La ragazzaglia milanese ha studiato bene le nostre tradizioni
I giovani screanzati che a Milano hanno mandato a quel paese l'Italia hanno imparato a menadito il manuale leghista degli improperi al tricolore e all'unità nazionale.
I giovani screanzati che a Milano hanno mandato a quel paese l’Italia hanno imparato a menadito il manuale leghista degli improperi al tricolore e all’unità nazionale. Breve antologia dell’insulto antipatriottico.
Chi saranno mai i giovani screanzati, e peggio, ingrati, farabutti, forse violenti, che la notte di Capodanno hanno mandato affanculo l’Italia e ingiuriato la polizia, equiparandola a deiezioni umane che cominciano per emme? Le forze dell’ordine milanesi stanno impiegando le loro migliori energie per individuare la teppaglia – su indicazione ferrea del Viminale, e su incitazione particolarmente energica del partito di Matteo Salvini – e infliggergli le dovute sanzioni. Questi giovinastri, tutti immigrati, all’apparenza di origine nordafricana, “devono imparare i nostri valori”, ha detto Massimiliano Romeo, appena eletto al capo del partito in Lombardia.
Non sarà facile risalire all’identità dei ragazzacci: lo dicono i precedenti. Da decenni, infatti, non si riesce a risalire all’identità degli animatori di un’associazione segreta nata proprio in Lombardia negli anni Ottanta e dedita precisamente al vilipendio della patria e dell’unità nazionale. Il fondatore di questa misteriosa Lega, un certo Umberto, aveva affisso manifesti con scritto “Italia di emme”, proprio come i giovani immigrati di cui si dibatte: “Italia di emme” a cui aveva aggiunto “secessione”. Altri manifesti dicevano “Italia stato parassita, nazione mai esistita”, oppure “Bergamo (o Varese o Brescia o Como eccetera) nazione, il resto meridione”. Questo tale Umberto radunava i suoi sostenitori che inneggiavano al loro capo scandendo il coro “abbiamo un sogno nel cuore, bruciare il tricolore”, e lo stesso Umberto li gratificava dicendo che lui col tricolore si sarebbe “pulito il c.” dove la lettera “c” è l’iniziale di un orifizio strettamente legato alla deiezione che comincia per emme. “Ci si pulisca il c.”, esortò una donna che lo contestava con la bandiera italiana, e confessò di aver ordinato della carta igienica tricolore per unire l’igienico indispensabile al politico dilettevole.
Una volta una delegazione di questi inafferrabili leghisti riuscì a infilarsi nell’aula del Parlamento europeo in cui stava parlando Carlo Azeglio Ciampi, presidente della Repubblica, e intonarono un “Italia, Italia vaffanculo” che, riecheggiando nei luoghi delle istituzioni democratiche europee, e non in un festa di fine anno, suonò particolarmente commendevole. Però, anche lì, non fu possibile acciuffare i responsabili.
Quando Umberto si fece da parte, per sopraggiunti limiti di età, lo rimpiazzò un certo Matteo (proprio come Salvini), che aveva fatto fortuna in radio con un certo Massimiliano (proprio come Romeo), conducendo una trasmissione che si chiamava Mai dire Italia, e in cui conduttori e ascoltatori si spalleggiavano nel dettagliare lo schifo che provavano per la patria in cui gli era toccato crescere, e tutto quanto avrebbero fatto pur di liberarsene. Alla successione di Umberto, pertanto, Matteo fu salutato, nel primo incontro pubblico, da un coro già sentito prima a Strasburgo, e risentito dopo in strada a Milano la notte di Capodanno: “Italia, Italia vaffanculo”.
Con le imprese lessicali dei fantomatici leghisti si riempirono dei libri, ma a non uno dei responsabili di tali enormità fu mai dato nome e cognome e nessuno dovette rispondere del disprezzo dei nostri valori. Speriamo vada meglio con gli immigrati di Milano, che siano acchiappati e magari espulsi, perché invece i Matteo (proprio come Salvini) e i Massimiliano (proprio come Romeo) ci è toccato tenerceli, chiunque essi siano e qualunque bambocciata stiano facendo.
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