “Sicurezza” contiene poi un insieme di nuove norme sulle forze dell’ordine e sulle forze armate, generalmente indirizzate a quella che il governo vede come una maggior tutela del loro operato.
È stata introdotta una circostanza aggravante del reato di violenza o minaccia e di resistenza a pubblico ufficiale nei casi in cui l’azione sia stata compiuta contro un agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza, con l’aumento della pena fino alla metà. Il decreto-legge introduce inoltre la reclusione da due a cinque anni per lesioni personali provocate a ufficiali in servizio, con pene più dure se le lesioni sono gravi o gravissime (finora il relativo articolo del codice penale specificava che la reclusione era prevista solo per lesioni gravi o gravissime).
Vengono introdotte poi nuove tutele legali per i membri di forze di polizia, vigili del fuoco, forze armate indagati o imputati per fatti connessi alle attività di servizio: è previsto che lo Stato potrà corrispondere fino a 10mila euro per le spese legali in ogni fase del procedimento penale in corso.
Il decreto-legge include anche un articolo che specifica che le forze di polizia possono scegliere – non sono obbligate come richiesto da tempo da varie organizzazioni che si occupano di diritti – di indossare bodycam sulle divise. Cioè i dispositivi di videosorveglianza che servono a registrare l’operato degli agenti quando sono in servizio, rendendo più facile l’identificazione di eventuali responsabili nel caso di abusi o utilizzi sproporzionati della forza. Gli ufficiali e gli agenti di pubblica sicurezza sono autorizzati a portare con sé armi private, quando non sono in servizio, senza necessità di una licenza.
Per quanto riguarda l’ordine pubblico e la pubblica sicurezza, il decreto-legge ha introdotto il reato di detenzione di materiale con finalità di terrorismo: è prevista una pena detentiva da due a sei anni per chi si procura o detiene materiale che contiene istruzioni per costruire o utilizzare armi di vario tipo, anche chimiche o batteriologiche, con finalità di terrorismo. È prevista una pena detentiva, da sei mesi a quattro anni, anche per chi diffonde o pubblicizza questo materiale con ogni mezzo, anche online.
Il decreto inasprisce inoltre le pene per chi deturpi o imbratti beni mobili o immobili utilizzati da istituzioni pubbliche: si rischia il carcere da sei mesi a un anno e mezzo e la multa da mille a 3mila euro, con aumenti di pena in caso di recidiva. Viene inoltre introdotto un nuovo reato sulle occupazioni abusive di immobili, punito con la reclusione da due a sette anni, e procedure per accelerare lo sgombero dell’immobile occupato, nel caso in cui sia formalmente l’unica abitazione di chi ha denunciato.
Il decreto-legge introduce poi un’aggravante per quelli che definisce «atti violenti» compiuti con l’obiettivo di impedire la realizzazione di un’infrastruttura, se questa è destinata «all’erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici»: è al parte del decreto che chi lo contesta definisce la “norma anti-No TAV”, con riferimento alla contestata e discussa costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità in Val di Susa.
Vengono aumentate molto le sanzioni per chi attua un blocco stradale, cioè impedisce la libera circolazione su strada. Finora era prevista una multa che andava da mille a 4mila euro: ora è stata introdotta la reclusione fino a un mese, oltre a una multa fino a 300 euro.
Il decreto-legge, tra le altre cose, ha aumentato anche le pene per le truffe agli anziani, che ora diventano un’aggravante specifica al reato di truffa (prima erano un’aggravante comune): sono punibili da due a sei anni di carcere, e con multe da 700 a 3mila euro.
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