Anno: XXV - Numero 236    
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Dossier "Pinto": decreti pieni di errori, procedure lunghissime e pagamenti irrisori.

Valanga di ricorsi alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

Dossier

I nostri compensi sono stati drasticamente ridotti in seguito all’abolizione delle tariffe minime, sostituite da compensi tabellari ex DM 55/2014 e ss mm, spesso applicati in base a valori inferiori ai minimi, seppure la norma preveda che i Giudici debbano applicare i valori medi e riconoscere gli aumenti previsti in relazione al pregio, all´importanza, alle difficoltà, all´urgenza, alla complessità, al valore dell´attività espletata (artt. 4 e 12 del dm 55/2014). Inoltre, allorquando venga riconosciuto il diritto all’onorario (perché spesso i giudici compensano, se a soccombere è la p.a.), bisogna attendere anni per la liquidazione, mentre le scadenze dei nostri pagamenti incombono, senza possibilità di differimento al momento delle entrate. Rispetto a tali criticità la legge sull’equo compenso è inconferente, non riguardando le liquidazioni da parte dei Giudici, bensì i compensi stabiliti dai grandi committenti. Una procedura in cui si verificano sia casi di liquidazioni irrisorie che di ritardi nei pagamenti è proprio quella dei ricorsi ex Legge “Pinto” n. 89/2001 e ss mm, promossi per ottenere un´equa riparazione del danno, patrimoniale e non patrimoniale, per violazione del termine di ragionevole durata del processo. La legge di stabilità del 2016 non solo ha ridotto la misura dell´indennizzo fino ad un massimo di 800 euro per ogni anno eccedente il termine di durata ragionevole del processo (prima era di € 1.500), ma ha anche previsto una serie di cause di non indennizzabilità (e quindi nessun compenso per l’Avvocato), riconducibili a condotte della parte non diligenti, dilatorie ed abusive. In pratica occorre dimostrare, a pena di inammissibilità della domanda, di avere esperito i cd “rimedi preventivi” alla irragionevole durata del processo (istanza di anticipazione di udienza, istanza di prelievo, rito sommario) e di non avere in alcun modo provocato, o concorso a determinare, la lungaggine processuale lamentata (immagino che nel processo penale dovremmo dimostrare di avere evitato l´estinzione del reato per prescrizione..). Inoltre non poche sono le liquidazioni di compensi tra le 100 e le 300 euro, pur in presenza di pluralità delle parti, complessità dell’istruttoria e manifesta fondatezza, circostanze che darebbero diritto agli aumenti ex artt. 4 e 12 del DM 55/2014; e numerose sono anche le segnalazioni di errori materiali nei decreti (personalmente ricordo di aver dovuto depositare un’ istanza di correzione di errore materiale 3 volte per lo stesso decreto). Una recente segnalazione, estremamente grave, è quella del Collega Carmine Bonomo, Consigliere Napoli Nord, il quale ha pubblicato un decreto del 23 maggio 2019, qui allegato, scrivendo:

“La Corte d’Appello di Napoli rigetta una richiesta risarcitoria ex Legge Pinto per un giudizio durato ‘appena’ 9 anni in primo grado. Il motivo??? Agli avvocati ricorrenti – che in ogni caso non avrebbero dovuto proporre il ricorso perchè ‘abituati’ alle lungaggini giudiziarie – il risarcimento viene negato semplicemente perché hanno lo studio in una zona elegante di Napoli e, di conseguenza, una certa ‘ricchezza’ presunta” .

http://www.studiolegalebuonomo.it/2019/05/solo-lavvocato-che-deve-avere-il-callo.html?m=1&fbclid=IwAR1N5RLPAfXEe5d0qRDFCGoAmWqM5aSuQ1sN-QSO5QDCCU4Q71SNLLzXMGs#.XObMGogzbFU

Dal decreto emerge non solo che il Giudice abbia utilizzato un criterio valutativo strettamente personale, ma è giunto a ridicolizzare la domanda risarcitoria, sebbene l’irrisorietà dell’indennizzo e la lungaggine processuale siano circostanze che gli Avvocati non determinano, ma subiscono!  Tuttavia, analizzando caso per caso le ragioni della lungaggine processuale, ove sia determinata da una generale inefficienza del comparto giustizia e dalla carenza di personale di quel Tribunale in esame, la previsione dell’art. 5 co. 4 della legge 89/01 potrebbe, a ragione, essere percepita come eccessiva da parte dei destinatari della norma: “Il decreto che accoglie la domanda è altresì comunicato al procuratore generale della Corte dei conti, ai fini dell’eventuale avvio del procedimento di responsabilità, nonché ai titolari dell’azione disciplinare dei dipendenti pubblici comunque interessati dal procedimento”. Anche il cd “piano di rientro” , organizzato mediante apposito Accordo tra il Ministero della Giustizia e la Banca d´Italia (siglato nel 2016 e di durata biennale, quindi probabilmente a conclusione), avrebbe dovuto agevolare lo smaltimento dell’enorme arretrato e accelerare le liquidazioni, ma si è rivelato farraginoso ed inefficiente, a causa degli ostacoli burocratici tipici delle amministrazioni pubbliche , della carenza di personale assegnato al piano e della incapienza dei fondi. Inoltre il piano straordinario riguarda solo i decreti emessi nei confronti del Ministero della Giustizia successivamente al 1 settembre 2015 e limitatamente alle Corti di Appello di Roma, Perugia, Napoli, Salerno, Caltanissetta, Catanzaro, Genova, Lecce e Potenza. La procedura prevede di notificare copia conforme di ricorso e decreto al Ministero presso l´Avvocatura ed attendere l’eventuale opposizione. Scaduto il termine gli atti vengono trasmessi al Ministero, che dopo ulteriori verifiche li smista alla Banca D´Italia, che verifica la regolarità della documentazione e che poi la restituisce al Ministero, che finalmente emetterà il mandato di pagamento. Insomma, passano altri 2 anni dal decreto di un Giudice che, in teoria, dovrebbe rappresentare già un ordine di pagamento! Dunque, il legislatore obbligato dalla CEDU a risarcire chi abbia subito un danno da lungaggine processuale, finisce poi con il causargli un ulteriore danno da lungaggine post-processuale!

IL GIUDIZIO DI OTTEMPERANZA

Nelle more del pagamento spontaneo si può anche ricorrere al giudizio di ottemperanza (esente da CU), ma occorre PRIMA inviare le autocertificazioni al Ministero, attendere sei mesi (a pena di improcedibilità) per l´eventuale pagamento spontaneo e notificare il decreto all´Avvocatura (per il passaggio in giudicato) ed al Ministero presso la sede reale in forma esecutiva. Per quanto riguarda i pagamenti degli indennizzi di competenza del Mef, dopo aver notificato il decreto basterebbe inviare le autocertificazioni al Ministero ed attendere, ma anche in questo caso conviene la strada più breve del giudizio di ottemperanza (una volta ottenuta la sentenza il Tar è abbastanza celere), però.. e c’è anche qui un però.. ultimamente si rischiano numerose udienze in attesa dell’insediamento dei Commissari ad acta.

LA RAGIONERIA DELLA C.A.

Per i decreti emessi nei confronti del Ministero della Giustizia dalle Corti di Appello non rientranti nel piano straordinario, i pagamenti sono ancora di competenza delle ragionerie delle Corti di Appello, in cui risulta maggiore la probabilità di conseguire il pagamento spontaneo con il semplice invio delle autocertificazioni, previa notifica del decreto, senza ricorrere all´ottemperanza.

CASSAZIONE N. 7185/2017

Secondo i Giudici di legittimità il termine dei trenta giorni, previsto dall’art. 5 della legge 89/01 per la notifica del ricorso e del decreto di liquidazione al Ministero della Giustizia (termine considerato perentorio dalla Cass. nr. 2656/2017), decorre dalla comunicazione del decreto a mezzo pec da parte della Corte di Appello al ricorrente.

CONSULTA N. 88 DEL 26.04.2018

La Consulta ha dichiarato costituzionalmente illegittima la norma del DL n. 83/2012 nella parte in cui il legislatore aveva introdotto, quale condizione di ammissibilità del ricorso Pinto, la definitività della pronuncia giudiziale conclusiva del procedimento di cui il ricorrente lamentasse l’ ingiustificato ritardo (ricordiamo tre anni per il giudizio di primo grado e due per l´appello oltre a quello di legittimità). Pertanto, chi abbia subito una lesione per un procedimento che sia durato oltre i termini previsti dalla legge, può proporre immediatamente ricorso alla Corte d´Appello competente, senza attendere l´esito della pendenza giudiziaria. Ottenuto il ristoro previsto, può anche, all´esito del giudizio o anche in più fasi, chiedere l´ulteriore quota di ristoro per gli anni successivi. Quando sono stata in CEDU mi è stato riferito che i ricorsi dall’Italia registrano un ritardo nello smaltimento di circa 8 anni e questo dovrebbe fornire al legislatore la misura dell’emergenza e del danno che lo Stato potrebbe essere chiamato a risarcire. Ecco perché ricorrere alla CEDU potrebbe rappresentare anche uno strumento di pressione sul legislatore, affinché risolva al più presto le criticità interne.

Gianpiero, Collega del Foro di Santa Maria Capua Vetere, è impegnato da tempo nei ricorsi Pinto e alla CEDU, gestendo un gruppo su FB in cui mette a disposizione dei Colleghi tutta la sua esperienza, con grande generosità e competenza. Ecco la sua nota sulla situazione attuale e suoi prossimi ricorsi alla CEDU: “Come già fatto in passato, ho deciso nuovamente di presentare una serie di ricorsi alla CEDU per numerosi miei clienti, i quali, pur avendo ottenuto il riconoscimento di indennizzi ai sensi della Legge Pinto (mediante decreti definitivi di condanna contro il Ministero Giustizia o MEF emessi anche 2 anni fa), non hanno ancora ottenuto alcun pagamento. Tale scelta si è resa necessaria ed opportuna perché i tempi di pagamento “spontaneo” in via amministrativa da parte dei Ministeri competenti si vanno via via allungando a dismisura ed in modo imprevedibile. Ulteriore preoccupazione per l’ allungamento dei tempi di detti pagamenti sorge – a quanto è dato sapere da informazioni ufficiose ed incomplete – dalla circostanza che la Banca d’Italia non curerà più l’istruttoria per alcune Corti di Appello con maggior carico di lavoro. Insomma , attualmente è una vera Odissea ottenere il pagamento di queste somme e il Legislatore ha anche imposto (con l’introduzione del comma 7 dell’art. 5-sexies di riforma della Legge Pinto) un ulteriore adempimento “burocratico”per i creditori di somme di denaro in virtù di titoli esecutivi ai sensi della Legge Pinto, quale la compilazione ed invio di un Modulo specifico scaricabile dal sito del Ministero. Adempimento che – è bene ricordarlo e precisarlo – non è imposto ad alcun altro creditore dello Stato.  Il ricorso alla CEDU è a mio avviso la strada necessaria da seguire in gran parte dei casi, poiché – a causa delle numerose modifiche legislative (specifiche per la Legge Pinto) intervenute negli anni – il ricorrente ha a disposizione ben poche strade concrete in Italia, non potendo ad esempio proporre un pignoramento presso terzi (come è invece possibile per tutte gli altri titoli esecutivi contro la P.A.) , ma può proporre solo un pignoramento su fondi speciali (quasi mai presenti), o, di norma, il giudizio di ottemperanza innanzi ai TAR competenti territorialmente. Tuttavia, anche il giudizio di ottemperanza è sovente molto lungo e spesso di limitata efficacia ed ha comunque tempi lunghissimi solo per la fissazione della prima udienza (spesso non risolutiva, in quanto il Ministero non paga neppure dopo la nomina del Commissario ad Acta ). Ad esempio, presso il TAR Napoli è necessario un tempo non inferiore a due anni e mezzo solo per la prima udienza, mentre per il TAR Roma circa 4- 6 mesi. Sotto un profilo più generale , il mancato o ritardato pagamento dei decreti di condanna ottenuti ai sensi della Legge Pinto è ormai circostanza nota e cronica – e risulta peraltro da numerosi relazioni ministeriali e dati ufficiali -, in quanto per poter ottenere questi pagamenti dal Ministero competente sono di norma necessari almeno 2 anni e mezzo (ma nella prassi numerosi sono i casi di attese di 6 anni e più). Nonostante le numerose riforme intervenute e le modalità istruttorie differenti tra le varie Corti di Appello italiane e gli adempimenti richiesti (compilazione ed invio di moduli specifici per la Legge Pinto per poter richiedere il pagamento), i tempi di tali pagamenti in via amministrativa (cioè senza agire in forma esecutiva) si sono sempre via via allungati. La riprova a quanto detto sono appunto le numerose condanne inflitte anche dalla CEDU all’Italia, ad iniziare dalla sentenza Simaldone c. Italia del 31/03/2009 e Gaglione e altri c. Italia, 21 dicembre 2010 e successive. In queste sentenze la Corte ha ravvisato pacificamente la violazione dell’art. 6 paragrafo 1 della convenzione Europea, combinato con l’art. 1 del Protocollo n. 1, in conseguenza del ritardo nel pagamento oltre il termine di sei mesi, condannando lo Stato Italiano ad un ulteriore somma di denaro per tale ritardo nel pagamento.  Anche di recente la CEDU nella causa Di Sante c. Italia – Prima Sezione – sentenza 27 aprile 2017 , ha condannato lo Stato Italiano e concesso in via equitativa la somma di 200 euro per il solo danno morale e di 200 euro per le spese. Tuttavia, come detto, dopo 10 anni da tale citata Sentenza del 2009 della CEDU (e tante altre successive), non solo la situazione dei pagamenti in ritardo non è migliorata, ma anzi continua a peggiorare.”

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