Anno: XXV - Numero 216    
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Ecco la riforma del processo penale

Sulla prescrizione passa la mediazione con i 5 stelle. Tempi più stretti per le indagini preliminari e "criteri chiari" per le priorità delle indagini

Ecco la riforma del processo penale

Sì alla nuova prescrizione, ma con qualche modifica rispetto allo schema inizialmente voluto dalla ministra Cartabia. Stretta sui tempi delle indagini preliminari e sul rinvio a giudizio. Ma anche incentivo della giustizia riparativa e delle pene alternative, nonché criteri chiari per le priorità della trattazione delle inchieste che, però, non saranno stabiliti dal Parlamento. Dopo una giornata particolarmente complicata – in cui si è rischiato lo strappo con i 5 stelle sulla prescrizione – è arrivato intorno alle 20.30 il via libera del Consiglio dei ministri alla riforma del processo penale. Ma cosa prevedono gli emendamenti presentati dalla ministra Cartabia e passati all’unanimità dopo un pomeriggio turbolento? Vediamo i punti principali.

La prescrizione. Sulla ‘morte’ del processo si è consumato lo scontro principale, con il Movimento 5 stelle che non voleva arrendersi al superamento della legge Bonafede. La norma, attualmente in vigore, prevedeva lo stop secco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado: dopo il primo giudizio, in pratica, non esistevano termini per lo spirare del processo, che potenzialmente avrebbero potuto essere anche biblici. Lo schema che la ministra ha proposto al governo è invece diverso: la prescrizione del reato si ferma, sì, dopo il giudizio di primo grado, come voleva il suo predecessore. Ma a quel punto viene introdotta una novità: il giudizio di appello dovrà durare al massimo due anni e quello in Cassazione al massimo uno. Pena l’improcedibilità. Tradotto: se si sforano i due anni per il giudizio di secondo grado e i 12 mesi per la Cassazione, il processo muore. A questo schema, che aveva fatto storcere il naso ai 5 stelle, erano state già introdotte alcune eccezioni: per i reati più gravi, come l’omicidio o l’associazione mafiosa, sono previsti tempi più lunghi. Tre anni per finire l’appeno, uno e mezzo per la Cassazione. Bene, la lista di eccezioni stilata dalla Guardasigilli ai 5 stelle non bastava. Così hanno chiesto e ottenuto, in un confronto che ha fatto tardare il consiglio dei ministri di due ore, di allungarla. In base a questa mediazione, dunque, anche per i reati contro la pubblica amministrazione – come la corruzione, la concussione l’abuso d’ufficio – potranno avere un giudizio d’appello lungo fino a tre anni, prima di essere dichiarati improcedibili. Un anno e mezzo, invece, in Cassazione. Una soluzione di compromesso, sulla quale, però, Italia Viva e Forza Italia non hanno mancato di manifestare perplessità.

Tempi più definiti per le indagini preliminari. Un’altra novità inserita nel maxiemendamento riguarda le indagini preliminari. La fase, cioè, che precede il processo. Anche in questo caso si punta a fare in modo che i tempi delle inchieste non sforino oltre un certo termine. Sulla carta è così anche ora, ma spesso poi i tempi non vengono rispettati. Come si fa ad assicurare che le cose cambino? Attribuendo al gip un controllo sui tempi: quando il termine finisce il pm sarà tenuto “a esercitare l’azione penale o a richiedere l’archiviazione entro un termine fissato in misura diversa, in base alla gravità del reato e alla complessità delle indagini preliminari”. Quindi, il pubblico ministero, quando il tempo è scaduto dovrà chiedere al gip di accantonare il caso, se ritiene di non aver raccolto gli elementi necessari per il processo, oppure il rinvio a giudizio, laddove ritiene che si possa proseguire.

Ed è proprio sul rinvio a giudizio che è prevista un’altra novità. Il codice di procedura penale, ad oggi, dice che il pubblico ministero può chiedere che l’imputato sia mandato a processo se ritiene che ci siano gli elementi sufficienti per sostenere l’accusa in giudizio. In base alla nuova formulazione, invece, il rinvio a giudizio potrà essere chiesto solo se il pm ritiene che ci sia una “ragionevole” previsione che la sentenza del giudice possa essere di condanna. È un modo per sfoltire i processi, per evitare di celebrarli laddove inutili, in un sistema molto affaticato dagli arretrati.

Un’altra misura riguarda la fase che precede il processo. Gli emendamenti propongono che si stabiliscano criteri chiari per le priorità delle indagini. Nella relazione della Commissione Lattanzi, incaricata dalla ministra a redigere le proposte per la nuova giustizia penale, era stata lanciata l’idea che fosse il Parlamento a determinare a quali inchieste dare la precedenza e quali processi trattare per primi. Negli emendamenti predisposti portati ieri in cdm si lascia alle camere la prerogativa di individuare dei criteri generali. A quel punto, poi, dovranno essere le singole procure a individuare “criteri di priorità trasparenti e predeterminati”, con l’obiettivo di scegliere “le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre”.

Una novità importante riguarda le sanzioni che andranno a sostituire le pene detentive brevi. Si tratta di modi di scontare la pena diversi dal carcere, per soggetti che hanno commesso reati minori. Queste misure potranno essere concesse solo se “il giudice ritenga che contribuiscano alla rieducazione del condannato e assicurino, anche attraverso opportune prescrizioni, la prevenzione dal pericolo che egli commetta altri reati”. Ma quali misure andranno a sostituire il carcere in questi casi? “La semilibertà, la detenzione domiciliare – si legge nel testo – il lavoro di pubblica utilità, la pena pecuniaria”.

Su questa scia sono le novità in materia di giustizia riparativa, quella giustizia che va oltre il processo penale, cercando di arrivare a una riconciliazione tra vittima e colpevole o tra autore di reato e società. Con la riforma si prevede che si possa accedere a programmi di questo genere in ogni fase del procedimento, con il consenso – che può essere ritirato – di vittima e imputato. Se il percorso va a buon fine, se avviene una riconciliazione, questo risultato potrà essere valutato possa essere valutato “sia nel procedimento penale che – si legge nel testo – in sede esecutiva”. Se il percorso non va a buon fine, però, nessun effetto negativo può ricadere sul processo né sull’esecuzione della pena. Si tratta di un passaggio di rilievo – definito dall’avvocato Cataldo Intrieri “la vera rivoluzione” della riforma – perché introduce in un sistema penale repressivo un elemento in più: quello della giustizia che – magari non sempre e certamente a piccoli passi – riesce a ricucire le fratture sociali che un reato crea.

 

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